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Professione genitore

Aiutare chi ha figli promuovendo al contempo una crescita sostenibile del sistema produttivo: una ‘missione possibile’, raccontata dalle pagine de “La trappola delle culle. Perché non fare figli è un problema dell’Italia e come uscirne”.

Si può essere genitori felici sul lavoro? La risposta per la grande maggioranza degli italiani è scontata: un “no” amaro, talvolta rabbioso. Sbagliato. La risposta giusta è “sì”. “Ma magari sulla luna”, replicheranno i più scettici. E invece, come vedremo, accade già nella realtà di tante aziende italiane, anche di piccola dimensione oppure cooperative, che occupavano ben 171.106 persone a fine 2021. Le condizioni per conciliare la cura dei figli con la buona occupazione ci sono, dunque, sono state avviate da più di dieci anni e stanno pure migliorando.

Come quadrare il cerchio del lavoro e della propria famiglia? Lo strumento esiste già, e funziona, ma ha un difetto: è poco conosciuto a livello nazionale e quindi viene usato a macchia di leopardo. Si tratta di un marchio di qualità, un bollino blu, per le imprese private e le amministrazioni pubbliche attente a favorire la genitorialità fra i propri collaboratori. Si chiama Family Audit ed è un marchio registrato di proprietà della Provincia autonoma di Trento, utilizzato però anche al di fuori dei suoi confini grazie ad accordi con il governo centrale e con altre regioni.

Il “Family Audit” è un marchio di qualità, un bollino blu, per le imprese private e le amministrazioni pubbliche attente a favorire la genitorialità fra i propri collaboratori

Le aziende che ne hanno capito il valore, e ovviamente i lavoratori e le lavoratrici che ne hanno beneficiato, negli anni scorsi hanno conquistato alcuni risultati magnifici. L’elenco fa impressione per la meticolosità delle iniziative: banca delle ore a disposizione di madri e padri; assicurazioni sanitarie ad hoc per le neo-mamme; prolungamento dei congedi per i padri; orari e tempi più flessibili sia in entrata che in uscita; donazioni di computer alle scuole (e ai figli dei dipendenti); borse di studio; fondi per la Caritas destinati a combattere la dispersione scolastica; persino orti aziendali per ridurre le spese delle famiglie.

Tutto questo non vuol dire che le società italiane coinvolte siano dedite alla beneficenza. Il Family Audit, infatti, offre vantaggi concreti alle imprese. Le cooperative delle mense scolastiche trentine, ad esempio, lo adottano quasi tutte perché acquisiscono punti preziosi per aggiudicarsi gli appalti. Evidenti, poi, le ricadute sul piano dell’immagine e del marketing. Senza contare un generale miglioramento della qualità delle prestazioni lavorative e un netto calo dell’assenteismo, specie delle lavoratrici. Su questo aspetto i numeri sono precisi: nelle aziende con il bollino blu le assenze annuali per malattie delle dipendenti scendono da una media di 5,3 giorni a 4,3 dopo 36 mesi. Questo strumento, insomma, favorisce il mantenimento delle donne nel mondo del lavoro anche dopo la maternità.

Tutto bellissimo. Peccato che questo benemerito bollino sia un oggetto misterioso, un piccolo (purtroppo) fantasma che si aggira per l’Italia, apparendo e scomparendo fra le mille micro iniziative pro-family. L’ennesima prova della incapacità di questo Paese di sostenere a lungo e con convinzione le buone politiche per la natalità.

Eppure il Family Audit funziona, e come se funziona. Innanzitutto perché è una di quelle buone pratiche dal basso inventate in una terra che coniuga associazionismo di stampo cattolico e metodo asburgico: il Trentino. Qui nel tempo è stato adottato da circa 350 fra aziende e cooperative e ha cambiato la vita a migliaia di lavoratori ma soprattutto di lavoratrici. Negli anni passati è stato sperimentato da molte imprese nazionali, ma soprattutto dal governo centrale di Roma. Nel 2012 e nel 2014 sono stati firmati due protocolli con il Dipartimento della famiglia di Palazzo Chigi con l’obiettivo di diffondere la pratica a livello nazionale. E qualcosa in effetti si è mosso. La Regione Puglia (e la Confindustria locale) e la Regione Sardegna hanno concordato con la Provincia di Trento una collaborazione per le certificazioni. Ma la verità vera è che inspiegabilmente il bollino blu della natalità non è “esploso”. Perché? Una delle ragioni è chiarissima. Trento dispone di una tecnostruttura stabile, l’Agenzia per la coesione sociale, guidata dagli stessi dirigenti da parecchi anni, l’alta burocrazia dei ministeri romani invece ruota in continuazione. Risultato? Il filo rosso dello sviluppo del Family Audit ha messo radici nel Trentino, ma si è spezzato più volte nel resto d’Italia.

In Trentino è stato adottato da circa 350 fra aziende e cooperative e ha cambiato la vita a migliaia di lavoratori ma soprattutto di lavoratrici

Eppure questo strumento è stato pensato per bene. Il suo segreto è semplice: niente soldi pubblici ma un “processo culturale” (viene chiamato proprio così), al termine del quale le imprese issano il marchio sul proprio pennone dopo esserselo sudato. La certificazione viene rilasciata dal Consiglio dell’Audit (composto da accademici e da associazioni radicate nel territorio) dopo un rodaggio di sei mesi.

Poi le imprese hanno tre anni per implementare le misure di conciliazione fra vita e lavoro contenute in un piano aziendale che deve rispettare il modello dell’Agenzia definito in quattro macro-ambiti: l’organizzazione del lavoro; la cultura aziendale; la comunicazione interna (nelle buone aziende si parla molto); il welfare aziendale e territoriale. Ogni azienda viene affiancata da un consulente e da un valutatore, che svolgono un’attività sistematica di analisi, verifica e valutazione dell’attività di auditing e con i quali la singola azienda stipula un contratto. In pratica il Family Audit cammina sulle gambe di persone qualificate che adattano lo strumento alla singola azienda e tendono a inserirla nello sviluppo dell’assistenza territoriale.

Progetto Manager ringrazia gli autori, Luca Cifoni e Diodato Pirone, per la pubblicazione del testo sopra riportato, estratto dal loro volume “La trappola delle culle. Perché non fare figli è un problema dell’Italia e come uscirne”, edito da Rubbettino editore (anno 2022). 

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