Il giusto mix al lavoro

Alberto Pastore, ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Sapienza di Roma, presenta un modello metodologico per affrontare al meglio l’Age management in azienda

Cambiamenti demografici e invecchiamento attivo

Negli ultimi decenni in Europa si sono verificati significativi cambiamenti demografici, nel segno di un progressivo invecchiamento della popolazione ponendo delle imponenti sfide sia in termini di policy pubblica che di politiche aziendali. Vengono alla ribalta importanti questioni sociali ed economiche, quali la necessità di erogare prestazioni sanitarie e assistenziali a una platea sempre più ampia, l’inclusione degli anziani nella vita sociale, la sostenibilità del sistema pensionistico, e da ultimo, ma non per rilevanza, la gestione dei rilevanti effetti sul mondo del lavoro.

Tra il 2014 e il 2018, in Italia, è diminuita la popolazione in età attiva con una perdita di 560 mila unità, mentre gli over 50 sono cresciuti di ben 913 mila unità, passando dal 30,7% al 33,5% del totale

In quest’ultima prospettiva, i principali effetti rilevati sono fondamentalmente la riduzione della popolazione in età attiva e l’invecchiamento della stessa. Alcuni ravvisano ulteriori probabili effetti, come l’incremento del costo medio del lavoro, la possibile progressiva obsolescenza delle conoscenze, la minore flessibilità e mobilità nel lavoro, l’incremento dei problemi sanitari, la riduzione della produttività. Alcune di queste ultime argomentazioni, tuttavia, non trovano una rigorosa evidenza scientifica e sono spesso dei meri stereotipi negativi nei confronti del segmento dei lavoratori senior.

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione riguarda l’intero continente europeo, ma assume una particolare rilevanza nel nostro paese, che si affianca al Giappone tra quelli con l’indice di ageing più elevato al mondo. Il trend è tuttora in corso, basti pensare che negli ultimi cinque anni l’età media è cresciuta di ben un anno, dai 44,2 anni del 2014 ai 45,2 del 2018.

Assai più rilevante è la valutazione dell’andamento della popolazione in età attiva. In Italia, tra il 2014 e il 2018, essa diminuisce di 560 mila unità, mentre quella degli over 50 cresce di ben 913 mila unità, passando dal 30,7% al 33,5% sul totale. Tale fenomeno si verifica in modo differente nei vari settori economici: in misura minore nel commercio, ospitalità e ristorazione, con il 25,9% di over 50 e nell’industria leggera (esempio food, editoria), con il 28,5%; in misura più significativa nella Pubblica amministrazione e difesa, con addirittura il 50,1% degli occupati in età over 50, e nell’istruzione, con una quota pari al 46,4% (Istat, 2017).

Il tema del progressivo invecchiamento dunque non riguarda solamente la popolazione in senso generale, ma anche più in particolare la forza lavoro e i profili manageriali. Pertanto, viene a evidenza la necessità di definire delle opportune strategie volte a valorizzare il contributo dei lavoratori lungo tutto il ciclo di vita della prestazione lavorativa, con particolare riferimento alla fase dell’età matura.

La gestione della diversità quale leva strategica per la competitività e l’Age management

I grandi cambiamenti demografici, sociali, economici, tecnologici, normativi che hanno investito il mondo del lavoro hanno determinato all’interno delle organizzazioni il manifestarsi di una demografia organizzativa sempre più eterogenea. Tale crescente eterogeneità delle risorse umane richiede alle organizzazioni pubbliche e private di adottare in misura crescente strategie volte a gestire la diversità (di età, genere, etnia, religione, abilità fisiche, orientamento sessuale, background culturale) andandosi a qualificare come organismi socialmente responsabili ed inclusivi.

Occorre sottolineare che le motivazioni sottostanti all’adozione di politiche di Diversity management non sono legate solamente a prescrizioni di ordine etico e morale o di tipo normativo, ma anche a valutazioni di carattere economico. Un’ampia parte di letteratura infatti pone in evidenza come l’equità organizzativa, la soddisfazione delle persone, la loro motivazione, il riconoscimento nei valori dell’organizzazione, l’osmosi tra risorse eterogenee sono fattori che contribuiscono al miglioramento dei risultati aziendali.

All’interno delle politiche di Diversity management si colloca l’Age management, che concerne “l’insieme di politiche di gestione delle risorse umane in funzione dell’età, ovvero rivolte prevalentemente alla valorizzazione del contributo dei lavoratori più maturi al perseguimento degli obiettivi aziendali, nel rispetto delle loro peculiarità e legittime aspettative”. In altre parole, l’Age management opera al fine di ottimizzare l’impiego delle persone lungo l’intero ciclo della vita lavorativa, tenendo conto delle esigenze e della capacità dei lavoratori nelle diverse fasce di età. Pertanto, tra i suoi obiettivi vi è quello del mantenimento della “Work ability”, ovvero della “capacità di svolgere il proprio lavoro nel presente e nel prossimo futuro rispetto alle richieste della propria mansione e alle proprie risorse mentali e fisiche”, in ogni fascia di età.

