Europa, terra promessa

La questione migranti agita i governi degli Stati e rivela la frammentarietà politica all’interno dell’Unione. Tra stop e tentativi di accelerazione, Bruxelles cerca di trovare una soluzione che possa dirsi condivisa.

Sono passati più di due mesi dal naufragio di migranti che è avvenuto davanti alle coste di Steccato di Cutro, vicino Crotone, lo scorso 26 febbraio. I morti accertati sono 94, di cui 35 minori. Il naufragio di Cutro è il più grave avvenuto in Italia dal 2013, anno in cui un peschereccio si rovesciò al largo di Lampedusa e provocò 368 vittime.

Il flusso migratorio dal Nord Africa alle coste italiane esiste da secoli. Tra il 1997 e il 2010 in Italia sono arrivati via mare ogni anno circa 23 mila migranti. A partire dallo scoppio delle proteste della cosiddetta “primavera araba” le cose però sono cambiate. Nel triennio che va dal 2011 al 2013, in Italia sono arrivate via mare 118.884 persone. Nel triennio successivo, tra il 2014 e il 2016, il numero è aumentato ulteriormente e ha toccato 505.378 persone, sarebbe a dire quasi otto volte la media annuale registrata prima del 2011.

 

 

La principale norma europea sul diritto di asilo è il Regolamento di Dublino, il quale stabilisce che il compito di ospitare ed esaminare la richiesta di asilo di una persona che entra in territorio europeo è affidato al primo Stato in cui mette piede. Sarebbe a dire che i Paesi di primo arrivo sono quelli che devono esaminare per primi le richieste di asilo. Nel caso degli arrivi via mare, come in Italia, Spagna, Grecia e Malta, questi Paesi si occupano anche di gestire gli sbarchi delle navi e le operazioni di primissima accoglienza.

Il Regolamento di Dublino, approvato nel 1997, era stato immaginato in un periodo di scarsi flussi migratori. Ma l’instabilità politica di alcuni paesi arabi, insieme all’incremento dei flussi migratori provenienti da tali Paesi, e all’aumento della pericolosità di tali rotte, lo hanno reso ormai obsoleto.

La proposta della Commissione europea

Dopo anni di trattative, nel settembre del 2020, la Commissione europea ha presentato una nuova proposta di riforma del sistema di asilo. L’obiettivo è riformare il Regolamento di Dublino. Non è la prima volta che succede: nel 2017 una proposta del Parlamento europeo è stata smantellata dall’opposizione dei Paesi dell’Europa dell’Est. Il piano questa volta è stato voluto dalla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, la quale al momento della presentazione ha dichiarato che con esso vuole «ricostruire la fiducia tra gli Stati membri e quella dei cittadini nella capacità [delle istituzioni europee] di gestire le migrazioni».

Per quanto riguarda i suoi punti salienti, va premesso che la regola del primo Paese d’ingresso non cambierà, ma la proposta prevede una ripartizione più equa delle domande di asilo. Infatti, il nuovo sistema introduce un meccanismo di solidarietà che permette ai Paesi di frontiera di ricollocare le persone arrivate tra gli altri Stati membri, oppure di optare per altre forme di supporto tecnico e operativo. Tale meccanismo è su base volontaria, ma in caso di aumento di pressione ai confini potrà essere reso obbligatorio.

La proposta inoltre mira a definire un nuovo quadro legale, il quale sostituisce le varie procedure di protezione internazionale applicate dai singoli Stati (al momento, pur in una cornice comune, la disciplina di fatto può variare da Paese a Paese) con una procedura più semplice, e con criteri omogenei in tutta l’Unione. Altra novità di rilievo è l’istituzione di uno screening completo del richiedente asilo prima dell’ingresso nel Paese, attraverso il quale si valuterà la situazione sanitaria e quella relativa alla sicurezza. I dati, poi, verranno inseriti in un database a cui avranno accesso le autorità competenti di tutti i Paesi membri.

Già all’epoca però, subito dopo la presentazione della proposta di legge, molte organizzazioni che si occupano di migrazione hanno presentato delle critiche. La giornalista Annalisa Camilli, esperta in fenomeni migratori, le ha riassunte in tre punti. In primis «il nuovo sistema non mette in discussione il principio fondamentale del Regolamento di Dublino, cioè quello del primo Paese di ingresso»; inoltre il meccanismo di solidarietà è troppo flessibile in quanto «non sono stabilite né delle quote obbligatorie di ricollocamento dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione europea, né sanzioni per chi non aderisce al sistema». Infine «non sono previste strategie a lungo termine per regolare l’ingresso legale in Europa da Paesi extraeuropei per ragioni umanitarie, economiche o di studio».

Le cose non sono andate meglio sul fronte politico. Nei mesi seguenti la presentazione la riforma ha suscitato reazioni fredde un po’ in tutta l’Unione. Molti dossier hanno sottolineato le posizioni distanti dei vari Stati membri, partiti nazionali e dei vari gruppi che formano il Parlamento europeo. Un’ulteriore opposizione è arrivata dai Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) quando la proposta è stata discussa in sede di Consiglio europeo, l’organo dove siedono i rappresentanti dei governi nazionali, in cui per approvare le decisioni più importanti serve l’unanimità.

Il risultato è che, a tre anni dalla presentazione, la riforma della Commissione non è stata ancora approvata. In questo modo ogni Stato membro continua a gestire i flussi migratori da sé, con una frammentazione politica e legislativa che non aiuta alla gestione del fenomeno e, soprattutto, mette in pericolo l’incolumità di chi questi viaggi li vive sulla propria pelle.

La situazione attuale è infatti divisa. Da una parte ci sono i Paesi di primo arrivo che hanno deciso di stipulare accordi bilaterali di cooperazione con le autorità nordafricane per impedire le partenze dei migranti. L’Italia, ad esempio, ne ha uno molto controverso con la Guardia Costiera libica.

Dall’altra, i Paesi dell’Est Europa che da anni adottano una postura di estrema chiusura. Da un’altra ancora, ci sono i Paesi del nord Europa, in particolare Francia e Germania, i quali hanno accettato di accogliere soltanto quote simboliche di richiedenti asilo arrivati via mare nei Paesi del sud Europa, ma che in realtà sono i due Paesi che gestiscono più richieste d’asilo. Di fatto il flusso via mare è solo una parte, peraltro minoritaria, delle richieste complessive: molte persone scelgono di arrivare in Europa con altri mezzi, ad esempio via terra, oppure sfruttando un visto regolare, magari turistico, lavorativo o di studio.

 

 

Lo scorso settembre il Consiglio europeo ha stabilito una road map che fissa come termine per concludere i negoziati febbraio 2024, ovvero poco prima della fine dell’attuale legislatura europea. Il prossimo appuntamento è alla riunione del Consiglio europeo che si terrà a fine giugno. Sono ormai più di dieci anni che il tema migratorio mette in luce le difficoltà del progetto di integrazione europeo. Alcuni analisti credono che non vi sarà piena integrazione se le questioni di politica estera – e quindi anche quelle che riguardano la politica migratoria – non verranno trattate in maniera veramente comune, come avviene nel caso dell’unione economica e monetaria.

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