Giù le mani dall’età pensionabile

Abbiamo chiesto al professor Riccardo Puglisi quali siano le conseguenze della crisi demografica sulla sostenibilità del sistema pensionistico: «La mia stima? Dopo quota 100 si tornerà alla riforma Fornero»

In Italia l’invecchiamento della popolazione è direttamente proporzionale al calo della fertilità. Nel 2017 i nati sono stati 458.151: il numero più basso della nostra storia. Gli esperti si interrogano, quindi, su quali siano le conseguenze della crisi demografica sulla sostenibilità del sistema pensionistico e sugli interventi. Progetto Manager lo ha chiesto a Riccardo Puglisi, professore di Economia politica dell’Università di Pavia, secondo cui la ricetta è alzare l’età pensionabile e puntare sulla previdenza complementare.

 

Riccardo Puglisi, professore di Economia politica all’Università di Pavia

Professor Puglisi, facciamo chiarezza: qual è lo stato di salute del nostro sistema previdenziale?

L’Italia sconta un’alta speranza di vita a fronte di un tasso di fertilità scarso. Non c’è dubbio, quindi, che l’unico modo per fronteggiare la trasformazione demografica in atto sia intervenire sull’aumento dell’età pensionabile. A partire da questa premessa, dagli anni 2000 in poi, la sostenibilità della nostra previdenza è stata largamente migliorata dalle riforme Maroni e Fornero, rispettivamente del 2004 e del 2012, entrambe orientate a ritardare il ritiro dall’attività dei lavoratori. Nel 2007 c’è stata una battuta d’arresto con le misure messe in campo da Prodi e Damiano. La stessa criticità a cui stiamo assistendo oggi con l’introduzione sperimentale della “quota 100” per il triennio 2019-2021, che va nella direzione opposta rispetto al modo scientificamente sensato di gestire i rischi demografici e finanziari connessi al funzionamento del sistema previdenziale a ripartizione, in cui i fondi delle pensioni dipendono dai contributi dei lavoratori attivi e dalla fiscalità generale.

Quali sarebbero state le misure più urgenti secondo lei?

Sicuramente gli interventi in sostegno delle giovani famiglie con bambini piccoli, perché vanno incentivate le nascite. Poi è necessario liberare risorse attraverso la spending review per sostenere gli investimenti pubblici e per abbassare l’Imu su tutto ciò che non è prima casa. Il grande malato, infatti, oltre alla produttività stagnante, è il settore immobiliare, agonizzante dal 2008.

Vanno incentivate le nascite con interventi a sostegno delle giovani famiglie con bambini piccoli ed è necessario liberare risorse, attraverso la spending review, per sostenere gli investimenti pubblici

Nel 2022, fino a prova contraria, si tornerà alla riforma Fornero. Quali miglioramenti dovrebbero essere apportati al provvedimento varato dal governo Monti?

Si deve intervenire con più convinzione per agevolare il prepensionamento di coloro che svolgono lavori usuranti. Esistono già opzioni di questo tipo, però vanno rafforzate. E’ giusto permettere l’anticipo di qualche anno del ritiro dall’attività – come fatto con l’Ape Social – ma questo tipo di soluzioni devono essere destinate solo a specifiche categorie di lavoratori, altrimenti il sistema crolla.

Al di là dell’apertura a nuovi ritiri anticipati, cosa non le piace di “quota 100”?

È una misura che peggiora il deficit, e questo è accettabile solo se non si naviga nelle acque nere di una crisi economica pesante. Altro aspetto negativo è che, dati alla mano, crea ingiustizia sociale. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, infatti, i cosiddetti “lavoratori retributivi” – ovvero tutti coloro che nel 1995, al momento del varo della riforma Dini, avevano già 18 anni di contributi – prendono un assegno più alto del 10% rispetto al valore attuale delle pensioni. Al contrario, chi rientra nel sistema misto – ovvero chi aveva meno di 18 anni di versamenti nel 1995 – prende il 4-5% in meno. I contributivi che anticipano il pensionamento, infine, sono quelli più penalizzati, perché versano meno e, oltretutto, hanno di fronte un periodo di pagamento dell’assegno più lungo.

E quali aspetti promuove, invece, del provvedimento?

L’aver cercato di gestire la situazione complessa delle aziende in cui sono presenti tanti lavoratori rimasti bloccati dall’entrata in vigore emergenziale della riforma Fornero. Purtroppo il problema della gestione finanziaria delle pensioni si fa sempre più stringente, soprattutto se non iniziamo a promuovere la previdenza integrativa.

Il problema della gestione finanziaria delle pensioni si fa sempre più stringente, soprattutto se non iniziamo a promuovere la previdenza integrativa. In Italia c’è una certa avversione e se ne parla troppo poco, mentre le istituzioni dovrebbero incentivarne la conoscenza

Perché da noi la previdenza complementare è così poco diffusa?

A differenza di paesi come la Germania, in Italia c’è una certa avversione e una scarsa fiducia verso i mercati finanziari, a causa di un clima culturale sfavorevole, sul quale hanno avuto influenza anche i sindacati. Nonostante questo, la previdenza complementare ha molti aspetti positivi, tra cui il fatto di poter dedurre i contributi annuali ai fondi pensionistici fino a un massimo di 5 mila euro. Vantaggio sicuramente rilevante, ma non sufficiente alla larga diffusione del settore. C’è poi una scarsa comunicazione sul tema. Se ne parla troppo poco, mentre le istituzioni dovrebbero incentivarne la conoscenza. Una delle principali motivazioni dei pochi contributi alla pensione integrativa sono i salari bassi, che – a loro volta – risentono della scarsa crescita della produttività.

Con l’innalzamento dell’età pensionabile non si mette eccessivamente a rischio il tasso di sostituzione dei giovani?

Con una riforma come quella della Fornero, nel breve termine si potrebbero vedere gli effetti della mancata staffetta generazionale. Ma anche con una riforma diversa il tasso di sostituzione potrebbe essere al massimo di 2 neo assunti su 10 pensionati. Nel lungo termine, invece un provvedimento come quello del governo Monti genera un’economia in espansione che crea posti di lavoro. Ricordiamoci che l’imperativo è la crescita della produttività.

A questo punto le chiedo una previsione. Si è parlato della possibilità di introdurre, a partire dal 2022, il meccanismo di “quota 41”, in modo tale da permettere l’uscita anticipata dopo il raggiungimento di almeno 41 anni di anzianità contributiva, indipendentemente dall’età anagrafica. Vincerà “quota 41” oppure no?

La mia stima è che si ritorni alla Fornero, che – lo sottolineo – è tuttora in vigore: potrebbe eventualmente rimanere una sorta di “quota 100” rivisitata, meno generosa di come è stata concepita nel decreto legge del 18 gennaio. Sarebbe difficile fare altrimenti: non basterebbero le risorse economiche.

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