Senior si nasce

Come realizzare il tanto auspicato “patto generazionale”? Attraverso un rapporto equilibrato tra anziani e giovani in merito a lavoro, ricchezza e qualità della vita. L’equità è un traguardo possibile.

Non tutti sanno che la geroscofobia è la paura di invecchiare. La sua dimensione patologica è rara e causa un costante clima di ansia, l’insinuazione nei nostri pensieri dell’invecchiamento è invece molto più frequente e genera spesso inconsciamente timori e preoccupazioni non sempre fondati.

Per contrastare questo stato si assumono comportamenti diversi a seconda dell’età e delle fragilità che viviamo. Da questi timori nasce l’esigenza di sviluppare prodotti, servizi e soluzioni dell’abitare finalizzate a soddisfare i bisogni dei senior.

L’età di transizione negli stili di vita si attraversa usualmente tra i 50 e i 60 anni, periodo nel quale si possono vivere condizioni molto diverse tra loro. Universo articolato e complesso quello dei cinquantenni nel quale si avvia un mutamento dei comportamenti e delle abitudini, del regime alimentare, delle attività fisiche, del rapporto tempo-famiglia-lavoro, della prevenzione sanitaria, della mobilità.

In Italia, il 23% della popolazione ha un’età compresa tra 50 e 65 anni, il 24% è over 65 ed il 7.5% supera gli 80 anni contro medie europee più basse (21%), ad eccezione della Germania che si assesta sui nostri dati. Mentre in Giappone, entro la fine del decennio, la popolazione con più di 60 anni raggiungerà circa il 40% del totale, in Cina si registra una popolazione over 60 che supera i 260 milioni (circa il 18,7% della popolazione totale) con una costante crescita nello sbilanciamento giovani-anziani.

Si nota quindi un rapido cambiamento dei dati demografici a livello globale. Nel 2017 la popolazione mondiale con oltre 60 anni ammontava a 962 milioni. Nel 2050 si dovrebbero raggiungere i 2,1 miliardi di persone.

L’Italia è Paese leader europeo della longevità (una buona notizia) ma nelle classifiche dell’aspettativa che ciò avvenga in buona salute, scende sensibilmente di posizione. Il nostro è un Paese longevo, ma nel quale si ha la consapevolezza che invecchiare non equivale a invecchiare bene. Una riflessione che mette in moto interrogativi sul futuro con modelli di bisogni da ripensare e prodotti o servizi da ridisegnare a seconda delle condizioni di dipendenza o autonomia dei senior.

Nel 2017 la popolazione mondiale con oltre 60 anni ammontava a 962 milioni. Nel 2050 si dovrebbero raggiungere i 2,1 miliardi di persone

È in questo contesto che nasce la c.d. silver economy definita a livello europeo “l’insieme delle attività economiche che rispondono ai bisogni delle persone a partire dai 50 anni di età”.

Una moltitudine di individui il cui potere di spesa e consumo è destinato a crescere sensibilmente nei prossimi anni. Già oggi il mercato mondiale dei bisogni personali dei “silver” è stimato in circa 18 trilioni di dollari, suddiviso in gran parte tra Europa, Usa e Giappone, con la Cina in forte crescita.

I silver hanno timore di perdere l’autosufficienza, rimanere in solitudine, non essere in forma fisica o non avere fonti di sostentamento per far fronte ai costi della longevità. Alla luce delle continue tensioni geopolitiche e dell’instabilità sociale ed economica, non sorprende che salute, occupazione e sicurezza personale siano preoccupazioni diffuse in tutto il mondo. Le aziende che forniscono processi o prodotti per l’ageing society sono e rimarranno al primo posto in qualsiasi classifica di crescita. Da qui la necessità di una profonda riflessione sul modello di sviluppo del nostro Paese che deve considerare un fenomeno mai gestito sino ad ora in modo sistemico.

Alla luce delle continue tensioni geopolitiche e dell’instabilità sociale ed economica, non sorprende che salute, occupazione e sicurezza personale siano preoccupazioni diffuse in tutto il mondo

Si tratta, in primo luogo, di immaginare politiche di invecchiamento attivo con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e gestire le nuove esigenze degli anziani. Contrastare un invecchiamento passivo vuol dire, in primo luogo, agire con una programmazione e interventi specifici già a partire dai 50 anni.

