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Se a pagare sono sempre i soliti noti

Uno strano vizio tutto italiano: vessare chi lavora e paga le tasse, anche al momento della pensione. Siamo in campo per difendere la nostra categoria.

A dicembre, insieme al Natale arriva il consueto dibattito sulla legge di Bilancio, che spesso si traduce in una concitata polemica, dentro e fuori le aule parlamentari, sulle politiche pensionistiche che il Paese è chiamato ad adottare.

Dimenticando innanzitutto il presupposto di qualsiasi intervento sul tema: la pensione deve rappresentare il giusto riconoscimento a una vita di lavoro e di contributi versati a favore del Paese.

E invece, purtroppo, non è così. Le pensioni del ceto medio sono utilizzate come “bancomat” per sostenere una spesa che non è basata su un principio di equilibrio tra equità e pressione fiscale, con conseguenze dirette sulla sostenibilità del welfare italiano.

Partiamo da un dato eloquente, evidenziato dalla presentazione del rapporto CIDA – Itinerari Previdenziali su entrate fiscali e finanziamento del welfare state: in Italia è soltanto il 12,99% della popolazione, vale a dire chi percepisce dai 35 mila euro in su, a sobbarcarsi il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

C’è quindi un esiguo nucleo di italiani, in cui è inclusa la dirigenza, che è ingiustamente costretto a pagare anche per altri. Per molti, per troppi.

E mentre l’area dell’evasione e dell’elusione fiscale cresce notevolmente, dalle istituzioni giungono irricevibili segnali di un’ulteriore penalizzazione nei confronti di categorie già ampiamente vessate.

La manovra economica, che è attualmente oggetto di dibattito parlamentare, presenta infatti penalizzazioni evidenti a carico degli assegni pensionistici “non minimi”, discrimina di fatto chi ha lavorato (e contribuito) una vita intera e tradisce contestualmente diritti e legittime aspettative, in nome delle difficoltà registrate dai bilanci pubblici e degli obblighi verso l’Europa.

Un conto di certo salato, ancor più in ragione dell’inflazione a due cifre che grava sull’economia. Un conto che, però, non può e non deve essere pagato dai soliti noti.

Anche perché dei servizi di welfare connessi alla fiscalità beneficia ampiamente chi dichiara redditi bassi o nulli, compresi i furbetti tricolore, vale a dire gli evasori ed elusori che operano nella nostra Penisola.

È arrivato il momento di dire basta a questo scippo perpetrato ai danni dei contribuenti onesti, come le categorie manageriali che da Presidente di Federmanager e CIDA rappresento.

Per tale ragione, non dobbiamo rimanere a guardare, lasciando che sulla legge di Bilancio, ma non solo, la partita sia giocata da altri.

In queste settimane ho incontrato esponenti del Governo e del Parlamento, mi sono recato alla Camera dei deputati per depositare gli emendamenti da noi richiesti alla manovra e sono intervenuto sui media per esprimere con forza le nostre istanze. Ma andremo ancora oltre, riservandoci di ricorrere ad azioni legali e di impatto fortemente simbolico se sarà necessario.

Noi ci basiamo sui numeri, proponiamo soluzioni percorribili, come la necessaria separazione tra i conti previdenziali e quelli dell’assistenza e chiediamo rispetto per le pensioni spettanti alla dirigenza.

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