Le relazioni tra Italia e Usa si consolidano progressivamente, nel segno di una grande sintonia tra il governo Draghi e l’amministrazione Biden. Per saperne di più, Progetto Manager incontra Mariangela Zappia, Ambasciatrice d’Italia negli Stati Uniti.
Mariangela Zappia, Ambasciatrice d’Italia negli Stati Uniti
Ambasciatrice, nel processo di graduale uscita dall’emergenza Covid, si riparte dalle tre priorità del G20 di Roma: ‘People, planet and prosperity’. Quale sarà il ruolo della diplomazia per focalizzare l’agenda internazionale su questi tre pilastri?
Tutti i membri del G20, a partire dagli Stati Uniti, concordano nel continuare a porre al centro dell’agenda internazionale le tre priorità scelte dall’Italia, che riflettono le sfide epocali di pandemia, crisi climatica e ripresa economica sostenibile. Dopo i risultati importanti raggiunti dal G20 italiano su temi quali la tassazione delle multinazionali – un cambio di paradigma per l’economia globale -, il cambiamento climatico e la campagna di vaccinazione su scala mondiale, alla diplomazia spetta un triplice compito. Tradurre i tanti impegni assunti in sede di G20 in accordi e misure vincolanti; estendere tali impegni al più ampio numero di Paesi, oltre il G20; raggiungere ulteriori traguardi, costruendo sui progressi compiuti finora.
Il nostro Paese, guidato dal governo Draghi, incontra un largo apprezzamento da parte della nuova amministrazione statunitense. Quanto è importante questa occasione per consolidare l’asse strategico Italia-Usa?
Nella sua recente visita a Roma, il Presidente Biden non poteva esprimere in modo più sentito la sua gratitudine all’Italia per la leadership e i risultati raggiunti nel G20, per il sostegno sull’Afghanistan, per quanto facciamo nella Nato. È emerso chiaramente quanto Washington conti sull’Italia – anche quale importante membro dell’Ue – per fronteggiare le sfide alla sicurezza in ogni quadrante e per governare l’economia del 21mo secolo, sulla base di valori condivisi di democrazia, libertà, rispetto dei diritti. È questa comunanza di valori che rende indissolubile il legame tra Italia e Stati Uniti, perché fa coincidere i nostri interessi e ci porta a scelte condivise determinanti sul piano globale. La grande sintonia tra questa amministrazione Usa e il nostro governo deriva anche da parallelismi significativi nelle rispettive agende nazionali: penso all’impulso alle vaccinazioni, agli investimenti nella transizione verde, all’attenzione alla sostenibilità e alla parità di genere, per fare solo alcuni esempi.
Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato per i prodotti italiani al di fuori dell’Ue e l’interscambio di beni e servizi tra i due Paesi, nel 2019, ha raggiunto un valore di oltre 100 miliardi di dollari. Un dato che potrebbe anche migliorare alla fine del 2021?
È possibile, e le condizioni ci sono tutte. Usa e Italia sono tra le grandi economie che crescono di più dopo la pandemia. Grazie alla presidenza italiana del G20 e all’accordo Ocse abbiamo eliminato il rischio di dazi per la digital tax; quelli per il caso Airbus-Boeing sono stati sospesi e a Roma è stato annunciato uno storico accordo su acciaio e alluminio. Gli investimenti e le riforme del Piano nazionale di ripresa e resilienza favoriscono scambi e investimenti bilaterali. Grazie anche al Patto per l’export lanciato dalla Farnesina lo scorso anno, le nostre esportazioni sono cresciute del 30% nei primi mesi del 2021, oltre i tassi record del 2019. Quest’anno il nostro export verso gli Stati Uniti, che genera oltre il 50% del surplus con l’estero, è in crescita di quasi il 5% rispetto ai livelli pre-pandemia, con risultati importanti sia nei settori tipici del “made in Italy”, sia in quelli a più elevato contenuto tecnologico. Noi siamo impegnati al massimo per sostenere questo trend.
Grazie anche al Patto per l’export lanciato dalla Farnesina lo scorso anno, le nostre esportazioni sono cresciute del 30% nei primi mesi del 2021, oltre i tassi record del 2019
Quale potrà essere, a suo giudizio, il contributo delle competenze manageriali italiane per incidere nel mercato statunitense e attrarre investimenti qualificati nel nostro Paese? Quanto conterà per i manager italiani rafforzare competenze in tema di export, sostenibilità e digitale?
I manager italiani sono apprezzati negli Usa e nel mondo e occupano storicamente posizioni apicali anche in grandi gruppi multinazionali. Per un Paese come il nostro, tra i più avanzati in materia di sostenibilità e in cui l’export genera un terzo del Pil, rafforzare le competenze in questi settori e sul digitale è fondamentale, specie in quest’era di trasformazioni epocali, accelerate dalla pandemia. Il focus sulla trasformazione digitale nel Pnrr da un lato e la creazione, nel Patto per l’export, di figure quali i temporary e digital export manager, dimostrano che stiamo andando nella direzione giusta.
Tra Italia e Usa emerge anche la volontà di potenziare la collaborazione in ambito scientifico e tecnologico. Da Fermi alla lotta al coronavirus, l’Italia dimostra di essere uno storico interlocutore d’eccellenza. Che ne pensa?
Non c’è dubbio che l’Italia è per gli Usa un partner di eccellenza, più che un interlocutore. Decine di enti e centri di ricerca americani hanno collaborato con controparti italiane nella ricerca su vaccini e terapie contro il Covid. Collaboriamo su clima e sostenibilità, dalle energie rinnovabili all’idrogeno. La rivoluzione digitale è l’altra grande opportunità e l’Italia inaugurerà in California entro fine anno un Innovation hub dedicato a imprese avanzate, centri di ricerca, venture capital e start up. Partecipiamo, con l’Asi, al programma spaziale Artemis, per l’esplorazione della Luna e di Marte. Tutto questo è possibile anche grazie alla presenza di 15 mila scienziati italiani negli Usa, anche in prestigiosi centri come il National institutes of health e la Nasa. La partnership tra Italia e Stati Uniti, fondata su valori democratici e principi di trasparenza e integrità della ricerca scientifica, è più che mai essenziale per assicurare uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
Come prima donna alla guida della nostra Ambasciata a Washington, è il simbolo di un empowerment femminile che giunge ai livelli più alti. La strada per ridurre il gender gap è ancora lunga, cosa si può fare di più?
La mia nomina e quelle di altre donne al vertice è senz’altro un segnale positivo e il nostro Paese ha posto il tema della parità di genere al centro dell’agenda nazionale, nel Pnrr, e a livello globale, anche ospitando la prima conferenza ministeriale sull’empowerment femminile del G20. La strada per ridurre il gender gap è ancora più lunga dopo questa pandemia, il cui peso è gravato soprattutto sulle donne. Come sottolineato dal Presidente Draghi anche al vertice G20 di Roma, discriminazione e disuguaglianza nei confronti delle donne non sono solo immorali e ingiuste ma miopi: le nostre economie stanno infatti perdendo alcuni dei talenti migliori. L’imperativo è garantire parità di condizioni competitive tra donne e uomini, puntando a un riequilibrio del gap salariale, a un welfare che non costringa le donne a scegliere tra famiglia e lavoro, a un uguale accesso alla formazione, a tutti i livelli. Servono per questo investimenti economici e un forte cambiamento culturale per superare gli stereotipi e promuovere una parità dei ruoli nella società.
Garantire parità di condizioni competitive tra donne e uomini, puntando a un riequilibrio del gap salariale