Organizzare il lavoro in modo sostenibile, ridurre i tempi della mobilità, ripensare gli alloggi, rivedere le abitudini alimentari ed il sistema di prevenzione, trovare ispirazione per acquisire nuove competenze.

Si tratta anche di immaginare un sistema pensionistico che prepari alla terza età. Più tardi si andrà in pensione e minore sarà la capacità di affrontare l’invecchiamento in modo attivo e dinamico. E allora come si può incanalare tutta questa energia in modo che sia al contempo utile alle nuove generazioni, in costante contatto con il progresso e contribuisca in modo determinante alla crescita ed al sistema Paese? Si è parlato e si parla da anni di patto generazionale. Ma senza un equilibrato rapporto lavoro – ricchezza – qualità della vita tra giovani ed anziani non si riuscirà a far decollare il nostro sistema, aggiornandolo costantemente nelle competenze e preservando l’avviamento di cui è custode la popolazione più anziana del Paese. Un dato: la generazione nata tra gli anni ’60 e ’70 ha il reddito per equivalente più alto di tutte le altre generazioni mentre i più giovani hanno perso oltre il 50% del reddito medio negli ultimi 15 anni.

Se guardiamo i flussi finanziari spendibili e la ricchezza media, una stima molto conservativa indica tra i 237 e i 288 miliardi di euro le risorse nette spendibili dai “retired” over 65 in Italia (rif. Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali).

Ricchezza generata da pensioni, redditi patrimoniali o finanziari delle famiglie di una popolazione che dal 2005 ad oggi è quasi raddoppiata.

Il Paese avanza con l’età, un’età che genera preoccupazioni, incertezze e timori e per ridurre il senso di disagio le persone prolungano la permanenza nei luoghi di lavoro, creando un inevitabile congestione di spazio-opportunità tra giovani e più anziani. Tale comportamento si riflette in un sostanziale ritardo nel “retirement” sia pensionistico sia professionale e in un complesso rapporto intergenerazionale. Liberare spazio però è una condizione necessaria ma non sufficiente. Affinché lo spazio si liberi in modo consapevole e volontario vanno create le condizioni per il “dopo”. Ed è qui che può giocare un ruolo la silver economy a condizione che sia un mix di politiche pubbliche e di iniziativa privata.

Il potenziale della silver economy rappresenta ben più di una semplice possibilità di rendimento finanziario. È un’opportunità di trasformazione sociale verso un mondo più sostenibile e adatto alla terza età

Educazione alla terza età e norme per il riequilibro demografico, ripensamento delle città o di quadranti dedicati, messa in rete dei comuni più piccoli, infrastrutture e immobili che ripensino la dimensione dell’abitare per i non autosufficienti (Rsa) e per coloro che vogliano rispondere alle preoccupazioni della terza età in ambienti sicuri e confortevoli. Da qui nascono gli interventi per adeguare la propria casa a esigenze che mutano. Progetti per l’abitare, il senior housing, complessi immobiliari, condomini o club house che a seconda delle possibilità offrano servizi condivisi adatti ai senior (farmacie, centri di riabilitazione, wellness, sport center, aree verdi, servizi domiciliari, servizi di co-mobilità); prodotti e servizi che grazie alle nuove tecnologie e alle nuove modalità organizzative dei business sono già in molti casi una realtà fruibile. Il senior o silver housing deve offrire concentrazione in spazi raggiungibili in modo agevole ottimizzando la modalità costo-tempo di fruizione dei servizi. Si tratta di procedere al ripensamento della quotidianità famiglia-lavoro-tempo libero prendendo conoscenza di quei prodotti e servizi ad hoc progressivamente utilizzati dai 50 anni in poi: servizi di healthcare e well-being, mobilità e nuovi mezzi di trasporto, alimentazione, palestre, fitness, telemedicina, tecno-assistenza, device per monitoraggio, tutor tecnologici, elettronica e strumenti di misurazione, domotica, servizi ricreativi, per il tempo libero, assicurativi, finanziari, abbigliamento e, prodotti di formazione.

