In queste settimane sono state rivelate le novità del cosiddetto decreto legge Pnrr, che riorganizza le pubbliche amministrazioni titolari degli interventi e istituisce una struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio. Molto è cambiato da quando il Piano è stato negoziato da Giuseppe Conte e poi messo in moto da Mario Draghi, che ha chiuso il suo mandato con in tasca il distintivo degli obiettivi centrati. Molto è cambiato e non solo a livello interno, con tre grandi fattori esogeni che nel 2022 hanno reso necessario un ripensamento delle priorità europee: la guerra in Ucraina, la fiammata inflazionistica e l’inasprirsi dei rapporti con la Cina, in particolare sul fronte tecnologico.
Era quindi inevitabile una sterzata verso nuovi obiettivi, per sfruttare la leva finanziaria garantita dai fondi europei e tenere il Paese in carreggiata, in questo 2023 che secondo molti economisti avrebbe portato una recessione quasi inevitabile.
Non lo sarà: gli indicatori, soprattutto quelli italiani, da quasi due anni smentiscono le previsioni, e lo fanno al rialzo. La voglia di ripartire dopo lo shock pandemico è stata più forte di qualsiasi profezia negativa. Eppure, anche la nostra capacità di superare gli ostacoli si infrange su un dato oggettivo: paghiamo l’energia più cara di qualunque altro Paese europeo, nonostante i 45 miliardi che il Governo ha impegnato per calmierare le bollette, e nonostante gli effetti positivi delle mosse concordate da Unione europea e G7 su petrolio e gas russi.
Paghiamo l’energia più cara di qualunque altro Paese europeo, nonostante i 45 miliardi che il Governo ha impegnato per calmierare le bollette e nonostante gli effetti positivi delle mosse concordate da Ue e G7 su petrolio e gas russi
Non a caso alla cabina di regia di febbraio hanno partecipato – oltre al premier Giorgia Meloni e ai ministri Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Francesco Lollobrigida e Gilberto Pichetto Fratin – i vertici di Eni, Enel, Snam e Terna. Sarà dunque l’energia al centro dell’azione di governo dei prossimi mesi, su tre direttrici: produzione da fonti rinnovabili, diversificazione delle fonti di approvvigionamento, riduzione dei consumi. A Bruxelles le modifiche al Pnrr riguarderanno soprattutto questo aspetto, e saranno inserite in una sezione dedicata del piano RePowerEu.
Un’altra componente imprevista è la necessità di rispondere all’Inflation Reduction Act, la legge americana che garantirà alle aziende (di tutto il mondo) centinaia di miliardi di fondi pubblici per accelerare la transizione verde. Una calamita poderosa alla quale le istituzioni europee stanno cercando di rispondere con un piano parallelo – ma non antagonista – per costruire un ponte transatlantico fatto di collaborazione, incentivi e concorrenza sana. Non sarà facile trovare questo equilibrio, soprattutto perché i 27 Paesi europei hanno posizioni diverse sugli aiuti di Stato e sulla possibilità di emettere nuovo debito comune, con i cosiddetti “frugali” che considerano i bond pandemici un incidente da non doversi ripetere.
Anche su questo fronte, le priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza saranno riviste: la produzione di chip e pannelli solari, la ricerca sull’idrogeno, la decarbonizzazione saranno voci che potrebbero avere maggiore rilievo nelle strategie da qui al 2026. Banca d’Italia stima che gli investimenti del Piano produrranno una domanda aggiuntiva di 375 mila occupati, di cui il 79% nel privato. Non solo dalle costruzioni (che comprendono edilizia e ingegneria specializzata), ricerca e sviluppo porteranno 16.600 nuovi occupati nel 2024 mentre produzione di computer, elettronica e ottica garantiranno 12.700 occupati nel 2025. Il tutto senza includere istruzione e sanità, che sono perlopiù appannaggio della Pubblica amministrazione e che sono difficili da misurare in anticipo.
Banca d’Italia stima che gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza produrranno una domanda aggiuntiva di 375 mila occupati, di cui il 79% nel privato
Cosa ci aspetta quest’anno in termini di obiettivi? 27 vanno raggiunti entro il 30 giugno, 69 entro la fine dell’anno, che sarà decisamente densa di scadenze e aspettative, mentre soprattutto gli enti locali sono ancora in fase di “start-up” per molti processi (per alcuni mancano le professionalità adeguate). Qualcosa potrà essere aggiustato, in virtù del mutato quadro europeo e globale, soprattutto sul piano energetico.
Ben poco invece potrà essere modificato nella voce che più impensierisce il Governo (questo attuale come quelli precedenti): le riforme. Dalla giustizia alla concorrenza, dalla pubblica amministrazione al fisco, ognuno di questi scogli è stato in grado di paralizzare l’azione di maggioranze di ogni colore, tecniche come politiche. Sarà in questo settore che si capirà quanto il Paese è pronto a superare la stagnazione degli ultimi venti anni.