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Rischio fiscale: istruzioni per l’uso

L’adempimento collaborativo ha avviato un cambio, anche culturale, all’interno delle imprese. I manager rivestono una funzione strategica, ma è necessario coinvolgere al meglio tutte le strutture aziendali

La gestione del rischio fiscale viene spesso associata al concetto di compliance. Parola molto usata che porta diversi significati e sfaccettature. All’inizio la compliance era la gestione degli adempimenti fiscali, come, ad esempio, la presentazione delle dichiarazioni e l’effettuazione dei versamenti. Un’attività, mi si permetta di dire da fiscalista, quasi noiosa; in alcuni casi lasciata al commercialista di fiducia o a “qualcuno” della struttura fiscale. Mi ricordo discussioni per non metterla di staff al responsabile fiscale.

Dal 2015, la compliance prende una nuova strada. Il legislatore dà la possibilità di avere un canale di dialogo preferenziale con l’Agenzia delle entrate (AdE). L’Amministrazione finanziaria (Af) non è più un soggetto terzo con cui è difficile confrontarsi. Essa diventa un interlocutore per individuare la corretta interpretazione della norma. All’inizio vengono ammessi al regime di adempimento collaborativo i grandissimi contribuenti, quelli con un volume di affari/ricavi non inferiore a 10 miliardi di euro. La soglia scende poi a 5 miliardi e, oggi, è a uno. Si parla di portarla a 100 mila euro.

L’AdE non accetta, però, di parlare con tutti. A chi aderisce al progetto è richiesto un efficace sistema di controllo del rischio fiscale; intendendosi per efficace un sistema che garantisce all’impresa un presidio costante sui rischi. Messa in altri termini, entra in cooperative compliance chi mappa i rischi fiscali secondo i criteri internazionali dettati dall’Ocse con apposite procedure interne e persone dedicate.

Come contraltare, il contribuente ammesso al regime, oltre a interlocutori definiti, ha 3 benefici: dimezzamento dei tempi di risposta agli interpelli, sanzioni ridotte alla metà con sospensione della riscossione fino alla definitività dell’accertamento ed esonero da garanzie per i rimborsi. Certo, la teoria è molto affascinante. Serve un’applicazione pratica che rispetti l’animo di collaborazione tra i soggetti coinvolti: AdE e contribuente. Trasparenza nel dialogo, volontà di cooperare e persone competenti. Altrimenti ci si trova incastrati in un loop che non porta a niente. Siamo più chiari. È bello che ci sia una riduzione dei tempi di risposta all’interpello; se, però, il confronto con l’Agenzia ti porta a ritardare di mesi l’invio dell’istanza, allora è inutile. I funzionari dell’AdE devono conoscere bene il business del contribuente con cui dialogano. Dall’altro lato, i contribuenti devono essere pronti ad avere un nuovo consulente, che si chiama Agenzia delle Entrate.

I funzionari dell’Agenzia delle Entrate devono conoscere il business del contribuente con cui dialogano. Dall’altro lato, i contribuenti devono essere pronti ad avere un nuovo consulente, che si chiama Agenzia delleEntrate.

Molti potrebbero dire che un rapporto trasparente e corretto con l’Af, oltre a essere un’utopia, è appannaggio di un’élite. I soggetti in adempimento collaborativo sono pochi. Non è proprio così. Vedo un’inversione di marcia, almeno da parte di alcuni. È emblematico quanto scritto nel documento di giugno 2021 dalla VI Commissione Finanze della Camera e dalla 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, emanato al termine di un’indagine conoscitiva con la funzione di «fungere da indirizzo politico al Governo per la predisposizione della legge delega sulla riforma fiscale». Si riscontra con piacere che l’auspicio delle Commissioni sia quello di avere una “riforma fiscale organica e strutturale”, apparendo, quindi, «fondamentale semplificare e razionalizzare il quadro normativo, per garantire certezza nell’applicazione delle norme e coerenza dell’impianto impositivo, nonché per assicurare che il sistema tributario sia percepito come equo, affidabile e trasparente e, infine, per ridurre l’elevato contenzioso».

Per arrivare a tale risultato, le Commissioni non si limitano solo al profilo “economico” della fiscalità ma intervengono anche sul rapporto fisco-contribuente. È richiamato il «bisogno di un’evoluzione culturale» da parte di entrambi, abbandonando i «pregiudizi nei confronti della ‘controparte’ (che tale non è, in quanto lo Stato altro non è che l’insieme dei contribuenti stessi)». Per le Commissioni lo «Stato deve allontanare ogni tendenza a considerare il contribuente un ‘evasore che ancora non è stato scoperto’ e, al contempo, efficientare i propri comportamenti». Dal canto suo, il contribuente «deve pienamente internalizzare il beneficio collettivo che deriva dal pagamento dei tributi, nella forma dell’erogazione di beni e servizi pubblici».

Purtroppo, il disegno di legge delega di riforma in discussione (ora sospesa per le elezioni) in Parlamento non ha dei passaggi così forti. Vedremo cosa ci riserverà il nuovo Parlamento. Quello che portiamo a casa è che la cultura sta cambiando. Ci piace sognare che magari un giorno arriveremo come in alcuni Stati europei, dove l’amministrazione finanziaria accoglie i nuovi investitori e li accompagna nella loro vita economica e fiscale, così da non avere intoppi se operanti in buona fede e nell’interesse economico.

Fino a qui, mi sono concentrato sul rapporto contribuente/Stato. Non è, però, sufficiente. L’adempimento collaborativo ha di certo avviato un cambio all’interno delle aziende. Sono sempre più le società interessate all’ingresso nella cooperative compliance. I manager hanno ben chiaro in testa che il passo implica una seria riflessione interna con il coinvolgimento di tutte le strutture. Tutta la macchina deve essere pronta al dialogo con l’Agenzia. Non solo i responsabili fiscali e i Cfo, ma tutti i manager sono chiamati a fornire il supporto necessario.

Ho visto molte aziende iniziare un serio percorso di analisi interna dei rischi fiscali con la finalità di entrate nell’adempimento collaborativo. Alla fine, non sono entrate ma hanno apprezzato moltissimo il lavoro fatto e hanno implementato in ogni caso la struttura di controllo interno.

Quello che ho apprezzato è il lavoro di manager illuminati che hanno capito quanto è importante gestire al meglio il rischio fiscale. I più illuminati sono quelli che hanno realizzato che questo non fa solo bene alla struttura societaria ma aiuta anche a vivere meglio perché pagare (tutte) le tasse è una cosa naturale e doverosa; una cosa che porta con sé un senso di comunità.

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