Turchia, l’altro baricentro

Erdoğan sì, Erdoğan no. Il voto turco si sostanzia in un “referendum” sull’attuale Presidente, mentre il Paese prova a ricucire le ferite causate dal terremoto e da una grave crisi economica.

Inflazione molto alta, lira svalutata, una crisi economica generalizzata. «Se le cose continuano così con Erdoğan, per gli investitori stranieri c’è da preoccuparsi», non ha dubbi il professor Ünal Zenginobuz, economista all’università del Bosforo, una delle principali in Turchia. A decidere se le cose debbano davvero continuare così, saranno gli elettori.

Il 14 maggio i turchi andranno al voto per scegliere il loro Presidente, e un nuovo parlamento, ancora tra le macerie. Il terremoto d’inizio febbraio ha causato oltre 50 mila morti e 30 miliardi di euro di danni, secondo stime della banca mondiale. Ma da ricostruire non ci sono solo gli edifici: per i più critici del Presidente Recep Tayyip Erdoğan si deve ripristinare la democrazia e ridare vita a un’economia «che è allo sfascio», dice ancora il professor Zenginobuz. È proprio questo il tema che potrebbe influenzare di più gli elettori. Il risultato delle urne, però, avrà un impatto anche sui rapporti con l’Ue e sul commercio internazionale, incluso, ovviamente, quello con l’Italia.

Recep Tayyip Erdoğan spera in una riconferma al potere dopo 20 anni e nella maggioranza parlamentare per il suo partito, l’Akp. Lo sfida una coalizione di sei partiti, capeggiata da Kemal Kılıçdaroğlu: una variegata “Alleanza della nazione”, che riunisce socialdemocratici, conservatori, islamisti.

Il vincitore dovrà affrontare prima di tutto i problemi economici a partire dall’inflazione, appunto, che su base annua resta elevata: al 50%, anche se in calo rispetto all’anno scorso, quando ha superato l’85%. Ad alimentarla è stata anche la svalutazione della moneta nazionale, che quest’anno ha già perso il 30% del valore rispetto al dollaro. Un circolo vizioso, legato a una politica monetaria poco ortodossa: la banca centrale del Paese, su spinta del Presidente, ha più volte abbassato i tassi d’interesse con la speranza di mantenere la crescita economica. Ecco perché controllare questi fenomeni è una priorità per i partiti.

Erdoğan in campagna elettorale ha detto di voler riportare l’inflazione a una cifra e aumentare gli stipendi dei lavoratori. Restano i dubbi su come voglia farlo, visto che in recenti interviste non ha accennato all’ipotesi di modificare le politiche economiche attuate finora. L’opposizione, invece, vorrebbe ripristinare l’indipendenza della banca centrale, riportando i tassi d’interesse su valori di mercato. «Se vincerà l’opposizione ci saranno più serietà e professionalità», è convinto il professor Ünal Zenginobuz. «Erdoğan ha di fatto licenziato 3 governatori della banca centrale turca nel giro di pochi anni, solo perché non seguivano i suoi ordini – racconta – con questo sistema abbiamo un solo uomo che decide su tutto e l’indipendenza delle istituzioni economiche è scomparsa».

Decostruire il presidenzialismo forte di Erdoğan è uno degli obiettivi dell’opposizione, insieme con il ritorno a un più compiuto sistema parlamentare attraverso una serie di riforme. E poi si punta a una crescita del 5% e al raddoppio del Pil pro capite in 5 anni, anche facendo ripartire la fiducia degli investitori stranieri.

