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Ritorno alla nuova normalità

Avere una visione sul domani è fondamentale. Spetta a tutti i leader: manager, rappresentanti politici e governanti. Organizziamoci subito per ripartire dopo il coronavirus e pretendiamo dall’Europa di dimostrare la sua utilità

Nulla sarà come prima, lo sappiamo, ma il domani potrebbe essere migliore. Non è eccesso di ottimismo, il mio. Siamo ancora in tempo per costruirci una nuova normalità. Stiamo affrontando la più grande crisi sanitaria, economica e sociale degli ultimi decenni, l’unica davvero globalizzata, e questo impone di ripensare le regole comuni.

Ecco perché, mentre siamo impegnati a gestire l’impatto dell’emergenza, è fondamentale pensare anche a ciò che faremo dopo. Avere una visione oltre l’immediato. Questo pretendiamo dai leader politici ed è questo il campo su cui noi manager dobbiamo esercitarci per garantire il futuro delle nostre imprese.

La produzione industriale è organizzata secondo catene globali del valore. È un fatto. Se il virus colpisce un’area geografica dove si realizza un tassello della produzione, la catena si spezza. Non significa che la globalizzazione sia finita: dovremo immaginare una globalità diversa.

Mario Draghi sulle pagine del Financial Times ha invocato un cambio di mentalità, come accade in tempi di guerra. Ha fatto bene a sottolineare che non sarà sufficiente un’azione di mera politica monetaria, ma serve un disegno più ampio. La reticenza dell’Unione europea, meglio, di alcuni suoi stati membri, non è ricevibile. Il dibattito si è arenato su un punto chiarissimo: a nessuno conviene addossarsi il debito del vicino di casa.

La reazione dovrebbe essere diversa e puntare, ad esempio, a costruire un sistema sanitario europeo, integrato nelle policy e negli strumenti. Se c’è una lezione da imparare è che la tutela sanitaria deve essere garantita per tutti perché tutti siamo esposti allo stesso modo.

L’Europa, pertanto, è a un bivio. Può dimostrare la propria utilità, la capacità di esercitare una governance e di assumere le decisioni necessarie in tempi di crisi, oppure essere relegata a un orpello per i tempi di pace.

L’Italia, in ogni caso, deve farcela da sola. Lo dico affinché non si valuti un alibi, il mio appello alla responsabilità dell’Europa. Siamo consapevoli che affrontiamo un rischio maggiore, per lo stato compromesso dei nostri conti, già prima, e per il fatto ineluttabile che il Covid-19 ci ha colpito efferatamente.

Dobbiamo quindi lavorare oggi per rimettere in piedi l’Italia domani, preoccupandoci di non scaricare sulle nuove generazioni l’intero prezzo di questo shock. Dobbiamo bilanciare gli effetti su occupazione e tenuta sociale. Dobbiamo difendere i nostri asset strategici, sostenere le Pmi con credito agevolato e misure di defiscalizzazione, intervenire direttamente con iniezioni di liquidità per le micro imprese.

Attenzione, però. Non serve spendere, se non si ha chiaro per cosa.

Parte di queste scelte va affidata ai manager, donne e uomini che si stanno rimboccando le maniche per sostenere, con responsabilità e solidarietà, le aziende e gli altri lavoratori. La normalità nuova che mi auguro scriveremo insieme ha bisogno di un approccio manageriale, tanto nell’impresa quanto nella politica.

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