Dr. Jacci lei è l’autore del libro “L’alfabeto del leader”, una sorta di abbecedario, dove ad ogni lettera dell’alfabeto corrisponde una parola – tipo che descrive limiti e virtù del management italiano. Per dirigere le imprese vi è forse la necessità di un nuovo alfabeto?
Con questo libro ho voluto ripercorrere con molta concretezza ma anche col sorriso sulle labbra gli stili, i tic e le caratteristiche della realtà manageriale italiana.
Credo sia in atto nel sistema produttivo del nostro Paese una vera e propria “emergenza manageriale”, di cui purtroppo si parla poco, anche tra gli addetti ai lavori.
Più del 50% delle nostre imprese negli ultimi tre anni sono state oggetto di ristrutturazioni; dal 2008 ad oggi i dirigenti sono diminuiti del 3%, che è come dire che proprio quando l’impresa ha maggiormente bisogno di aiuto per reggere e svilupparsi, proprio in quello stesso momento decide di fare a meno dell’esperienza dei più preparati.
Nelle imprese italiane tira una brutta aria e non si punta più sulle competenze e su chi le possiede ma si pensa solo alle conseguenze di brevissimo periodo, con il risultato di un sistema produttivo ancora incapace di uscire da una crisi che sempre più appare come una condizione strutturalmente al palo.
Una classe dirigente aziendale impaurita sta generando una minore qualità del proprio lavoro e di questo scadimento sta soffrendo tutto il sistema produttivo, che non regge il passo dei competitor.
Dobbiamo provare a ripercorrere i fondamenti della direzione d’impresa, pur consapevoli del vertiginoso tasso di innovazione cui siamo tutti chiamati a rispondere.
Il sottotitolo del suo libro sembra assai più leggero delle sue parole. Si parla infatti di un “compendio semiserio per manager colti”…
In Italia nessuno legge più libri di management. In parte perché talvolta non si va alla radice dei problemi e si fanno chiacchiere inutili ma, in parte, è dovuto anche a uno stile inutilmente noioso.
Nei miei ultimi libri io utilizzo moltissimo storie, aneddoti, spigolature per affrontare i principali problemi con un’immagine o un’analogia che possa essere facilmente trattenuta da ognuno di noi.
In questo caso le storie hanno anche un loro spessore culturale, anche se rilevo che tutti si divertono molto, pur affrontando temi assolutamente concreti del vivere nelle organizzazioni.
Nelson Mandela dice:” Se parli con un uomo in una lingua a lui comprensibile, arriverai alla sua testa. Se gli parli con la sua lingua, arriverai al suo cuore”.
Pur parlando di management, cerco di trovare la via non solo della mente, ma anche del cuore dei miei lettori.
Avendo sempre vissuto nelle imprese cerco di utilizzare l’ironia più che i diagrammi, la spigolatura più che la teoria, il sorriso più che il pessimismo.
In sintesi, con quale messaggio ci vuole lasciare?
Alcuni anni fa rimasi colpito da un ricordo familiare di Mario Draghi, il quale parlando di suo padre, ricordò che gli lesse una scritta su un monumento: “Se hai perso il denaro lo puoi recuperare con un affare, se hai perso l’onore lo puoi recuperare con un atto eroico, ma se hai perso il coraggio hai perso tutto.”
Noi abbiamo dimostrato nel passato di avere competenze e capacità strategica come pochi altri gruppi dirigenti al mondo. Per rilanciare la crescita dobbiamo superare l’individualismo di cui siamo affetti e usare il coraggio di cui disponiamo.La crisi che non riusciamo a superare è anche una crisi delle aziende.
Da qui dobbiamo ripartire, rivitalizzando una cultura d’impresa che negli ultimi anni si è involuta divenendo talvolta una sottocultura di mera gestione del potere fine a se stesso.
Dobbiamo ripercorrere l’alfabeto manageriale di cui disponiamo per tessere un nuovo racconto del nostro futuro, aziendale e civile ad un tempo. Noi viviamo in un contesto strutturalmente paradossale. La crisi continua a mordere, la competitività cresce, così come la richiesta di servizi personalizzati mentre cala la domanda, diminuisce la fedeltà dei clienti e la propensione al consumo e gli azionisti chiedono ogni giorno di più.
Chi comanda le organizzazioni sta sopportando tutto il peso della crisi. La nostra cultura di direzione in questi ultimi vent’anni è molto cresciuta per complessità e capacità direzionale ma talvolta si è anche involuta in gestione del potere fine a se stesso. Le problematiche legate alla persone sono ammantate di retorica spesse volte assai vuota.
Marco Padovani, Federmanager Bologna