La Cina è vicina, oggi più che mai. La cronaca riporta infatti aggiornamenti costanti sugli effetti del coronavirus, sorto e propagatosi nel gigante asiatico e giunto adesso in Italia con un impatto sulle rispettive economie ancora tutto da definire. Progetto Manager ha voluto quindi incontrare due top manager italiani che operano con il Dragone, meta di nuovi business e spesso casa madre di competitor dalla forte presenza sui mercati.
«Stiamo notando un cambio di rotta del business system», dice Luca Tosto, Ceo della Walter Tosto Spa, leader nella costruzione di componenti critici per impianti industriali in tutto il mondo. «Come azienda abbiamo un 30% del volume di affari verso la Cina e si iniziano ad avvertire le ricadute del coronavirus sul sistema industriale cinese in senso più ampio, soprattutto in relazione all’affidabilità delle imprese asiatiche».
Secondo Massimo Bruni, Ad di K Labs, società italiana che eroga servizi di formazione tecnologica e lavora con il colosso cinese Huawei, l’onda lunga del coronavirus avrà «impatti di naturale relazionale, strategica ed economica. Si registra un congelamento massivo di tantissime attività e le aziende italiane subiscono disagi per il blocco della produzione cinese; la mancanza di approvvigionamenti avrà un grosso impatto perché c’è una psicosi che sta rallentando gli scambi commerciali e, attenzione, la Cina è la fabbrica del mondo».
Oltre ai dati sanitari che evidenziano la rapida escalation del virus nel gigante asiatico e in diverse aree del pianeta, notevole è l’incidenza del bombardamento mediatico, più o meno informato, sull’argomento. Con conseguenze inevitabili in termini reputazionali.
Tosto riporta un esempio concreto che racconta uno scenario nuovo quanto inatteso: «In consorzio con altre aziende, stiamo partecipando a una gara per la fornitura di caldareria, stimabile in 300 milioni di euro. Per questa competizione i concorrenti asiatici erano in netto vantaggio, ma il nostro consorzio è rientrato in corsa perché ritenuto complessivamente più affidabile, recuperando un gap competitivo del 15%. I grandi player internazionali che avevano intenzione di “fare la spesa” in Cina si muovono oggi con cautela e le scelte strategiche di politica industriale sembrano guardare decisamente alle aziende europee».
«I grandi player internazionali che avevano intenzione di “fare la spesa” in Cina si muovono oggi con cautela e virano verso gli interlocutori europei», dice Luca Tosto, Ceo della Walter Tosto Spa
Un’Europa che rientra in gioco anche, e non solo, per gli effetti del coronavirus.
La capacità industriale cinese è infatti già ampiamente sollecitata da tutte le opportunità che il Dragone ha saputo cogliere. Questa congestione di impegni, produttivi e organizzativi, ha spesso portato a risultati discutibili in termini di performance, soprattutto per quanto attiene ai tempi di consegna delle opere. «Al di là del coronavirus, gli acquirenti stavano già iniziando a valutare complessivamente l’offerta cinese. Riconsiderando quindi il know how e la puntualità caratteristiche delle aziende europee, due parametri decisivi per la competitività», puntualizza Tosto.
E sull’asse Italia-Cina montano nuove paure che si ripercuotono direttamente nel nostro Paese, come conferma Bruni: «Si sta bloccando la mobilità delle persone. L’allarme che si è creato ha portato i nostri clienti a diramare specifiche direttive per limitare gli spostamenti dei dipendenti o la possibilità di radunarsi in spazi chiusi. Noi facciamo formazione in aula e, per evitare di subire un forte rallentamento del business nel breve-medio periodo, ci siamo subito attrezzati per erogare formazione da remoto, garantendo così una prosecuzione delle attività.»
Massimo Bruni, Ad di K Labs: «Eroghiamo formazione da remoto. L’allarme creato ha portato i nostri clienti a limitare gli spostamenti dei dipendenti o la possibilità di radunarsi in spazi chiusi»
C’è infine da analizzare l’importante questione del rapporto tra imprenditoria e Stato che in Cina rappresenta una filosofia organizzativa ancor prima che un modello economico. Per aprire alle aziende straniere, il sistema cinese prevede, in molti casi, rigorosi processi di qualifica delle aziende, che contemplano criteri di valutazione di effettiva utilità e opportunità. Oggi sono tante le imprese italiane qualificate per la componentistica e grande attenzione viene riservata alle visite compiute dalle delegazioni cinesi, spesso composte da esperti in grado di comprendere e adottare autonomamente le tecnologie esaminate. Per questo è fondamentale trovare un giusto equilibrio nella condivisione delle informazioni.
Anche perché il know how europeo fa ancora la differenza. Tanto più nei nuovi scenari aperti dall’emergenza virale. «Dal nostro osservatorio – conclude Tosto – notiamo una limitata capacità della forza lavoro cinese per talune attività ad alta specializzazione, riguardanti la lavorazione dei materiali, le tecnologia di saldatura e la trasformazione dell’acciaio».
Resta da capire se il momento che stiamo vivendo può rappresentare un’occasione per riflettere e ricondurre i rapporti tra l’Ue e il Dragone nell’alveo di una proficua collaborazione che riconosca le rispettive peculiarità.
Superando le incomprensioni generate dalla competizione e guardando alla best practice rappresentata dalla cooperazione sanitaria in ambito internazionale.