Altro che panchina!

L’Italia è alle prese con una transizione demografica complessa da gestire. Tuttavia, affrontare l’invecchiamento solo come problematico centro di costo è un errore: siamo dinanzi a opportunità nuove, anche per l’economia.

Quasi senza rendersene conto la comunità mondiale, che aveva impiegato 250 mila anni di storia per raggiungere una popolazione di poco meno di 2 miliardi, ha superato la soglia degli 8 miliardi in nemmeno un secolo, dal Secondo Dopoguerra in poi. Una grande corsa, o meglio una grande accelerazione come l’hanno definita John R. McNeill e Peter Engelke, che oggi inizia a mostrare qualche segno di cedimento (o meglio di rallentamento), quantomeno in Occidente. Diminuiscono le nascite, mentre aumenta l’aspettativa di vita, con l’Italia tra le prime delle fila non solo a livello europeo ma addirittura mondiale.

Insomma, la quota senior della popolazione non è mai stata così consistente nella storia millenaria dell’umanità e del nostro Paese dove, a fronte di 27,646 milioni di over 50, al 2022 gli ultra 65enni erano circa 14 milioni, pari a poco meno del 24% della popolazione totale. Una percentuale destinata a salire, secondo le stime Istat, fino al 35% da qui al 2050, quando un italiano su tre avrà raggiunto un’età superiore ai 65 anni.

Nel nostro Paese, a fronte di 27,646 milioni di over 50, al 2022 gli ultra 65enni erano circa 14 milioni, pari a poco meno del 24% della popolazione totale

Cambia dunque la struttura per età della popolazione, ma si modifica anche la composizione delle famiglie, ormai sempre più spesso mononucleari. Tra meno di vent’anni un silver su tre vivrà da solo, con tutte le possibili implicazioni socio-sanitarie del caso nell’eventualità di problemi di salute o, peggio, di non autosufficienza. Tanto più se si considera che l’Italia si colloca sì stabilmente tra i Paesi più longevi al mondo, ma non fa altrettanto bene per quanto riguarda l’aspettativa di vita in buona salute: significativa, in effetti, la forbice tra i due parametri, con una speranza di vita a 65 anni pari nel 2020 (ultimo anno disponibile) a 18,3 anni per gli uomini e 21,7 per le donne, che si riduce rispettivamente a 10,3 e 10,6 guardando invece all’invecchiamento in buona salute.

Numeri di cui tenere conto, ma che non giustificano alcuni allarmismi eccessivi dinanzi a quella che dovrebbe essere vissuta come una conquista, la maggiore longevità! Come non si può ritenere una buona notizia avere 20 anni in più di vita? Un grande regalo! Certo, l’Italia è ancora impreparata a gestire la transizione demografica in corso, come dimostrano l’assenza di adeguati programmi di screening, prevenzione, Long Term Care o presa in carico, la mancata riorganizzazione di modelli produttivi e di lavoro o, ancora, la difficoltà di dotarsi di regole di pensionamento sì flessibili, ma anche stabili e durature. Eppure, parlare dell’invecchiamento solo come problematico centro di costo è un errore: siamo semmai dinanzi a un’occasione, anche per l’economia. Il nostro “petrolio”, per citare il Professore Roberto Bernabei, tra i massimi esperti italiani del settore.

Non è solo una questione di numerosità. Fatto altrettanto importante rispetto al passato è che i silver sono tra i maggiori detentori di ricchezza – intesa come patrimonio sia mobiliare che immobiliare – del Paese, disponendo oltretutto di flussi di reddito stabili anche in fasi di crisi (ultima solo in ordine di tempo la pandemia da Covid-19), in quanto non dipendenti dai cicli economici. Giusto per dare qualche numero, il patrimonio medio dei soli over 65 italiani è stimabile in 297 mila euro che, moltiplicati per 14,051 milioni di soggetti interessati, portano il totale della loro ricchezza a 4.173,14 miliardi di euro; se ci riferiamo alle persone tra i 55 e i 64 anni di età il patrimonio medio stimato arriva a circa 303 mila euro. Una patrimonializzazione importante, che si traduce in uno spendibile netto annuo di circa 288,7 miliardi di potenziali consumi, orientati – dati alla mano – soprattutto verso specifici settori, come sanità, alimentazione, casa o tecnologia.

