Energia di prossimità

Non abbiamo grandi numeri come nel nord Europa, ma anche qui da noi le Comunità energetiche stanno crescendo: un modello che interessa le fasi di produzione, distribuzione e consumo, responsabilizzando tutti gli attori coinvolti

Le Comunità energetiche costituiscono aggregazioni volontarie di cittadini, imprenditori sociali, Pmi, autorità locali, enti territoriali, cui la legge riconosce personalità giuridica, che si organizzano ed investono per produrre e auto consumare energia rinnovabile, diventando attori del mercato (prosumer) e fornitori di energia e di servizi ai propri soci. Tali attività non hanno una mera finalità commerciale, né possono prescindere dal ruolo delle società di distribuzione e dalla connessione alla rete elettrica ma sono svolte nell’interesse dei soci della Comunità per meglio soddisfare le loro esigenze in materia di energia.

La normativa che regola le Comunità energetiche è in fase di assestamento e deve ancora essere recepita la direttiva Ue che regola la materia. Esistono due tipi di Comunità energetiche: le Cer (Comunità energetiche rinnovabili), che esercitano attività aventi ad oggetto esclusivamente energia proveniente da Fer (Fonti rinnovabili), e che sono le sole attualmente regolate in Italia; le Cec (Comunità energetiche del cittadino), che impiegano energia prodotta anche con altre modalità (cogenerazione, energy recovery) e che sono previste esplicitamente nella direttiva 2001 del 2018 che costituisce la prima forma di regolamentazione della materia da parte della Commissione europea.

Come già detto, entrambe sono impostate prevedendo la partecipazione democratica aperta ai soggetti privati ed istituzionali del territorio di riferimento della Comunità, con l’obiettivo di fornire loro benefici ambientali, economici e sociali, riducendo i costi in bolletta e gli sprechi di energia ed altri servizi.

Nelle Cec, però, grazie ad una visione cittadino-centrica in cui quest’ultimo è il protagonista del processo di transizione in un’ottica di “Homo faber fortunae suae”, i membri della Comunità diventano parte integrante del sistema, con una possibilità di moltiplicazione dei servizi resi, ad esempio nell’area dell’efficientamento nell’uso e nella produzione dell’energia (cogenerazione), nell’energy recovery dai rifiuti, nel superamento della povertà energetica, ecc.

Nello scenario italiano lo sviluppo delle Comunità energetiche finora ha stentato a partire, anche se non rappresentano una novità. In passato, infatti, fin dagli anni ’20 in Alto Adige e in Friuli sono nati dei consorzi per sfruttare alcune derivazioni idriche o i più recentemente si sono sviluppati consorzi d’acquisto o di gestione di reti di teleriscaldamento. I numeri sono però ancora poco significativi rispetto ad altri paesi, soprattutto del nord Europa.

Infatti, secondo il rapporto “Energy communities: an overview of energy and social innovation 2020”, al momento della rilevazione in Italia si avevano solo 41 Comunità energetiche mentre in Europa erano operative 3.500 Comunità energetiche, di cui 1.750 in Germania, 700 in Danimarca, 500 nei Paesi Bassi.

Va detto però che il fenomeno delle Comunità energetiche è relativamente giovane e il Parlamento europeo ha iniziato a emettere normative solo nel 2018  ma negli ultimi  anni ha subito una brusca e rapida accelerazione e sia il Parlamento europeo che anche il Parlamento italiano con i governi che si sono succeduti  ne hanno favorito la diffusione, con la rimozione di alcuni impedimenti all’autoconsumo, con l’adozione per esempio di misure fiscali che hanno previsto la possibilità per le Comunità energetiche di accedere al superbonus per la realizzazione di progetti rinnovabili, con la regolazione economica da parte di Arera dell’energia condivisa nell’ambito delle Cer.

Solo negli ultimi anni la normativa sul tema ha avuto un’accelerazione. Sono state introdotte misure a favore dell’autoconsumo e del superbonus

In quest’ottica si potranno sviluppare modelli in cui la Comunità potrà identificarsi anche con un condominio, o realtà più vaste come il quartiere o distretti industriali. A questo riguardo va citato il progetto Geco che ha come obiettivo la creazione di una Comunità di energia green di quartiere nel distretto di pilastro – Roveri di Bologna. I principi su cui si fonda tale progetto sono il decentramento e la localizzazione della produzione energetica che, tramite il coinvolgimento di diverse realtà, intende creare una comunità di energy citizens in grado di produrre, consumare e scambiare energia in un’ottica di auto-consumo.

Il tema delle Comunità energetiche nei suoi diversi aspetti, giuridici, economici, energetici, è analizzato dal rapporto Aiee – Federmanager “Il ruolo delle Comunità energetiche nel processo di transizione verso la decarbonizzazione”. Il rapporto, che sarà presentato a breve, affronta anche il contributo che queste ultime saranno chiamate a dare nel processo di transizione e l’impatto che una crescita significativa delle Comunità energetiche è destinata a produrre: sul piano economico, in termini di investimenti, di costi dell’energia e di sistema, di benefici per il territorio; sul piano sociale, in termini di occupazione; sul piano sistemico, in termini di generazione diffusa, di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, di innovazione tecnologica.

In Italia, secondo uno studio del Politecnico di Milano, il potenziale massimo di diffusione delle Comunità energetiche al 2030 viene valutato in 100 mila unità, con un volume di investimenti complessivi di 150 miliardi di euro. In una proiezione al 2025, sempre nell’ipotesi di uno scenario di diffusione ambizioso, secondo lo studio, si dovrebbe raggiungere il numero di circa 40 mila Energy communities, con il coinvolgimento di 1,2 milioni di famiglie, oltre 200 mila uffici e poco meno di 10 mila piccole e medie imprese, con una crescita dei posti di lavoro di circa 10.500 unità e una potenza di fotovoltaico installata stimata di circa 5.400 mW. Tutto questo comporterebbe una riduzione di perdite di rete di 98 GWh (circa 5 milioni di euro) e una diminuzione di costi di distribuzione e di trasmissione per l’utente finale di circa 720 milioni di euro.

Una proiezione del Politecnico di Milano stima al 2025 circa 40 mila Energy communities, con 1,2 milioni di famiglie, 200 mila uffici, 10 mila Pmi e una crescita dei posti di lavoro di 10.500 unità in più

Non sono numeri di grande rilievo, sebbene tutt’altro che trascurabili, ma sono comunque indicativi di un cambiamento anche culturale, con un coinvolgimento e una partecipazione del cittadino alla gestione del territorio e di alcune delle attività economiche e dei servizi che lo riguardano. Lo sviluppo delle Comunità energetiche, delle fonti rinnovabili e della generazione distribuita risultano essere, dunque, tre colonne portanti della transizione verso la decarbonizzazione.

Si tratta di un processo graduale non solo per sensibilizzare le comunità locali, in un’ottica di superamento del concetto di nimby necessario per un più rapido sviluppo delle fonti rinnovabili, ma anche per renderli consapevoli dei vantaggi dell’essere prosumer e di poter gestire direttamente altri servizi d’interesse della comunità e del territorio, con positive ricadute sul piano economico e ambientale misurabili direttamente dal cittadino – prosumer.

Anche per questo, nell’attuale fase di assetto regolatorio, va considerato favorevolmente una estensione del ruolo delle Comunità energetiche, per renderlo più vicino alla configurazione delle Comunità del cittadino (le Cec), in modo da ampliare le sue opportunità e il suo contributo alla transizione verso un sistema decarbonizzato nell’ottica di una economia circolare di cui le Comunità energetiche sono parte integrante e sostanziale.

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