Specie digitale

Le nuove tecnologie stanno ridisegnando i confini della realtà e restare troppo “Occidente-centrici” potrebbe non essere la strategia vincente. L’impresa dovrà dimostrare di essere sapiens, spiega l’imprenditore Edoardo Narduzzi

Edoardo Narduzzi, presidente e Ceo di Mashfrog Group

 

 

L’ibridazione tra uomo e macchina diventerà presto la normalità ed è bene che le imprese si adeguino a questo nuovo, futuristico contesto. Questa è l’opinione di un innovatore e imprenditore come Edoardo Narduzzi, oggi a capo di Mashfrog, società specializzata in business digitale, con servizi che spaziano dalla consulenza in tecnologia, ict e Industria 4.0 fino alle frontiere più avanzate di machine learning, blockchain, intelligenza artificiale e realtà aumentata.

Alla base della sua esperienza, c’è una concezione evolutiva del fare impresa. “Per alcuni secoli l’intelligenza delle organizzazioni produttive è stata molto eterodiretta, cioè condizionata dalle decisioni e dagli indirizzi scelti da chi era al vertice della piramide decisionale. La convinzione era che vi fosse un’associazione tra elaborazione della strategia ottimale e ruolo di vertice aziendale. Ma le imprese contemporanee – afferma Narduzzi – competono e difendono il proprio vantaggio di mercato soltanto se sanno adeguarsi dinamicamente al contesto esterno in cui sono chiamate ad operare”.

Dottor Narduzzi, lei parla di “impresa Sapiens”. Cosa intende con questa definizione e cosa c’entra con le nuove tecnologie?

L’Homo sapiens è diventato tale perché le sollecitazioni del suo ambiente esterno lo hanno costretto nei secoli a sviluppare una forma di intelligenza indispensabile, non solo per sopravvivere, ma anche per “dominare” la natura. Il contesto esterno oggi non solo è sempre più allargato geograficamente e per tipologia di informazioni rilevanti per il business, ma anche sempre meno stabile tecnologicamente. La smart economy data driven costringe le imprese a diventare sapiens nel senso che devono sviluppare originali sistemi neurali organizzativi capaci di intercettare, analizzare e utilizzare tutte le informazioni-chiave per difendere la marginalità e vincere quote di mercato a discapito della concorrenza.

È quello che hanno fatto le Big tech?

Le Big tech come Apple e Microsoft, nate negli anni ‘70 del secolo scorso, capitalizzano in borsa quasi 3 trilioni di dollari – il Pil Italiano annuale prodotto da circa 60 milioni di persone arriva a due trilioni – e sono già l’emblema dell’impresa sapiens che dominerà questo secolo e condizionerà l’evoluzione del capitalismo nella direzione di una economia di mercato dove la relazione decisionale ibrida tra uomo e macchina diventerà la normalità. Nel ‘90 la relazione uomo-macchina è stata caratterizzata dalla gestione delle interfacce mentre in questo secolo prevarrà l’emersione di forme di intelligenza ibrida che guideranno tutte le scelte gestionali delle imprese. Ecco perché l’impresa sapiens è solo in parte una realtà “umana”, dovendo affidarsi per una parte della sua capacità competitiva a sistemi di intelligenza artificiale auto-apprendenti e pressoché indipendenti dalle conoscenze dell’Homo sapiens.

Questo determinerà anche l’obsolescenza di alcuni asset digitali? Pensiamo ad esempio alla blockchain che, almeno nel dibattito mediatico generalista, era data per superata e, invece, ora mostra nuove opportunità applicative.

Non credo ci sia nessuna fase di appannamento perché la decentralizzazione della blockchain rappresenta una evoluzione già acquisita e inarrestabile anche dal regolatore. Il tasso di adozione degli asset digitali, se messo su un grafico, replica perfettamente quello del browser che negli anni Novanta ha rappresentato il grimaldello per la massificazione del web. Significa che il cosiddetto web 3.0 è pronto a esplodere ed è solo questione di tempo: quello necessario a creare delle infrastrutture multichain ed effettivamente decentralizzate e quindi capaci di gestire in tempo reale ed a costi transazionali irrisori tutte le possibili transazioni. Blockchain e monete digitali sono con e tra noi per restarci a lungo.

Lei crede nello sviluppo del metaverso come spazio di business per le imprese? È un grande sogno o un grande bluff?

Non è né un grande sogno né un grande bluff. Vivremo sempre di più un mix di realtà reale e di realtà virtuale ma i tempi di adozione del metaverso sono ancora poco chiari. Forse proprio per questa ragione la vecchia Facebook diventata Meta ha deciso di rallentare gli investimenti annunciati e ha potuto beneficiare di un rimbalzo in borsa nel 2023.

Cosa vuol dire per un manager saper guidare un’azienda “data driven”? Quali indicatori bisogna assumere a riferimento?

Oggi per un manager di fatto esiste soltanto ciò che è “datizzato”. Ogni decisione può essere presa soltanto se basata su dati analizzati ed interpretati. L’intuizione ha minor spazio di azione nelle decisioni di un manager, che potrà invocarla sempre meno quando sarà chiamato a dare conto delle due decisioni e dei risultati ottenuti. Ma i dati, da soli, sono soltanto dati, cioè rappresentazioni numeriche o statistiche di fenomeni che possono avere molteplici possibili chiavi di lettura. La battaglia per il successo di una strategia data driven passa proprio da qui: dotarsi di sistemi capaci di offrire la migliore possibile interpretazione di dati raccolti, considerati la natura e gli interessi del business gestito.

Il successo di una strategia data driven passa proprio da qui: dotarsi di sistemi capaci di offrire la migliore possibile interpretazione di dati raccolti, considerati la natura e gli interessi del business gestito

In che direzione si muove il futuro delle filiere produttive?

Siamo di fronte a fenomeni epocali. La guerra in Ucraina ha posto fine alla globalizzazione come l’abbiamo conosciuta per oltre trenta anni; la pandemia ha costretto a ripensare la catena produttiva e la sua decentralizzazione su scala ampia; il dominio industriale ed ormai anche il ruolo politico delle Big tech americane hanno spostato l’agenda politica in direzioni impensabili solo qualche anno fa.

Assisteremo a una rifioritura manifatturiera nel Nord America e al tentativo dell’Europa di recuperare qualche ruolo produttivo in alcuni aspetti della tecnologia come i chip o il cloud. Ma il futuro delle filiere produttive nei prossimi anni registrerà l’emersione dell’India come player globale e come nuova factory del mondo tech e non solo, e l’impatto della demografia africana sui consumi. Restare troppo Occidente-centrici potrebbe non essere la strategia vincente.

Il futuro delle filiere produttive registrerà l’emersione dell’India come player globale e come nuova factory del mondo tech e non solo, e l’impatto della demografia africana sui consumi

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