Conoscere vuol dire stupirsi

Bisogna sconfiggere la povertà educativa, che ostacola l’avvenire delle giovani generazioni, restituendo protagonismo alla scuola. “Dare sapore al sapere”, per formare i decisori di domani, è l’investimento più sicuro che possiamo fare

La vita interiore di chiunque di noi, anche di un manager, è vitale per gli altri e per la società anche se non si vede. Ma conta, molto. E la scuola è luogo dove costruirla, dove affinare la persona che si è. Quella che saprà fare la differenza in qualunque professione eserciterà. Quando Platone diceva che l’educazione in Grecia era ovunque, sosteneva una cosa fondamentale, cioè che il compito di far crescere un futuro cittadino era (ed è) una responsabilità collettiva fatta di luoghi, persone, idee sotto il cielo aperto di una città con le sue assemblee, i suoi tribunali, i suoi teatri e i suoi luoghi dove si praticava la filosofia. E i ginnasi che irrobustivano il corpo mentre la città irrobustiva la mente, un binomio che offre i suoi frutti migliori anche agli studenti di oggi. Tutti aspetti che oggi confluiscono nella scuola.

I risultati sconfortanti degli ultimi dati Invalsi e, ancora di più, le classifiche internazionali come l’Ocse-Pisa sono impietose nei confronti dei nostri figli da ben prima della Dad, la famigerata didattica a distanza, e ci descrivono giovani che si diplomano mediamente impreparati per affrontare il loro futuro culturale e lavorativo.

La povertà educativa dei nostri giovani è un’emergenza che non possiamo ignorare perché rischia di ricadere sui futuri medici, avvocati, professori, giornalisti, politici, insegnanti e professionisti alle cui mani sarà affidata la responsabilità di fare scelte. E in un clima di povertà è indispensabile fare leva sulla ricchezza della nostra scuola. Una scuola che, quando sa dare sapore al sapere, sa anche far innamorare i giovani di Darwin, Newton e Einstein come di Omero, Platone e Dante.

Ciò che conta è che incontrare maestri di umanità è l’esperienza unica e irripetibile che avviene sui banchi di scuola, simbolo che ci accomuna tutti, giovani e meno giovani, lo portiamo dentro di noi per la vita intera, trampolino o trappola di desideri. Chi ha il suo cuore nella scuola, lì concentra le sue energie nell’immaginare l’adulto in pectore che gli si siede davanti ogni mattina. Lo pensa in una classe in cui crescere, imparare e stare a suo agio. Si prende la briga di ragionare sulle letture con cui nutrire la mente dei suoi alunni, quali libri prestare loro e come essere contagioso nella sua passione e lo fa con la stessa cura con cui sceglie un cibo sano per un figlio.

Da ogni lettura si può ricavare linfa vitale per esercitare il proprio gusto e il proprio senso critico e dallo stare insieme si impara a lavorare con gli altri. Si va anche oltre. Conoscere vuol dire stupirsi, quante volte anche un manager mostra stupore o lo maschera per non rivelare che una cosa non è conosciuta? Stupirsi è una parola bellissima e ha una radice etimologica curiosa, stare fermo, e in latino vuol dire essere stordito dalla forza di qualcosa.

Da ogni lettura si può ricavare linfa vitale per esercitare il proprio gusto e il proprio senso critico. Dallo stare insieme si impara a lavorare con gli altri

Essere stupiti non è un’operazione semplice, se ci riflettiamo è un sentimento che ci colpisce a nostra insaputa, mentre siamo apparentemente immobili ma la nostra sensibilità si mette in moto. Una sensibilità verso i dettagli. E il dettaglio che non può sfuggire è che ciascuno ha la responsabilità di offrire il suo contributo, per quanto piccolo. In un consiglio d’amministrazione come nella redazione di un giornale, i nostri giovani avranno davanti a loro sfide fondamentali come l’importanza delle donne nella società e nel lavoro, la sostenibilità ambientale e sociale, le nuove frontiere della medicina e delle scoperte scientifiche, la tutela dei diritti umani, i flussi migratori e la robotica e l’intelligenza artificiale.

L’elenco è molto lungo, ogni epoca storica ha la sua agenda di priorità. Ed è qui che entra in scena quanto a scuola, sin da quando si è bambini, abbiamo imparato a conoscere chi siamo, non chi crediamo di essere. Entra in scena il coraggio di nutrire idee proprie, la capacità di sostenerle e di prendere posizione, senza ira o qualunquismo, ma con la forza del merito e della conoscenza. In questo momento occorre prendere nuovamente in prestito la parola con cui i greci indicavano l’educazione, partendo da una prospettiva precisa, quella della persona.

Non si deve avere paura di sembrare anacronistici quando si rispolverano modelli del passato, soprattutto nei momenti di crisi. Le diedero il nome di paideia, da pais, il bambino, cioè il futuro. Un progetto che si dilata sulla vita intera di un bambino che si fa uomo, lo sogna, ne plasma il corpo e l’anima preparandolo al cittadino e al guerriero che sarebbe stato. La paideia era così. E a noi viene da dire che sognare e scommettere sui propri giovani è l’investimento più sicuro sul futuro, in un ambiente dove siano coniugati rigore didattico e cordialità educativa, come amava ripetere un grande maestro a cui personalmente devo molto. Avere la forza e la perseveranza di contaminare la nostra tradizione con una apertura mentale internazionale e interculturale, che eserciti la sua paideia nella educazione alla complessità. Una paideia che connetta il mondo della scuola con il mondo del lavoro, creando un equilibrio tra vasi comunicanti.

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