Presidente Cuzzilla, lei è reduce da un incontro di quasi due ore con il suo omologo in Confindustria, Vincenzo Boccia. Ci può dire di cosa avete discusso?
La relazione con Boccia sta diventando solida e molto fruttuosa. Devo ammettere che in questo momento di incertezza politica sentiamo entrambi la responsabilità di unire le forze per mandare avanti il Paese. Vediamo concreto il rischio di stallo: è sempre più complicato trasformare il dialogo istituzionale in un programma di azioni per la crescita economica. Anche l’Europa sta vivendo un momento di fragilità e non è d’aiuto. L’obiettivo è tornare a crescere perché, rispetto a quanto stanno facendo i nostri partner europei, un Pil che sfiora il +1% non è assolutamente sufficiente. Per questo, abbiamo deciso di valorizzare il ruolo dei nostri manager e di attivarci sui territori, che sono una ricchezza da sostenere insieme.
Quindi, si sta aprendo una nuova fase per la bilateralità?
Finora il sistema bilaterale si è retto sul sacrificio di imprenditori e di manager. Questo è il momento di capitalizzare quel sacrificio. Non credo che possiamo più interpretare il sistema di relazioni industriali alla vecchia maniera, come il tavolo della concertazione. Piuttosto, come soggetti protagonisti del cambiamento, abbiamo condiviso con Confindustria un piano di azione sul biennio 2017-2018 che ci impegnerà sia a livello pubblico sia coinvolgendo i nostri rappresentanti negli Enti di welfare complementare. La bilateralità sarà il principale vettore propulsivo ma non mancheranno iniziative che personalmente io e Boccia porteremo avanti per incidere sulle scelte di politica nazionale che hanno ricadute sul mondo produttivo.
Industria 4.0 è uno dei temi su cui le vostre Organizzazioni stanno intervenendo. Ci sono punti di convergenza sul progetto?
Industria 4.0 è il principale campo d’azione. Capiamo che c’è l’attenzione dei policy makers e, onestamente, dobbiamo approfittarne. La sfida è abbattere la convinzione fra gli operatori economici che si tratti solo di un fenomeno tecnologico, per addetti ai lavori. Con Confindustria intendiamo rivolgerci anche quelle parti del Paese che non hanno la consapevolezza piena di quanto può accadere, di come le imprese che rimangono statiche possano essere travolte. Per questo abbiamo lanciato una massiccia iniziativa di informazione e di formazione su tutte le principali competenze manageriali che serviranno. Le risorse manageriali sono la chiave di volta per il successo di questa trasformazione digitale.
Anche con Confapi la relazione appare più stretta. Che valore dobbiamo attribuire al nuovo CCNL che avete firmato?
Voglio premettere che Confapi rappresenta il cuore della nostra industria. In Italia abbiamo quasi 4 milioni di micro imprese, vale a dire quelle con meno di 10 dipendenti, che rischiano di non superare la rivoluzione digitale. Ma c’è anche molto potenziale: dai dati Istat sul 2016 emerge che le micro imprese guidate da giovani imprenditori sono state capaci di creare il 30% di posizioni lavorative in più rispetto agli imprenditori anziani. L’idea condivisa con il Presidente Casasco è quella di immettere managerialità nelle piccole e medie imprese, aiutarle a crescere dimensionalmente e a essere competitive sul mercato internazionale. Il nuovo contratto parte con questa intenzione e introduce il giusto mix di tutele e flessibilità.
C’è anche molto welfare in questo nuovo contratto. Lei ritiene possa costituire la soluzione alle debolezze di quello pubblico?
Il welfare integrativo, a partire dalla previdenza complementare, può svolgere un ruolo importante, ma deve essere incentivato e sostenuto da una normativa valorizzante. Finora molto è lasciato all’iniziativa contrattuale che, per quanto lungimirante, non ha raggiunto una massa critica sufficiente a costituire una risposta di sistema.
Nella contrattazione con Confapi abbiamo appena introdotto un nuovo Fondo che abbiamo chiamato “PMI WelfareManager” e che è destinato a supportare le politiche attive del lavoro. Le carriere oggi sono sempre più discontinue e noi sentiamo il dovere di rafforzare competenze, occupazione e reddito dei nostri colleghi nel momento del bisogno.
In questo mercato del lavoro, poi, si entra sempre più tardi. Quale sarà l’impatto sul nostro sistema previdenziale e cosa bisogna fare per metterlo al sicuro?
La verità è che il mercato del lavoro non sostiene da solo le uscite previdenziali. Nel nostro Paese ci sono quasi 1,4 soggetti attivi per ogni pensionato. Ma attenzione: non è vero che la spesa previdenziale è fuori controllo. Federmanager sta conducendo una battaglia culturale per separare assistenza da previdenza: questo non solo per una ragione contabile, ma per una ragione di equità sociale. Il peso del welfare è tutto sulle spalle dei soliti noti. Chi percepisce una retribuzione superiore ai 55.000 euro annui paga, da solo, un terzo delle imposte. Di contro, a guardare le dichiarazioni Irpef, quasi la metà degli italiani risulta privo di reddito. Capiamo che a queste storture dobbiamo reagire con una decisa lotta all’evasione da un lato e, dall’altro, con un rilancio della previdenza complementare, agevolandone l’accesso da parte delle giovani generazioni.