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Il lavoro sostenibile

Guardiamo all’economia della conoscenza, adottando al contempo modelli di agile management che permettano di guidare il cambiamento

“Il lavoro sta cambiando”, lo sentiamo dire spesso, come una formula di pronto utilizzo per cercare di definire una realtà che invece, mai come oggi, sfugge a valutazioni rituali.

Per provare a capire in quali e quante forme si articoli questo cambiamento, dobbiamo infatti uscire dalla “comfort zone” delimitata dai parametri abituali e interpretare i processi in atto.

Lo smart working è diventato una realtà.

Ha superato la fase di sperimentazione registrata nel pieno dell’emergenza pandemica e si propone come modalità lavorativa ormai prevalente in numerosi contesti aziendali. Per guardare già allo step successivo, la nostra Federazione ha cercato da subito di gestire il cambiamento e di proiettare l’evoluzione dello smart working verso nuove forme di agile management che rispondano alle esigenze manifestate dal presente: un miglior work-life balance, attenzione specifica al tema della formazione di competenze innovative – soprattutto sul piano della trasformazione digitale richiesta oggi per competere – e una concezione del lavoro basata sulla responsabilizzazione piuttosto che sul controllo, con obiettivi condivisi e misurabili che riescano a esaltare il patrimonio di talenti di cui un’azienda dispone.

Al centro di queste nuove dinamiche lavorative c’è un rinnovato rapporto di fiducia tra i diversi soggetti che operano in azienda; ecco perché sosteniamo fortemente l’idea di una leadership gentile che possa accompagnare la crescita dei contesti imprenditoriali, ottimizzando le risorse a disposizione e creando valore anche per le comunità e i territori interessati dalle attività aziendali.

È questo il lavoro sostenibile per il quale sentiamo di spenderci senza riserve.

Agile perché svincolato dalle logiche proprie di impostazioni superate dalla storia, spesso erroneamente riproposte con esiti di cui non è più possibile meravigliarsi.

La fiducia sul lavoro fa la differenza e deve essere accompagnata da un processo virtuoso che guardi anche all’inclusione delle diversità, in ogni accezione.

È tempo di un progressivo ricambio generazionale in tutti i settori, inutile nasconderlo. Questo deve essere guidato facendo tesoro del patrimonio di conoscenze accumulato dai lavoratori più esperti, ai quali – è sempre bene sottolinearlo – andrà garantita una pensione equa e rispondente ai tanti sacrifici prestati.

I giovani non sono solo una priorità del Paese, sono parte integrante del Paese, quella che dovrà gestire il futuro.

Per questa ragione l’Italia deve fare i conti con l’economia della conoscenza, puntando decisamente sul tema della formazione, da quella scolastica a quella manageriale; ma è altresì indispensabile che siano messe in atto misure che consentano a imprese e lavoratori di operare fuori dalle sabbie mobili della burocrazia.

Il Paese deve guardare alla semplificazione normativa e amministrativa come a un elemento costituente della modernità.

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