Nell’occhio del ciclone

Gli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici mettono in difficoltà le filiere produttive. Ma anche le aziende sono chiamate a trasformarsi per contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030

Non ci sono dubbi, l’accelerazione drammatica del cambiamento climatico è dovuta all’attività umana sul pianeta. Gli ultimi rapporti scientifici sul tema, come il Sixth assessment report dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change, il più autorevole ente scientifico sul riscaldamento globale), ci ricordano che i sei anni che vanno dal 2015 a oggi sono stati i più caldi mai registrati e, in generale, il periodo 2011-2020 è stato il decennio più caldo di sempre. Si stima che dal periodo preindustriale (1880) a oggi la temperatura media terrestre sia aumentata di circa 1,2°C ma, trattandosi appunto di una media, questa non aumenta in modo uniforme su tutto il pianeta.

Purtroppo il nostro Paese è nell’occhio del ciclone, basti pensare che l’area mediterranea è vista come hotspot” climatico. In pratica, la crisi climatica colpisce più duramente noi, almeno in una fase iniziale, che il nord Europa e altre parti del mondo.

In Italia la temperatura ha sfondato il muro dei 2 gradi centigradi (è ora intorno a 2.4°C) e, nonostante siamo in presenza di un timido assaggio di ciò che potrebbe accadere in futuro – per esempio il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) stima che un quinto del territorio italiano rischia la desertificazione entro fine secolo, mentre il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) ricorda che grandi città costiere come Napoli, Venezia e Genova rischiano seriamente di finire “sott’acqua” -, dobbiamo già fare i conti con una serie di conseguenze negative.

Secondo il Cnr un quinto del territorio italiano rischia la desertificazione entro fine secolo, mentre il Cmcc ricorda che Napoli, Venezia e Genova potrebbero finire “sott’acqua”

L’ultimo studio del Wwf Italia ci descrive, per esempio, come gli eventi estremi (siccità, tempeste, ondate di calore…) stiano mettendo in seria difficoltà il comparto agricolo del Paese: in 10 anni ha subito perdite per 14 miliardi di euro. Un duro colpo per quel “made in Italy” che rende il nostro Paese “grande” nel mondo. Per scongiurare uno scenario peggiore, serve dunque un cambio di rotta su scala nazionale e sovranazionale.

La cattiva notizia è che nonostante la pandemia – la quale, voglio ricordarlo, trova il suo inizio nel complicato rapporto che abbiamo instaurato con gli ecosistemi -, le emissioni di gas climalteranti sono cresciute anche negli ultimi mesi. La quantità di CO2 presente in atmosfera è ora pari a 415 ppm (parti per milione); per mantenere l’aumento medio della temperatura terrestre entro i 2°C dobbiamo cercare di non sforare la soglia critica di 450 ppm. Va abbassata ancora di più l’asticella, invece, se intendiamo restare in una zona di “salvaguardia” che gli scienziati indicano nel limite di 1.5°C.

Si tratta di numeri che ci fanno comprendere la grandezza della sfida a cui siamo chiamati, soprattutto se vi aggiungiamo che l’81% dell’energia nel mondo viene ancora oggi prodotta da fonti fossili. Di questo passo, senza un drastico cambiamento nelle politiche e nelle strategie, rischiamo un mondo più caldo da qui a fine secolo di almeno 3-4°C. Non possiamo permettercelo.

La buona notizia, però, è che le soluzioni da mettere in campo per cambiare strada velocemente – l’elemento tempo, spesso trascurato, è fondamentale per il successo dell’azione climatica – ci sono, e sono alla nostra portata.

In questo processo di cambiamento, insieme alle istituzioni e alla società civile, le imprese possono e devono giocare un ruolo chiave. La filiera produttiva ha un legame particolare con lo sviluppo sostenibile e dalla sua trasformazione dipenderà buona parte del successo dell’Agenda 2030.

Numerosi studi, inoltre, certificano che chi imbocca un percorso di sostenibilità trae benefici anche in termini di immagine e produttività. A sottolinearlo è per esempio l’Istat che, lo scorso anno, ha ricordato che chi si era orientato a un modello più sostenibile oltre ad aver aumentato la produttività (si parla del 15% per le aziende di grandissime dimensioni, del 10% per quelle grandi e del 5% per quelle di medie dimensioni), era ripartito prima dalla crisi. A questo va poi aggiunto un altro fattore di non poco conto: quello del risparmio. Sostenibilità significa anche ottimizzare i processi industriali riducendo gli sprechi e utilizzare energia rinnovabile, persino autoprodotta. Tutte attività che si traducono in un beneficio di tipo monetario per l’azienda.

L’Istat certifica che le aziende sostenibili traggono benefici anche in termini di produttività: 15% per quelle di grandissime dimensioni, 10% per le grandi e 5% per le medie

Ulteriore aiuto può poi arrivare dalla rendicontazione non finanziaria che, anche nell’ultimo rapporto ASviS presentato lo scorso 28 settembre, l’Alleanza propone di estendere anche alle medie imprese, magari in forma semplificata. Parliamo di uno strumento che, oltre a rendere più efficienti le catene produttive, stimola le imprese a riflettere sui rapporti con i loro stakeholder, dai dipendenti ai consumatori, dalle comunità locali al rispetto dell’ambiente, consentendo di presentarsi in modo più credibile sui mercati finanziari.

L’ultimo pensiero lo voglio dedicare alla Cop26 sul clima di Glasgow, ormai alle porte. L’appuntamento scozzese arriva in un momento cruciale per l’azione climatica dato che la comunità scientifica è stata chiara: abbiamo al massimo 10 anni per arrestare l’aumento medio della temperatura al di sotto di 2°C, dopo non saremo in grado di tornare indietro. La presidente della Commissione europea von der Leyen ha dichiarato che l’Europa porterà al tavolo negoziale un alto livello di ambizione. Voglio sperare che tutti i Paesi remino finalmente nella stessa direzione. Per arrestare le emissioni, nazioni come Stati Uniti, Russia, Cina e India sono infatti determinanti, come fondamentale sarà l’inizio di una nuova era basata sul multilateralismo, perché è solo insieme che riusciremo ad affrontare le grandi questioni globali del nostro tempo.

Servono obiettivi precisi e quantificabili, e impegni vincolanti da non disattendere per mettere un serio freno al cambiamento climatico. La posta in gioco è alta, non possiamo rischiare di uscire dalla crisi del Covid-19 per entrare in una ben peggiore, e per di più irreversibile.

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