L’Age management ottimizza l’impiego delle persone lungo l’intero ciclo della vita lavorativa, tenendo conto delle esigenze e della capacità dei lavoratori nelle diverse fasce di età

È facilmente intuibile come la produttività dei lavoratori possa variare con l’età, per molteplici ragioni: l’esperienza lavorativa, la motivazione, le competenze detenute, il funzionamento cognitivo, le capacità fisiche e l’energia, gli obblighi in materia di salute e famiglia, la capacità di adattamento e così via. Con l’avanzare dell’età i lavoratori vedono modificarsi il set di competenze di cui dispongono, subendo la riduzione o la perdita di alcuni elementi e acquisendo il rafforzamento o il consolidamento di altri. Generalmente, i dipendenti senior si distinguono per esperienza, responsabilità, affidabilità, visione strategica, capacità di gestire le risorse, attenzione alla struttura gerarchica, fedeltà agli interessi dell’organizzazione; essi però possono presentare dei punti di debolezza relativi ad esempio a motivazione, capacità fisica e funzionamento cognitivo, attitudine all’innovazione e creatività, flessibilità e adattabilità ai cambiamenti, possesso di competenze tecnologiche e linguistiche.

Pertanto, anche alla luce dei fenomeni di invecchiamento demografico della forza lavoro attiva che abbiamo sottolineato in precedenza, risulta evidente la necessità di definire delle politiche di gestione delle risorse umane ad hoc per il segmento dei senior.

Il modello metodologico per l’Age management

Condivisa l’urgenza e la rilevanza dell’adozione di una efficace politica di Age management, nell’ambito di un progetto Fondirigenti, con Federmanager Academy abbiamo definito un modello metodologico per l’approccio alle problematiche di Age management, che possa costituire una guida per le organizzazioni che intendono affrontare la tematica.

Come abbiamo visto, l’invecchiamento della popolazione lavorativa è un fenomeno che si palesa in modo chiaro a livello generale nel nostro Paese. Tuttavia, a livello micro, ogni organizzazione presenta una propria struttura demografica, per cui risulta evidente che in ciascun caso l’ageing dei lavoratori può essere più o meno presente o pronunciato.

Inoltre, in virtù del contesto nel quale opera l’organizzazione e delle sue strategie, il tema dell’invecchiamento dei lavoratori può assumere una rilevanza diversa, per cui esso può essere un problema di livello strategico o all’estremo opposto può non costituire alcun problema, oppure ancora può collocarsi in una delle sfumature intermedie possibili.

Diversi sono i fattori che possono influenzare le valutazioni in merito. Difatti, la stratificazione demografica della forza lavoro per età può avere maggiore o minore rilevanza in relazione a:

settore di appartenenza (ad esempio riguardo alle dinamiche concorrenziali e di innovazione)
caratteristiche dell’organizzazione (dimensione, modello proprietario, proiezione internazionale, etc.)
modello organizzativo e cultura aziendale (empowerment della struttura, ruolo delle risorse umane, orientamento alla Corporate social responsibility, etc.)
strategie e obiettivi di medio lungo termine.

Non esiste un approccio di Age management univoco, applicabile a tutti: deve essere contestualizzato, è firm specific

Dunque, ove si riscontri una effettiva criticità derivante dall’invecchiamento della forza lavoro, si può affermare che la politica di Age management non può che essere strettamente correlata alle problematiche di natura competitiva, alla strategia, alla politica di gestione delle risorse umane e di Diversity management della specifica organizzazione. Non esiste un approccio di Age management univoco, applicabile in ogni realtà: la politica di Age management deve essere contestualizzata, è firm specific.

Pertanto, per definire la politica e il piano di Age management è importante disporre di un opportuno Modello metodologico per l’Age management (Mmam), che vada a costituire un riferimento concettuale ed operativo per la direzione aziendale e per i responsabili delle risorse umane. Secondo la nostra elaborazione, tale modello prevede le seguenti fasi:

Prima fase

Allineamento della strategia alle linee guida della politica HR, Diversity, Age management.

Consiste nella “operativizzazione” delle linee guida del piano strategico in termini di politiche relative alle risorse umane nella prospettiva dell’Age management.

Seconda fase

Diagnostica e gap analysis per l’identificazione delle criticità di Age management.

Prevede una lettura analitica e critica della demografia organizzativa e la rilevazione del set di competenze e dei bisogni psicoattitudinali dei lavoratori senior. Alla parte diagnostica segue la valutazione dei gap tra lo status quo e i requisiti necessari secondo la visione strategica aziendale, che consente di evidenziare le criticità in chiave Age management.

Terza fase

Definizione delle politiche di Age management.

Vengono stabiliti i cardini della politica di Age management, individuando le linee di azione in risposta ai gap individuati nella fase precedente, che possono essere legati ad esempio alle competenze o ad altri aspetti psico-attitudinali. Tali linee di azione possono riguardare: selezione, formazione, sviluppo di carriera, pratiche di lavoro flessibile, tutela della salute, job rotation, transizione al ritiro, partecipazione a progetti speciali, collaborazione e interazione tra generazioni.

Quarta fase

Definizione e attuazione del piano operativo.

Si formalizza il piano operativo (attività, obiettivi, responsabilità, tempi, budget, variabili misura, procedure di verifica), si procede alla sua attuazione e alla valutazione dei risultati, in itinere e a consuntivo.

Il modello metodologico proposto stimola ad un approccio manageriale al tema dell’invecchiamento della forza lavoro, per cogliere la sfida di trasformare questo fenomeno in un’opportunità di ottimizzazione delle performance economiche e sociali dell’azienda.

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