Quello del 4 maggio non è stato solo un convegno imponente e di valenza internazionale, ma è stato anche il punto di partenza di un percorso che continuerà, perché il tema della donna manager è strategico e richiede capacità progettuale nonché capacità di sensibilizzazione e di coinvolgimento.
La traccia di questo percorso è stata molto ben delineata da Padre Awi Mello, segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita che ha dato il patrocinio alla nostra iniziativa: ecologia, famiglia e responsabilità sono i tre items che devono essere considerati non distintamente, ma in un’unica dimensione valoriale e strategica fortemente integrata.
I dati Istat sull’andamento demografico del nostro Paese, pubblicati in questi giorni, disegnano un quadro certamente preoccupante: rischiamo di diventare un Paese di anziani, che non favorisce il ricambio generazionale e destinato a impoverirsi.
E’ un segnale molto critico che rischia di mettere in discussione il nostro welfare, attraverso cui garantiamo salute e sicurezza sociale soprattutto ai meno abbienti, che misura il livello di civiltà di un Paese.
Quello demografico è un tema che sfugge al dibattito politico e che, invece, dovrebbe essere centrale per dettare la politica economica del Paese. Come non è adeguatamente affrontato il tema del cambiamento del lavoro, che farà emergere un problema di skills mismatch trasversale, che riguarda uomini e donne indifferentemente.
L’andamento occupazionale forse esprime un miglioramento rispetto agli anni precedenti, e tuttavia evidenzia una sotto-rappresentazione delle donne in azienda e questo è un dato molto preoccupante, difficilmente spiegabile visto che le nostre studentesse sono mediamente più brave dei maschi. Peraltro, il basso livello di occupazione femminile determina un danno in termini di crescita di PIL che è stato stimato in -15%: parliamo di oltre duecento miliardi, una cifra pari alla manovra di bilancio per almeno dieci anni.
La Legge Golfo Mosca ha ridotto la differenza di genere, in termini quantitativi, nei CdA dove siedono donne per il 33%: 4 volte in più rispetto al 2011, 9,6% in più rispetto al 2016. Ma se guardiamo alle posizioni top la differenza resta molto elevata, 10 su 250. Sul livello di remunerazione: non c’è alcuna donna tra le prime 10, 3 tra le prime 50, 5 nei primi 100. Appena 20 sono AD nelle aziende quotate: il 9% del totale.
Qualcosa è stato fatto ma molto c’è da fare. Occorre ripartire dal fattore culturale.
La diversity fondata sulla complementarietà di genere è la ricetta vincente: occorre un nuovo patto sociale tra uomo e donna che non metta i generi uno contro l’altro ma in termini di reciproca valorizzazione. Le donne devono potersi affermare anche nei ruoli più elevati ma non devono tradire le loro caratteristiche, le loro qualità specifiche: determinazione, intuito, multitasking, solo per citarne alcune.
Realizzare un sogno ambizioso richiede determinazione, volontà, capacità organizzative, abnegazione, coraggio. Questo vale per tutti ma vale ancor di più per le donne: ci sono esempi che dimostrano che, se ci sono questi ingredienti, il risultato viene raggiunto. Un strada irta, ma che si può percorrere. Traguardi difficili, ma che si possono cogliere. Fa male al cuore sapere che 115.000 neo-madri hanno scelto di lasciare il lavoro: non si dovrebbe essere mai costrette a fare una scelta.
Al Paese, a noi tutti, serve il cuore grande delle donne. Più donne al vertice delle imprese faciliterebbe l’affermazione di una cultura aziendale più attenta alle donne e alle esigenze delle stesse e al ruolo che continuano ad avere nella famiglia, verso i figli e gli anziani che spesso sono costrette a dover accudire caricandosene il peso quasi totalmente.
Il welfare aziendale è certamente una strada che può incidere sulla cultura aziendale mettendo a disposizione strumenti utili alla conciliazione vita familiare e professionale, così come la trasformazione digitale potrà favorire una maggiore flessibilità nel lavoro e modelli organizzativi e complementari meno rigidi nelle forme e nel tempo.
Le esperienze di altri Paesi dimostrano che con più donne al lavoro cresce la natalità e si crea più benessere.
Il tema della genitorialità, infine, è centrale affinché la famiglia, attraverso una cultura e una normativa legale e contrattuale più vicina alla donna, possa ritornare a essere la leva attraverso la quale rilanciare un progetto di crescita e di sviluppo duraturo, strutturale e soprattutto inclusivo e sostenibile.
Abbiamo un appuntamento importante a fine anno: il rinnovo del ccnl, un banco di prova dove potremo vedere se saremo in grado di passare dalle parole a fatti concreti.
Federmanager vuole essere protagonista, attraverso gli uomini e le donne che ne fanno parte, di questo processo virtuoso di trasformazione, con la certezza che la Santa Sede ci accompagnerà in questo cammino.