Capitali all’opera

Un piano ambizioso: iniettare 8 miliardi in comparti strategici per stimolare la creazione di start-up e investire nell’economia reale. Attenzione prioritaria ad AI e cybersecurity, a cui va 1 miliardo di euro. Progetto Manager incontra Agostino Scornajenchi, Ad e Dg di Cdp Venture Capital.

Agostino Scornajenchi, Amministratore delegato e Direttore generale di Cdp Venture Capital

Agostino Scornajenchi, Amministratore delegato e Direttore generale di Cdp Venture Capital, ha presentato a Milano il nuovo piano industriale quinquennale, con un progetto che punta a mobilitare, entro il 2028, ben 8 miliardi di risorse e a trasformare il venture capital «in un’infrastruttura al servizio del Paese, al pari di quelle già esistenti che trasportano acqua, energia, persone», afferma Scornajenchi. Sono “sei più uno” gli ambiti individuati come strategici per l’economia italiana: quel “più uno” si riferisce al miliardo di euro dedicato all’intelligenza artificiale, l’investimento trasversale agli altri che, per volontà del Governo, arriva a rinforzare lo sviluppo di soluzioni AI in Italia e a fare da moltiplicatore di nuovi investimenti.

L’incidenza del venture capital su nostro Pil è ferma allo 0,1%, in Francia arriva allo 0,4, la media Ue è dello 0,3. Cdp Venture Capital punta a essere un soggetto economico protagonista. Lei dice, però: «Non saremo il supermercato degli incentivi». Cosa vorrete essere?

Vogliamo difendere la nostra posizione industriale, dobbiamo fare le cose, non comprarle da altri. Per questo il nostro piano è a 5 anni, perché per realizzare le cose ci vuole tempo. Noi non intendiamo soltanto finanziare progetti, ma diventare imprenditori insieme ai founder, con un approccio attivo e non meramente finanziario, sostenendo anche i rischi connessi. L’obiettivo del piano è pareggiare almeno la media europea, raggiungendo lo 0,3% su Pil. Perciò occorre una investiment proposition chiara. Non vogliamo diventare un “investificio”, essere identificati come il supermercato dell’equity agevolato. Altrimenti rischiamo di creare un sistema di selezione avversa, in cui le start-up migliori non verranno da noi e noi rimarremmo dipendenti dal capitale pubblico, che è un bene ci sia, ma solo se serve a spingere altri investimenti. Non vogliamo salvare imprese, vogliamo costruire le imprese di domani.

L’intelligenza artificiale è un’opportunità unica con un impatto globale impressionante, stimato tra i 2,6 e 4 triliardi di dollari al 2040

È questa la sua visione del venture capital?

Mi sono occupato a lungo di infrastrutture nella mia vita e per me il venture capital assume la forma di un’infrastruttura al pari di quelle già esistenti che trasportano acqua, energia, persone, e che, in questo caso, trasmette capitale dal pubblico e dal privato verso l’economia reale. Per riuscirci servono affidabilità e credibilità. Fino al 2020 il mercato italiano era poco significativo, nel 2023 si è attestato a 1,4 miliardi di euro, principalmente grazie al quarto trimestre che è andato molto bene recuperando la penalizzazione degli alti tassi di interesse: anche se sono mancati i big ticket, i deal sono stati in linea a quelli dell’anno precedente. Il nostro piano mira al target di 8 miliardi di euro nel 2028.

Parliamo di AI e cybersecurity. Quanto è strategico investire su questo asset e come intendete farlo?

Il nostro piano si concentra su 7 ambiti che, da un’analisi tassonomica effettuata, risultano strategici per l’Italia – in termini di peso sul Pil e di allocazioni Pnrr dedicate – e sufficientemente maturi nel mercato del venture capital – in termini di numerosità di start-up, peso dei deal, presenza di fondi di Vc settoriali. I 7 comparti sono: agrifoodtech, spacetech, healthcare & lifescience, cleantech, industrytech, infratech &mobility e Artificial intelligence & cybersecurity. Dico che sono 6 + 1 perché l’intelligenza artificiale in realtà riguarda anche tutti gli altri. L’AI è un’opportunità unica, il cui impatto globale è impressionante, stimato tra i 2,6 e 4 triliardi di dollari al 2040. In Italia non abbiamo ancora casi di successo in questo ambito, ma si sta aprendo uno spazio.

Quali cartucce abbiamo?

Penso a tre elementi di vantaggio tutti italiani. Innanzitutto, vantiamo competenze accademiche e tecniche straordinarie. E, sottolineo, che ci farebbe piacere che rimanessero qui. Poi la nostra cultura umanistica, che da sempre genera creatività e innovazione. Infine, la nostra capacità imprenditoriale di scalare anche all’estero.

In che modo gli strumenti di venture capital possono sostenere le start-up italiane ad emergere nel campo dell’AI e a competere con la concorrenza internazionale?

Il venture capital può essere determinante nel sostenere lo sviluppo di una via italiana all’intelligenza artificiale, accompagnando la crescita di campioni internazionali efficienti e concorrenziali sul mercato globale, assicurando un efficace supporto ai processi industriali di domani e garantendo allo stesso tempo la sicurezza dei dati sensibili per il Paese. Sappiamo che l’impatto della AI può essere non sempre positivo, per questo insisto anche sull’aspetto etico affinché ci distingua. L‘AI è una tecnologia potente che tuttavia pone delle potenziali criticità in termini di discriminazioni, di privacy, di sicurezza. Si deve lavorare per garantire anche un approccio etico alle nuove tecnologie che noi dobbiamo sostenere.

Vogliamo contribuire alla costituzione di uno, due silver bullet per fare massa critica attraverso la creazione di un soggetto competitivo sul mercato globale – un campione nazionale di AI – con un investimento di 300 milioni

Un miliardo di euro per l’intelligenza artificiale, a partire da quando e come?

Partiremo subito con la creazione del Fondo per l’intelligenza artificiale con una dotazione di 500 milioni, destinati a sviluppare nuovi modelli di linguaggio e la parte più infrastrutturale della tecnologia, la cosiddetta “deep tech”, mentre altri 500 milioni saranno declinati in coinvestimento sugli ulteriori 6 fondi settoriali a cui accennavo. In particolare, investiamo 120 milioni sul trasferimento tecnologico: quindi, ticket piccoli che servono a supportare ciò che studenti e ricercatori italiani stanno portando avanti. Altri 580 milioni andranno alle start-up che già lavorano su applicazioni verticali. Infine, vogliamo contribuire alla costituzione di uno, due silver bullet per fare massa critica attraverso la creazione di un soggetto competitivo sul mercato globale – un campione nazionale di AI – con un investimento di 300 milioni.

Come riuscirete a selezionare le start-up o i potenziali campioni di AI? Come mettere a sistema le opportunità in un settore così innovativo?

A livello di governance, bisogna favorire il cambiamento delle competenze disponibili. Come Sgr abbiamo bisogno di esperti, di ruotare il nostro modello organizzativo, dobbiamo introdurre specifiche competenze negli advisory board, nei comitati di valutazione. Ciò detto, il cambiamento di approccio riguarda tutte le aziende e il loro management. È necessario un “layer trasversale” su questi temi per la classe dirigenziale del Paese, perché l’intelligenza artificiale diventa un’opportunità se ci si arriva preparati, un rischio invece se ci si arriva spiazzati.

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