Una riforma monumentale

Il sistema dei beni culturali gode davvero di ottima salute? Con Dario Franceschini, autore di una riforma che oggi torna alla ribalta, parliamo di come assicurare competenza e capacità gestionale all’altezza del nostro patrimonio artistico

Diversi milioni di visitatori in un anno, 19 per l’esattezza, +7,7% rispetto al 2015. Un dato questo, diffuso nel gennaio scorso dall’Istat, che racconta un’ascesa record del patrimonio culturale italiano. Altro che zero virgola! Se c’è un settore in grande ascesa nel Paese, è proprio quello della cultura. “Il giorno del mio insediamento al ministero dei Beni culturali, nel febbraio 2014, dissi che ero stato chiamato a guidare il più grande ministero economico del nostro Paese e questi dati lo confermano”. Il ricordo è di Dario Franceschini, tornato alla guida del ministero per i Beni e le attività culturali, già artefice della riforma del MiBAC che porta il suo nome.

Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali

Onorevole Franceschini, i numeri del settore culturale sono rilevanti e non conoscono crisi.

E sono numeri destinati a migliorare sempre di più per una ragione ben precisa: i viaggiatori nel mondo aumentano, ci sono paesi che non avevano un turismo in uscita e ora lo hanno. Pensiamo alla Cina o all’India. Il nostro obiettivo deve essere quello di intercettare questi flussi e gestirli. Per farlo bisogna differenziare l’offerta turistica: non solo città d’arte che hanno anche problemi di sostenibilità turistica, ma mare, montagna, piccoli centri. Un sistema che deve essere gestito con capacità e competenza, per farlo tuttavia servono anche grandi investimenti economici.

Però, onorevole, questi investimenti bisogna saperli anche gestire…

Dopo anni in cui si è parlato tanto di tutela, ma poco di valorizzazione, grazie alle nostre riforme abbiamo cercato di cambiare il segno. Abbiamo per esempio nominato alla guida di musei, enti e aree archeologiche personalità in possesso di grande competenza e professionalità specifica. I direttori nominati si sono dimostrati abili manager, in grado di importare nel nostro Paese una versione gestionale di alta competenza internazionale.

Tutela e valorizzazione, come diceva lei, non possono essere dicotomici, ma alcune critiche alla sua riforma si basano proprio su questo: le due dimensioni sono state troppo separate?

Niente affatto. Queste sono falsità figlie di un dibattito ideologico. Prendiamo, ad esempio, il museo del Louvre che non si vergogna di fare marketing e vendere gadget. Lo fa perché così riesce a valorizzare al meglio la propria identità, utilizzando il ricavato per tutelare il patrimonio che custodisce. In questo senso tutela e valorizzazione possono andare di pari passo. Piuttosto è fondamentale non scindere, come purtroppo è stato fatto, turismo e beni culturali: sono due ambiti che possono e devono procedere insieme.

Ha citato il Louvre. Nella classifica dei musei con più visitatori in Europa quello parigino è il primo. Per trovarne uno italiano dobbiamo scendere alla quattordicesima posizione, con la Galleria degli Uffizi. Come mai questo ritardo?

Paragonare il Louvre ai nostri musei è un errore grossolano. Noi siamo il Paese dei 400 musei, non abbiamo grandi poli nazionali in cui da secoli vengono fatte confluire opere da tutto il mondo. Basti considerare che il Louvre è undici volte più grande degli Uffizi. Da noi ogni città ha un suo museo e questo è un modo anche per raccontare al meglio la storia del territorio. Se si guarda la classifica complessiva dei musei, l’Italia è prima e supera di gran lunga persino la Francia.

Lei prima denunciava un approccio troppo spesso ideologico al tema culturale. Un gran dibattito nel nostro Paese riguarda il ruolo dei privati nella cultura. Lei con l’Art bonus ha promosso un credito d’imposta al 65% per i privati interessati a finanziare il nostro patrimonio. Come è andata?

L’Art bonus ha funzionato molto bene e ha avvicinato aziende e mondo della cultura. Non solo grandi gruppi, ma anche piccole imprese. Nessuno pensa di vendere i beni culturali, ma il ruolo del privato può essere centrale nella loro valorizzazione. Per non parlare dell’efficacia delle partnership tra pubblico e privato: guardiamo al museo Egizio di Torino che cresce proprio grazie a una valorizzazione nata dall’unione delle risorse statali con quelle private.

L’Art bonus ha funzionato molto bene e ha avvicinato aziende e mondo della cultura. L’unione delle risorse statali con quelle private in molti casi ha portato maggiore efficacia

Lasciamo per un attimo i musei e pensiamo alle 293 aree archeologiche censite dall’Istat, presenti per la maggior parte nel nostro Sud. Cosa si può fare per renderle sempre più determinanti e accrescere così l’appeal turistico delle varie regioni?

Si possono rendere più diffuse le buone pratiche, come quelle registrate a Pompei, Ercolano o nel museo dell’Appia Antica a Roma. Pompei era un simbolo di cattiva gestione, oggi è un esempio di corretto utilizzo di fondi europei e di buona managerialità. L’attenzione va posta però anche sulle piccole aree archeologiche, che possono diventare un vero e proprio volano di crescita culturale e turistica dei territori. In questo scenario, uno straordinario ruolo viene giocato anche dalla tecnologia. Riproduzione di realtà virtuale e aumentata hanno permesso una riscoperta straordinaria dei luoghi archeologici. Le più recenti tecnologie consentono anche al visitatore non tecnico di comprendere le opere e la loro storia, ma in questo campo occorre capacità manageriale e know how specifico per intuire il grande beneficio in termini di visitatori e di marketing che questi nuovi applicativi possono offrire.

Pompei era un simbolo di cattiva gestione, oggi è un esempio di corretto utilizzo di fondi europei e di buona managerialità.

Concludendo, onorevole, lei è stato ministro per quattro anni. C’è qualche progetto che ha lasciato incompiuto e che avrebbe voluto ultimare?

Avrei voluto lavorare di più sulle industrie culturali creative, che significa promuovere investimenti e destinare risorse ai talenti, oltre che alle innovazioni tecnologiche e creative. Un approccio del genere consentirebbe di unire le opportunità globali con la creatività made in Italy, supportando le start up, per mettere al servizio del nostro immenso patrimonio culturale il talento dei nostri giovani. Da quest’Italia, famosa per il suo estro e per la capacità di innovare, può emergere un nuovo slancio vitale per il patrimonio artistico, archeologico e monumentale. Tutto sta, anche in questo caso, nel saper cogliere le sfide e comprendere il cambiamento che si registra nel settore.

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