Una partnership complessa

Bruxelles e Pechino restano fortemente legate sul piano industriale e commerciale, ma tra un’incessante concorrenza ed equilibri geopolitici fragili il rapporto è sempre più altalenante

«Un dialogo tra sordi». Così l’ex titolare della diplomazia europea, Josep Borrell, descriveva il clima in cui nell’aprile 2022 si era svolto il dialogo strategico tra Bruxelles e Pechino. L’Unione europea voleva parlare di diritti umani e guerra in Ucraina, la Cina invece si tappava le orecchie: «Non eravamo d’accordo su niente», ricorda Borrell.

A distanza di tre anni, tutt’oggi Pechino non vuole sentire. Il «sostegno politico e diplomatico [della Cina] alla Russia» resta «il fattore più importante nel deterioramento dei rapporti bilaterali». Ma non è l’unico. Lo «squilibrio commerciale ed economico» primeggia nella lista delle lamentele stilata dall’ambasciatore Ue a Pechino, Jorge Toledo, in occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con il gigante asiatico.

Il clima non è esattamente quello di una festa. Da tempo il blocco dei 27 va denunciando la natura impari del partenariato con la Cina. Un problema vecchio che, tuttavia, sta assumendo una dimensione nuova. Se il pomo della discordia restano i soliti sussidi statali, oggi la necessità di affrancare l’economia cinese dagli investimenti infrastrutturali sta incentivando lo spostamento di capitali pubblici nel settore manifatturiero. Ma senza un mercato interno in grado di assorbire la (sovra)produzione industriale, il ribilanciamento strategico di Pechino rischia di provocare un incremento distorsivo dell’export dalla Repubblica popolare verso il Vecchio Continente. Soprattutto dopo l’imposizione dei dazi americani sul “made in China”.

Con la rapida chiusura delle dogane Usa, ad aprile l’arrivo delle merci cinesi in Europa ha segnato un +8,3% su base annua e un +10,3% rispetto a marzo. A trainare l’export figurano macchinari industriali e automobili a nuova energia. Anche dopo l’imposizione delle tariffe Ue sui veicoli elettrici (Ve) fabbricati in Cina, la seconda economia mondiale resta aggrappata a un paradigma di sviluppo che minaccia la longevità dell’automotive europeo e non solo. Anche se l’automotive europeo e non solo hanno a lungo beneficiato di quel paradigma di sviluppo per produrre a basso costo.

Con la rapida chiusura delle dogane Usa, ad aprile l’arrivo delle merci cinesi in Europa ha segnato un +8,3% su base annua e un +10,3% rispetto a marzo

Sono numeri che restituiscono la complessità di un rapporto destinato probabilmente a restare teso, nonostante il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e le crepe sempre più profonde nell’alleanza transatlantica. Dal 2019 Bruxelles considera la Cina «rivale sistemico», «partner» e «concorrente». Ormai da tempo, il blocco dei 27 ha ceduto ai paesi Asean il titolo di primo partner commerciale di Pechino. Eppure, ancora oggi, si tratta di una relazione che ogni anno vale oltre 700 miliardi di euro. Tra accuse incrociate e rimbrotti, entrambe le parti sanno che le incertezze del contesto internazionale rendono necessario il raggiungimento di un modus vivendi il più possibile “win-win”.

Per la Cina, l’Ue resta un interlocutore prioritario, una «forza del multilateralismo» e una fonte di stabilità in «una fase di cambiamenti epocali». Per Bruxelles, il gigante asiatico rappresenta l’alternativa a un’America sempre meno collaborativa e disimpegnata dai dossier globali. A inizio anno Ursula von der Leyen ha rimarcato «vantaggi reciproci nel nostro dialogo con la Cina». Madrina della politica di “derisking”, la presidente della Commissione europea ha inaugurato il 2025 con un messaggio ben diverso dal consueto appello a una maggiore autosufficienza nei settori critici. Lo ha fatto invitando capitali stranieri nell’industria cleantech e delle infrastrutture digitali. Due comparti altamente strategici, in cui la Repubblica popolare primeggia per capacità tecnologiche e risorse stanziate, confermandosi ancora un «partner».

Ma, come detto, Pechino è anche «rivale sistemico» e «concorrente». La comunità del business – meno sensibile alla geopolitica e più agli indici economici – è la prima ad avvertire questa rivalità. Secondo una recente indagine della Camera di Commercio Ue in Cina, solo il 29% dei rispondenti ha espresso ottimismo sulle proprie prospettive di crescita nella Repubblica popolare nei prossimi due anni, mentre il 29% si è detto pessimista; rispettivamente il livello più basso e più elevato di sempre.

Sul giudizio pesa la «persistente deflazione dei prezzi», ma ancora di più la mancanza di reciprocità, problema a lungo sollevato dai partner europei: le barriere normative, per quanto negli ultimi anni alleggerite, continuano a penalizzare gli investitori stranieri sul mercato cinese. Oggi persino più di ieri, considerata la maggiore competitività delle aziende locali.

Sebbene anche la Cina lamenti un ambiente a suo dire «discriminatorio», lo scorso anno gli investimenti cinesi nel Vecchio Continente hanno raggiunto i 10 miliardi di euro, segnando un aumento annuo del 47%, pari al 53% di tutti gli investimenti cinesi nei paesi ad alto reddito. Di contro, nello stesso periodo gli investimenti diretti esteri (Ide) nella Repubblica popolare hanno registrato un calo significativo, con afflussi netti ai minimi degli ultimi trent’anni: solo 18,6 miliardi di dollari, rispetto ai 344 miliardi del 2021.

 

C’è stato un tempo in cui Bruxelles confidava di riuscire a raddrizzare gli squilibri cronici con i negoziati. Nel 2020, dopo annose trattative, Cina e Ue hanno siglato l’accordo di investimento bilaterale Cina-Ue (Cai). Finalizzato ad aprire il mercato cinese alle imprese europee in modo più equo, il trattato non è mai stato ratificato a causa dell’imposizione incrociata di sanzioni in materia di diritti umani. Intanto, in Europa sono subentrate altre priorità, come contenere l’arrivo di merci sussidiate dalla Cina. Il che equivale a pretendere una ristrutturazione radicale del modello economico cinese. Optando per la concessione meno onerosa, Pechino ha rimosso le misure ritorsive imposte nel 2021 contro alcuni eurodeputati nella speranza di riaprire il dialogo sul Cai.

Per le autorità comunitarie, d’altro canto, la scarsa recettività della controparte cinese alla richiesta di maggiore reciprocità ha reso necessario l’utilizzo di nuovi strumenti normativi. Il 2 giugno la Cina è stata interdetta alle gare per le forniture di dispositivi medici di valore superiore ai 5 milioni di euro nel mercato unico, prima volta che l’Ue ha impiegato il regolamento sugli appalti internazionali contro un paese straniero. Nel “dialogo tra sordi” a Bruxelles, chiaramente, le parole non bastano più. Trump o non Trump.

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