Tra loro, gli italiani, ovviamente. La Turchia per l’Italia è un partner commerciale sempre più importante. Nel 2022 secondo dati dell’Ice, Agenzia per promozione e internazionalizzazione delle imprese, il commercio con questo Paese è aumentato del 15%, superando i 26 miliardi di euro. In particolare cresce l’export. «Nonostante le criticità, come l’inflazione che ha raggiunto picchi molto alti l’anno scorso, l’interscambio Italia – Turchia è andato benissimo», commenta Riccardo Landi, direttore della sede Ice di Istanbul. «Le politiche economiche del Governo hanno continuato a essere espansive, quindi gli imprenditori turchi che hanno avuto a disposizione valuta estera hanno continuato a comprare e importare», spiega Landi. Il bene più venduto restano i macchinari, in particolare per l’industria tessile della maglieria e dell’abbigliamento, «settori vitali dell’economia turca», commenta Landi, che aggiunge: «il legame è fortissimo anche nel campo degli autoveicoli». E poi ci sono i beni di consumo, potenzialmente in crescita. Il Paese ha quasi 85 milioni di abitanti, popolazione in aumento, dunque un mercato sempre più interessante. «Il settore del lusso ha possibilità di sviluppo», osserva Landi. Prodotti italiani di livello alto potrebbero essere sempre più richiesti: alimenti, auto di lusso, moda. Ma ovviamente molto dipenderà dall’evoluzione dell’economia.

La Turchia per l’Italia è un partner commerciale sempre più importante. Nel 2022, secondo dati Ice, il commercio con questo Paese è aumentato del 15%, superando i 26 miliardi di euro.

Gli scambi, inoltre, potrebbero migliorare con la ripresa del processo per far entrare il Paese nell’Unione europea. La Turchia resta formalmente candidata, ma tutto è fermo dal 2018. Per Istanbul l’ingresso nell’Ue richiederebbe riforme sostanziali, e così il rapporto si è stabilizzato su un modello negoziale: ognuna delle due parti cerca di ottenere qualcosa di concreto dall’altra. L’Unione europea è il primo mercato per l’export turco e in generale gli scambi commerciali nel 2022 hanno superato i 200 miliardi di euro. Numeri molto alti, ma c’è un enorme potenziale di crescita, gli esperti ne sono convinti.

Negli anni il sistema turco è diventato sempre più autocratico, come dimostra l’indice di Bertelsmann. Questa tendenza in politica interna si è tradotta sul piano delle relazioni internazionali in una maggiore assertività, e anche in periodici scontri con l’Unione europea e con i suoi membri, è il caso, per esempio, delle sanzioni alla Russia, che la Turchia non applica.

Erdoğan si è avvicinato sempre di più a Putin. Con la virata verso il presidenzialismo del 2018, la diplomazia turca è stata via via più dipendente dal Presidente, dunque meno prevedibile. E lo stesso è avvenuto sotto altri punti di vista. Tra cui quello economico. «Se vincesse l’opposizione, il semplice fatto di cambiare Governo darà un forte impulso positivo al Paese», sostiene il professor Zenginobuz, «perché la situazione è veramente peggiorata in termini di istituzioni democratiche e principi costituzionali. E i continui interventi nel mercato, sia quello dei cambi sia quello dei beni reali, ci hanno reso un’economia controllata, nello stile di Putin, dove un singolo uomo decide tutto. Questo ha tenuto lontani gli investitori esteri».

Facendo rallentare l’economia dopo un lungo periodo di crescita, durato circa 10 anni con i primi mandati di Erdoğan. «In quel periodo abbiamo vissuto quasi come in sogno», riassume il professor Zenginobuz. Poi è arrivata la sveglia, graduale. La crescita, legata soprattutto al consumo di beni materiali, ha rallentato. Con il deficit della banca centrale, la Turchia ha iniziato a chiedere prestiti a Emirati arabi e Russia, rafforzando così i legami anche politici e allontanandosi anche dall’orbita Nato, oltre che da quella Ue.

Con il deficit della banca centrale, Istanbul ha iniziato a chiedere prestiti a Emirati arabi e Russia, rafforzando così i legami anche politici e allontanandosi dall’orbita Nato e Ue.

Proprio a poche settimane dalle elezioni, l’agenzia di rating statunitense Standard and Poor’s ha cambiato il suo giudizio sull’outlook della Turchia: non più stabile, ma negativo. E questo per via delle “impostazioni di politica monetaria, finanziaria ed economica insostenibili”. Resta da vedere se il risultato delle elezioni di maggio potrà portare queste impostazioni a cambiare e il Paese a ritrovare un percorso di crescita, stabilità e credibilità internazionale.

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