Uno sguardo sullo Stretto

Unire la Sicilia al resto d’Italia? Un’eterna promessa che oscilla tra opportunità di sviluppo e perpetrato immobilismo. Eppure esistono almeno tre soluzioni per un’infrastruttura di collegamento stabile

Con un titolo evocativo, “Uno sguardo dal ponte”, nel 1962 usciva un film diretto da Sidney Lumet, con Raf Vallone che conquistò il David di Donatello: è più o meno dagli stessi anni che il tema dell’attraversamento dello Stretto di Messina si impone come centrale nel dibattito politico italiano.

Dal primo decennio del Ventunesimo secolo esiste poi persino il “progetto definitivo” di un ponte che scavalcando d’un solo balzo lo Stretto costituirebbe, quando realizzato, il record assoluto mondiale per queste infrastrutture.

Ma, fino ad oggi, una serie di mancati passi sostanziali ne ha impedito la costruzione. La società di scopo a suo tempo costituita, la Stretto di Messina Spa, è stata posta in liquidazione.

E tutto si è bloccato. Così, un gruppo di “cultori del progetto” si è aggregato in Aldai-Federmanager per analizzare la tematica, con l’ambizione di farsi un’idea propria, di capire, misurare, prospettare alcune possibilità. Studiando, andando oltre le troppe informazioni superficiali, interessate, quando non parziali, contraddittorie e persino false che in particolare sui diversi media si concentravano sul tema del “ponte di Messina”, ci siamo convinti quindi che realizzare la continuità territoriale con la Sicilia costituisse un obiettivo da perseguire.

Si trattava quindi di capire quale fosse il progetto più adeguato per contesto ambientale ed urbano, tecnologia realizzativa, tempi e costi di realizzazione, priorità trasportistica in ambito nazionale ed europeo. E questo senza la pretesa di opporre un taglio altrettanto specialistico ai molti luminari che in passato si erano espressi, di solito a favore del ponte, col rischio di perpetuare una polemica ormai pluridecennale.

Alla fine, sul ponte a campata unica degli ultimi decenni, abbiamo concordemente ritenuto preoccupanti il salto dimensionale prospettato rispetto ai più grandi ponti esistenti e una certa irrisolta nebulosità attorno agli adempimenti necessari per partire coi lavori. Da subito abbiamo condiviso che il collegamento stabile dello Stretto dovesse servire tanto al traffico a lunga distanza di viaggiatori e merci, come pure alle esigenze di mobilità presenti e future di Messina e di Reggio Calabria unite nella cosiddetta “città dello Stretto”, e che quindi le soluzioni prospettate dovessero tenere ben conto anche dell’ambito metropolitano.

Siamo partiti da una considerazione a tutti nota, ma forse trascurata: nel mare dello Stretto è presente la cosiddetta “Sella dello Stretto”, tra Villa San Giovanni e Ganzirri, ove i fondali sono profondi solo un centinaio di metri, che rende ipotizzabili almeno tre soluzioni caratterizzate da idonei requisiti preliminari per un’infrastruttura di collegamento stabile.

Queste tre soluzioni possono sintetizzarsi in:

  • ponte a più campate, caratterizzato da due piloni in mare sulla “Sella”, a circa 100 metri di profondità, e da un impalcato (il piano del ponte stradale e ferroviario assieme) a un solo piano, come si usa in Europa, o a due piani come più frequente in progetti asiatici. Al contrario del ponte a campata unica, per il suo specifico posizionamento, questa soluzione avrebbe l’ulteriore vantaggio di non impattare con la riserva naturale di Capo Peloro;
  • tunnel sottomarino, che transita nel sottosuolo all’interno della “Sella” a circa 170 metri di profondità e quindi con copertura continua di almeno 50 metri; un tunnel a più canne realizzabile in modo meccanico con Tbm (Tunnel boring machine), una perforatrice a scudo automatizzata che si avvale di tecnologie consolidate e in continuo progresso,  e che ha già avuto molti impieghi nel mondo, anche affrontando in sicurezza faglie tettoniche presenti sul percorso e impegnativi percorsi sottomarini;
  • tunnel a mezz’acqua, Sft (Submerged floating tunnel), ovvero un sistema di canne metalliche sommerse e ancorate, così come era stato proposto anni addietro dal gruppo Eni, vincolato alla “Sella” a circa 50 metri dal fondo avvalendosi di tecnologie già adottate nel settore petrolifero offshore, ma non ancora utilizzate per il transito in sicurezza di mezzi e persone in ambito civile. È evidente che ad oggi quest’ultima soluzione non può contare su referenze consolidate e dunque non può considerarsi direttamente comparabile alle altre: l’abbiamo comunque valutata essenzialmente per il suo interesse teorico.

Il  7 giugno scorso abbiamo presentato il nostro studio in un webinar che ha ricevuto un ottimo riscontro: molti hanno apprezzato il metodo adottato e il lavoro fatto. Si tratterà quindi di dare un seguito al nostro quaderno e, chissà, di trovare adeguato ascolto ai giusti livelli.

Nel contempo, il gruppo di studio ministeriale incaricato di valutare l’attraversamento dello Stretto ha di recente concluso i suoi lavori raccomandando nuovi studi di fattibilità, limitati al confronto tra il ponte a campata unica e quello a tre campate, scartando in modo definitivo l’ipotesi tanto del tunnel sottomarino, così come quella del Sft.

Il gruppo di studio ministeriale ha di recente raccomandato nuovi studi di fattibilità, scartando sia l’ipotesi del tunnel sottomarino sia quella del Sft

A noi invece, terminata la prima stesura del quaderno Aldai n.32, sembra che forse anche l’ipotesi del tunnel sottomarino possa meritare qualche ulteriore approfondimento, soprattutto alla luce dei più recenti sviluppi tecnologici nel settore.

Un’ultima considerazione da riportare: nel nostro quaderno abbiamo inserito uno specifico capitolo dedicato al tema dei costi del progetto, tentando una possibile comparazione globale tra le diverse ipotesi esaminate.

Preventivare in modo corretto un’opera del genere e le relative infrastrutture di contorno è un compito che, per ottenere risultati validi, richiederebbe forze ben superiori alle nostre. Ma è un tema da non trascurare, in modo da non ritrovarsi negli anni a venire con sorprese, com’è avvenuto in casi riguardanti molti dei progetti infrastrutturali nazionali.

In merito a queste sorprese, ahinoi, sembra proprio che in Italia possiamo concorrere al record mondiale.

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