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Una vita spezzata

Uomo giusto vittima di un’Italia sbagliata. La storia e il sacrificio di Giuseppe Taliercio, dirigente stimato anche dagli operai e dai sindacati, padre e marito devoto.

Giuseppe Taliercio era un dirigente che credeva profondamente nel dialogo, anche in un periodo complesso come quello a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, convinto che dal dialogo, innanzitutto tra le parti sociali, potesse nascere una ragionevole prospettiva di crescita, nella fabbrica e nella società. Intitolare a Taliercio la Fondazione promossa da Confindustria e Federmanager è apparso naturale, vista la corrispondenza tra il pensiero e l’agire professionale dell’Ingegnere e la mission della Fondazione: la diffusione della cultura e della formazione manageriale in Italia.

Un uomo giusto, ucciso dalle Brigate Rosse. Il corpo venne ritrovato nel bagagliaio di un’auto, come era accaduto tre anni prima ad Aldo Moro. Era il 6 luglio 1981: la Fiat 128 venne abbandonata vicino ai cancelli del Petrolchimico della Montedison Marghera di cui era il direttore.

Padre di cinque figli, cattolico fervente, avrebbe compiuto 54 anni il mese successivo. Ai suoi funerali presenziò il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Rapito in quanto ritenuto corresponsabile del “disegno capitalista multinazionale”, lui stimato e rispettato dai sindacati e dagli operai, dopo un mese e mezzo di prigionia e di maltrattamenti venne ucciso con 17 colpi di pistola. Nel processo ai suoi sequestratori ed esecutori, si apprese che fu tenuto 47 giorni in una mansarda-prigione di Tarcento (Udine), in Friuli. L’autopsia stabilì che da tempo non si nutriva ed era stato seviziato.

L’assassinio del direttore del Petrolchimico di Porto Marghera ebbe grande risonanza nazionale, soprattutto, per il profilo umano e spirituale della vittima.

Veniva da una famiglia di umili origini, originaria di Ischia, emigrata a Carrara, dove gestiva un negozio di terrecotte. I suoi genitori riuscirono a farlo studiare al liceo G. Marconi e a iscriverlo a Ingegneria a Pisa, dove si laureò con il massimo dei voti in elettrotecnica. Si trasferì a Mestre negli anni ’50 per lavorare alla Montedison, azienda nella quale crebbe dalla “gavetta” fino a diventarne direttore generale. Senza mai dimenticare gli altri.

«Anche il lavoro, per lui che era credente, era una missione. E solo dopo la sua morte venimmo a sapere che, nonostante tutti i suoi gravosi impegni, trovava il tempo di dedicarsi alle famiglie bisognose della città, attraverso il volontariato nella San Vincenzo», racconta il figlio Cesare.

Spiritualmente si formò nell’Azione Cattolica, dove conobbe Gabriella, anche lei orfana, futura sposa e madre di cinque figli. Un percorso che lo formò come uomo e come dirigente. Dopo due anni dalla morte, la moglie Gabriella concesse il perdono agli autori dell’omicidio. «La strada dell’amore, della bontà e della non violenza – spiegò in un’intervista – è l’unica che Pino ci abbia insegnato».

Nonostante tutti i suoi gravosi impegni, trovava il tempo di dedicarsi alle famiglie bisognose della città, attraverso il volontariato

A queste doti umane e professionali, la Fondazione che porta il suo nome vuole rendere omaggio. Nel quarantesimo anno dalla tragica scomparsa di Giuseppe Taliercio, la Fondazione ha voluto commemorare la ricorrenza con l’istituzione di borse studio per studenti meritevoli, autori di tesi magistrale sul ruolo del management e della formazione manageriale per l’innovazione, la sostenibilità e la resilienza nelle imprese industriali.

Il premio di laurea, giunto alla terza edizione, vuole essere un piccolo ma concreto contributo che Fondirigenti ha istituito per coltivare la memoria del dirigente e dell’uomo e per promuovere, nelle nuove generazioni, i valori dell’impegno e della managerialità.

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