Insomma, si tratta di far evolvere ciò che già esiste in natura. Un mercato sviluppato di beni e servizi per l’invecchiamento attivo e in buona salute avrebbe un impatto significativo non solo sul Pil, ma anche sull’efficienza dei sistemi sanitari e di assistenza sociale, aumentando potenzialmente anche la loro sostenibilità. Per mettere a punto tutto questo serve innanzitutto la consapevolezza che sta crescendo un mercato della silver age, dai 50 anni in su. Un mercato per i baby boomers e per gli over 50 con target di consumatori sempre più interessati a trarre vantaggio dalle nuove tecnologie, dai nuovi modelli organizzativi, dai prodotti studiati per determinate fasce di età. Target di consumatori che richiedono prodotti e servizi a loro dedicati e che hanno disponibilità economiche elevate e in crescita. La silver economy è quindi combustibile per accendere un patto generazionale nel quale gli under 50 possano trovare spazio e gli over siano consapevoli che l’invecchiamento può essere risorsa e momento di felicità individuale e condivisa. I temi dei silver incrociano quelli della sostenibilità e delle transizioni digitali, climatiche e tecnologiche che stiamo vivendo. In ambito economico finanziario si nota, ormai da qualche anno, un’importante vivacità e una costante attenzione che si va allargando da temi più tradizionali e cari alla terza età, come salute e welfare, a imprese con modelli innovativi di business, prodotti e servizi o investimenti immobiliari o finanziari dedicati al “senior living”.

La Commissione europea da tempo ha cantierato iniziative pertinenti all’economia d’argento. Altre iniziative nazionali focalizzate e non sporadiche sono già esistenti in vari Paesi e forniscono esempi di azioni di politica pubblica. In Francia e Germania diverse norme nazionali sono in fase di applicazione. Anche in Giappone si rilevano progetti che impattano sul settore residenziale, con attenzione specifica a servizi innovativi, come healthy restaurant e luoghi di coworking. Quanto alla comunità finanziaria, si assiste alla nascita di fondi di venture capital e private equity che investono nei c.d. silver asset, fattore questo non solo auspicabile ma precondizione per accendere un faro su un mercato ancora frammentato e inconsapevole della propria identità. Gestori e operatori di settore dovranno essere anche propulsori degli attori pubblici e degli investitori istituzionali con l’obiettivo di costituire un grande fondo di fondi di investimento pubblico-privato per la silver economy con una dotazione di almeno due miliardi di euro, in grado di agire da anchor investor per fondi verticali e specializzati nelle diverse asset class.

Si tratta di mobilitare le ingenti risorse provenienti dalle assicurazioni, dal risparmio previdenziale, dalle fondazioni ma anche dal sistema retail con silver bond o equity security di scopo emessi dal Governo italiano.

Pensiamo ai vantaggi che il comparto assicurativo potrebbe trarre dalla prevenzione o i comuni nell’ottimizzazione dei trasporti ovvero le nuove sperimentazioni che le case farmaceutiche o industrie alimentari potrebbero attivare in un processo di crescita sistemica della silver economy. Tutti investimenti alternativi illiquidi che hanno importanti prospettive di crescita e di ritorno dei rendimenti e che potranno essere considerati impact investment con annessi vantaggi fiscali o altre esternalità positive da valutare. Su questi presupposti sono nati in Italia vari fondi di venture capital e private equity dedicati alla silver economy e con loro investment manager e analist che si stanno specializzando nel settore. Concludendo, la silver economy è un bacino potenziale vastissimo che vedrà nei prossimi anni un enorme sviluppo, ben oltre i 300-500 miliardi di euro stimati in Italia o i 5 trilioni di euro in Europa entro il 2025, pari a un terzo del Pil. Una grande opportunità per il Paese più vecchio d’Europa, soprattutto in termini di ampliamento del target di riferimento, che erroneamente si identifica oggi solo con la popolazione più anziana.  Ma il potenziale della silver economy rappresenta ben più di una semplice possibilità di rendimento finanziario. È un’opportunità di trasformazione sociale verso un mondo più sostenibile e adatto alla terza età. Per citare un aforisma di Benjamin Franklin, “tutti vorrebbero vivere a lungo ma nessuno vorrebbe essere vecchio”. La soluzione è alla nostra portata, forse non per tutti, ma per molti.

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