Destinare la metà delle risorse del Recovery fund a sostegno del lavoro delle donne come leva economica per la crescita del Paese. La campagna Il Giusto Mezzo, organizzata da un gruppo di donne della società civile di cui le due scriventi fanno parte, ha iniziato la sua azione con questa richiesta, ispirata all’iniziativa dell’europarlamentare tedesca Alexandra Geese che ha inaugurato la stagione di #HalfofIt.
Si è attivata una petizione ad oggi firmata da 45 mila persone, con la quale si chiede di investire con politiche integrate, sistemiche e strutturali, negli ambiti su cui maggiormente si è abbattuta la crisi (cura, servizi, commercio, turismo), ovvero quelli a maggior concentrazione femminile, che rischiano anche di avere gli effetti recessivi macroeconomici più decisivi.
A differenza di qualsiasi altra recessione moderna, quella innescata dalla pandemia ha creato maggior perdita di occupazione per le donne che per gli uomini, tanto che uno studio recente (The she-cession of 2020: Causes and consequences, T. Alon et al., comparso il 22 settembre 2020 sul portale Eu-Vox del Center for economic policy research), parla di she – cession: solo negli Usa, la disoccupazione femminile è aumentata di 2,9 punti percentuali rispetto a quella maschile. In Italia, secondo i recenti dati Istat, nel secondo trimestre 2020 ci sono 470 mila occupate in meno rispetto al secondo trimestre 2019. Il tasso di occupazione femminile, ultimo in Europa, è sceso al 48,4%, con l’aggravante dei forti divari interni tra Nord, Centro e Sud, dove l’occupazione femminile era già inferiore al 30% prima della pandemia.
Il nostro tasso di occupazione femminile, ultimo in Europa, è sceso al 48,4%. Al sud era già inferiore al 30% prima della pandemia
Ma c’è una differenza tra l’Italia e gli altri paesi: qui da noi già esisteva un forte divario di genere nel mercato del lavoro, sul quale il nostro Paese ha fatto pochissimo, con gravi effetti sul sistema economico e produttivo complessivo. La questione di genere va riconosciuta, cioè, quale fattore decisivo per innescare crescita o crisi di un paese, a seconda di come si agisce.
La recente relazione della ragioneria di Stato sul bilancio di genere ha evidenziato come su 720 miliardi di euro di spesa complessiva la somma destinata alla riduzione dei divari di genere ammonti allo 0,3%. Bisogna agire di più e meglio.
Per questo, con proposte circostanziate sul come e dove, abbiamo voluto suonare la sveglia: al Governo, ma soprattutto alle donne, che hanno raccolto l’invito, firmando il nostro appello.
Se non si agisce subito e in modo mirato la conseguenza è una recessione economica più profonda e persistente. La propagazione della crisi dipende da quanto cala la propensione marginale al consumo (Mpc) per effetto degli shock di reddito delle famiglie, ovvero da quanto forte ed esteso sia l’impatto della minore domanda di consumo sull’economia.
Lo studio indica come la Mpc si riduca in maniera molto più decisiva nel caso di crollo del lavoro femminile rispetto a quello maschile: perché la propensione al consumo di una donna con figli è generalmente maggiore, e perché i dati ci dicono che una donna con figli che lavora genera due o tre posti di lavoro, mentre un uomo ne genera uno solo, il suo.
Ma perché l’attuale recessione impatta sproporzionatamente sull’occupazione? Il lavoro femminile è concentrato in settori relativamente stabili nei cicli economici tipici, ma fortemente influenzati dalle misure di chiusura e allontanamento sociale durante la pandemia. Esempi primari, i settori “ad alta intensità di contatto”, come ristoranti e attività turistiche (Mongey et al.2020, Albanesi et al. 2020). Non solo, la chiusura di scuole e asili nido ha due generi di ripercussioni: dirette, perché anch’essi sono a forte occupazione femminile e, per quanto riguarda i nidi, parliamo di una forte percentuale di strutture private, che hanno chiuso. Ma soprattutto indirette, perché le esigenze di assistenza all’infanzia dei genitori si sono moltiplicate e le donne hanno supplito durante la crisi all’assenza di servizi in maniera decisamente superiore alla controparte maschile, dovendo spesso abbandonare o tralasciare il lavoro (Adams-Prassl et al.2020, Alon et al.2020a, Collins et al. 2020).
L’apertura di scuole e asili nido può svolgere un ruolo enorme nel favorire la ripresa, liberando molta offerta lavoro e moderando la disparità salariale di genere
Le conseguenze: diseguaglianze di genere e di reddito, crollo del potere d’acquisto, propagazione della crisi, recessione. Dati che forniscono un’ulteriore riprova di come l’evoluzione dell’offerta di lavoro femminile sia strettamente correlata ai risultati macroeconomici nelle economie avanzate (Doepke e Tertilt 2016, Fukui et al.2019, Albanesi 2020).
La natura distintiva di una recessione pandemica porta anche a implicazioni diverse. Forse la più ovvia è che l’apertura di scuole e asili nido può svolgere un ruolo enorme nel favorire la ripresa, liberando molta offerta lavoro, diretta e indiretta, e aumentando immediatamente la produzione. In particolare, lo studio rivela come sia proprio il fatto di mandare i bambini al nido a ridurre il divario salariale di genere.
Se le scuole debbano rimanere aperte dipende naturalmente dal fatto che la pandemia sia sufficientemente controllata per farlo in sicurezza. Tuttavia è ormai assodato – e saranno considerazioni valide anche per futuro – il grande impatto dell’apertura delle scuole e dei nidi su ripresa e crescita rispetto ad altri settori dell’economia, sia in relazione al rischio di contagio sia più in generale. Lo studio analizza rischi e benefici derivanti dall’apertura di settori più piccoli (ad esempio, bar e impianti sportivi) e rileva come non siano parimenti decisivi, specie se l’aumento delle infezioni derivante dalla loro apertura rendesse impossibile aprire le scuole in un secondo momento, con conseguente impossibilità di lavorare per molti genitori e aumento del divario di genere (Fuchs-Schündeln et al. 2020). L’impatto moltiplicatore negativo derivante dalla chiusura delle scuole in termini di minore istruzione dei bambini e di futura diseguaglianza non viene calcolato nello studio, ma è certamente da sommare agli effetti appena descritti.
Per queste e altre ragioni Il Giusto Mezzo chiede interventi programmatici e strategici in 3 ambiti chiave per il futuro: servizi di cura alla persona (infanzia, anziani, non autosufficienti); occupazione femminile e imprese femminili; disparità di genere, gender pay gap incluso.
Non bonus o finanziamenti una tantum, quindi, ma un piano straordinario di infrastrutture sociali per un’offerta sistemica e strutturata, disponibile a tutti e tutte, sull’intero territorio nazionale, a prescindere dalla domanda. Questo è in parte finanziabile con le risorse di Next generation Eu, ma non basta: serve, oggi più che mai, un cambio di paradigma nel disegno del bilancio della spesa ordinaria nazionale, e nel controllo della spesa trasferita alle Regioni e ai Comuni.