La semplificazione dello Stato è la sola strada per la crescita. Dai cittadini alle imprese e alle banche, tutti ne hanno impellente bisogno poiché, ad esempio, tra l’approvazione di un progetto e il collaudo definitivo dell’opera intercorre uno spazio incontrollato e indefinito.
È questo spazio a dividere l’aspettativa dal risultato, che resta ineluttabilmente un’utopia, l’origine della crisi del sistema economico e produttivo, con cui deve misurarsi il ministro Giorgetti. Del resto, la tradizione insegna che, più del traguardo, conta che la macchina sia in moto. L’esercizio del potere, infatti, produce speranze, perpetua bisogni, alimenta il consenso e, alla fine, lo tiene in ostaggio. Un vicolo cieco da cui il Paese non riesce a venire fuori, nonostante tentativi reiterati di riformarsi. Dietro non c’è una volontà, bensì l’assenza di volontà, il nichilismo politico.
Senonché, oggi, la gravità della crisi planetaria ci concede un’occasione (forse l’ultima) per rimuovere questa mentalità e approdare a un assetto nuovo delle cose, nel quale l’incertezza lasci il posto al senso del limite. Un limite che, anzitutto, è perimetrazione dei tempi della decisione.
Vista l’esperienza dei fondi europei, la sola possibilità di capitalizzare il Recovery fund passa per la cruna dell’ago, quella della semplificazione “possibile”.
Le strade sono due, o una riorganizzazione generale dell’amministrazione o una riforma particolare. Poiché, come intuì Voltaire, il meglio è nemico del bene, e tra l’altro stanno per scadere anche i tempi supplementari, la soluzione preferibile è quella del ministro Giovannini, la cui concretezza è testimoniata dalla sua scelta di desistere da una riforma generale a cui – peraltro – sta pensando il ministro Brunetta, optando per una legge procedimentale speciale. Che, se funzionasse, potrebbe diventare modello di riforma organica.
Ciò che non ha funzionato in passato è il miglior magistero per il futuro. Da un lato, scongiurare la dispersione degli interventi come avvenuto con i programmi europei, nei quali l’Italia ha pensato di immettere migliaia di progetti, persino sagre e feste di paese; dall’altro, alleggerire numero e durata dei procedimenti amministrativi di approvazione.
Poiché di procedura si muore, si ritorni ove possibile al regime dell’atto singolo plurimo, nelle forme del concerto o dell’accordo. È chiaro che questo implica un regolamento di conti con il codice degli appalti, principale imputato di questi ultimi anni e che persino l’Antitrust ha pensato di sospendere.
Si torni al regime dell’atto singolo plurimo, anche se implica un regolamento di conti con il codice degli appalti, che persino l’Antitrust ha pensato di sospendere
Due suggerimenti. Il primo, coinvolgere l’Europa, che in base alle regole del Trattato ha il potere di derogare alle norme sulla concorrenza, giustificata dalla catastrofe in corso. Se, in luogo di un decreto legge, si promuovesse in fase ascendente una decisione della Commissione europea, valevole per tutti, si eviterebbero incidenti di percorso o sorprese a distanza di anni sulla rendicontazione e validazione della spesa.
Il secondo: le programmazioni centrali e locali necessitano di un organo che le governi, assicurandone il coordinamento. Questo ruolo sembra utile riservarlo al Presidente del Consiglio, se si vogliono evitare fratture tra ministri e ministeri, che allenterebbero la coesione interna e l’efficienza del sistema.