Complice una posizione professionale, economica e familiare ormai consolidata, queste persone si trovano infatti in una fase cosiddetta di “decumulo” e possono spendere persino più di quanto incassano per soddisfare le proprie esigenze. Bisogni e desideri che, nella maggior parte dei casi, riguardano la famiglia e/o la possibilità di garantirsi una fase di quiescenza il più possibile serena e in buona salute. Il che implica una modifica degli stili di vita ma, soprattutto e in prospettiva, un nuovo modo di investire, assicurarsi, abitare e progettare il proprio futuro, con ricadute positive per il settore dei servizi, attività commerciali e produttive dedicate, così come per banche, assicurazioni e il mondo della finanza in generale.

È questa l’essenza della silver economy, la nuova grande economia che dominerà il prossimo decennio, creando anche occupazione (parliamo di 4,6 milioni di lavoratori secondo l’ultimo Quaderno di approfondimento presentato da Itinerari Previdenziali) e obbligandoci a superare un’immagine fin troppo stereotipata degli anziani. Non solo soggetti da assistere e quindi dediti alla cura della propria salute, ma anche platea attiva, attenta al benessere della propria persona in senso più ampio e le cui specifiche necessità, se adeguatamente comprese e assecondate, possono diventare una leva di sviluppo per il Paese.

La silver economy dominerà il prossimo decennio, creando anche occupazione: 4,6 milioni di lavoratori secondo l’ultimo Quaderno di approfondimento presentato da Itinerari Previdenziali

Scendendo nel dettaglio, le stime elaborate dal nostro Centro studi e ricerche quantificano l’impatto sul Pil generato da beni e servizi rivolti agli over 50 – la cosiddetta economia d’argento, secondo la definizione che ne dà la Commissione europea – in 583 miliardi di euro, pari a poco meno di un terzo del Prodotto interno lordo 2021. Cifre che restano significative e di impatto anche circoscrivendo l’analisi agli over 65: in questo caso, l’impatto sul Pil sarebbe infatti pari a 350 miliardi di euro, a dimostrazione della concreta possibilità di poter trarre anche delle positività dalla transizione demografica in corso. Un’indubbia risorsa sotto il profilo finanziario per l’appunto, ma non solo.

Il “rallentamento” inevitabilmente dovuto alla demografia può infatti diventare l’occasione per un ripensamento generale della nostra società, in una direzione più etica e soprattutto distante dal capitalismo deviato di questi ultimi anni: meno frenesia a beneficio di maggiore attenzione al valore del tempo e della crescita personale, ma anche in favore di scelte d’acquisto e di consumo più orientate alla qualità che alla quantità.  Per riuscirci, e vincere davvero la sfida posta dalla longevità, serve allora uno sforzo da parte tanto del pubblico quanto del privato, chiamati a intercettare le peculiarità specifiche di questa fascia della popolazione, trasformandole in un’offerta su misura di beni e servizi, che ne favorisca invecchiamento attivo e massima partecipazione sociale. Perché quelli che ai tempi della riforma Brodolini del 1969, a fronte di un’aspettativa di vita che si aggirava intorno ai 65 anni, erano legittimamente ritenuti vecchi, oggi sono giovani arzilli anziani che non vogliono e non possono essere messi in panchina (ad esempio, da leggi discutibili come quella Madia sulla pubblica amministrazione) ma che, forti anche delle risorse, delle competenze e delle qualità acquisite anche attraverso l’esperienza, vogliono anzi sentirsi ancora utili alla collettività, con un ruolo preciso e ben riconosciuto.

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