L’anomala alleanza di governo, con le sue visioni divergenti, in cui ognuno lancia il proprio cavallo di battaglia, ha finito col presentarci una doppia spesa: il “reddito di cittadinanza” per soddisfare gli uni, “quota 100” per accontentare gli altri. In questo modo tutti sono felici, il “contratto” tiene e rispetta le promesse.
Se poi in questo modo si aumenta la spesa corrente, si genera incertezza sui mercati, lo spread cresce e la fiducia di investitori e consumatori torna ai minimi storici, beh, tutto questo diventa irrilevante. Diventa del tutto irrilevante aver introdotto – in piena e insana continuità con il passato – clausole di salvaguardia di decine di miliardi euro che dovranno essere disinnescate non si sa bene con quali misure, dato che siamo già in recessione tecnica.
Dunque, è semplice, basta prendersela con i soliti noti, con quei pensionati che con le loro capacità hanno portato il Paese a essere tra le prime economie al mondo, hanno versato ingenti contributi spesso per oltre 40 anni, le alte imposte fino all’ultimo euro ma che, purtroppo, hanno la colpa di percepire una pensione elevata.
Si stringe, ancora una volta, il rubinetto dell’adeguamento automatico delle pensioni. Si sceglie di tagliare per i prossimi cinque anni gli assegni superiori ai 100 mila euro annui con tassi da usura, ottenendo in cambio un misero gettito di circa 80 milioni all’anno.
Solo per mettere un dito nell’occhio a una compagine di pensionati che si è ridotta a circa 24 mila unità, in maggioranza del settore pubblico, anche grazie all’efficace azione che abbiamo condotto insieme alla nostra Confederazione. Per la nostra rappresentanza si tratta di circa 2 mila posizioni rispetto alle iniziali 12.500 coinvolte, per non parlare del ddl Molinari- D’Uva depositato in Parlamento che abbiamo rinviato al mittente, che avrebbe apportato un taglio strutturale, quindi per sempre.
La nostra è un’azione di contenimento danni, non certo una vittoria che, tuttavia, ha consentito di salvare dal prelievo circa 10 mila nostri colleghi.
Interventi destrutturati come quelli proposti non sono più tollerabili. Non è accettabile lo stato di perenne incertezza che coinvolge tutti, soprattutto i più giovani, ormai sfiduciati, convinti che a loro il futuro non riserverà nulla o quasi.
Con questi interventi aumenterà ulteriormente la quota dell’assistenza, che già cresceva al ritmo di circa il 5% all’anno, avvicinandosi in termini di peso a quella pensionistica che saliva invece di un +1% all’anno, prima di “quota 100”.
L’area delle povertà è una piaga sociale su cui occorreva agire partendo da chi non è in condizioni di lavorare, mentre favorire l’ingresso nel mercato di chi può lavorare richiederebbe ben altro genere di investimenti e un profondo riassetto di strumenti che oggi non funzionano.
Così come la flessibilità in uscita per chi non è più giovane e ha maggiori difficoltà a reinserirsi è un tema da affrontare in modo strutturale, non con un intervento che si estende all’intera platea e che durerà 3 anni, forse, se ci saranno le risorse economiche, con la pia illusione che agevolare l’uscita dei più anziani favorirà l’ingresso dei giovani. Un auspicio che, come la storia dimostra, rimarrà tale.