Il ruolo della donna nel mondo del lavoro, un tema di costante attualità a cui guardare oggi con “lenti nuove”. Al fine di comprendere meglio le opportunità all’orizzonte per l’occupazione femminile, incontriamo l’avvocata Andrea Catizone, giurista e studiosa, specializzata nella tutela dei diritti fondamentali e in materia di gender equality, diversity e inclusion.
Andrea Catizone, giurista e studiosa, specializzata nella tutela dei diritti fondamentali e in materia di gender equality, diversity e inclusion
Partiamo subito dai livelli di vertice: a che punto siamo in Italia nel rapporto tra donne e leadership. Quali sono gli ostacoli da superare?
Si stanno facendo dei passi in avanti, ma c’è ancora un problema culturale che investe il nostro Paese e che ha una radice nelle modalità attraverso cui si costruiscono le relazioni, in tutti gli ambiti, tra uomini e donne. Il problema riguarda però anche la visione che molte donne, così come molti uomini, hanno di sé. È necessario intervenire con strumenti formativi incisivi sulla costruzione identitaria e sulla rappresentazione della propria persona all’interno del mondo professionale, ma non solo. Molto spesso le donne, anche le giovani manager e professioniste, non hanno l’ambizione di puntare a posizioni apicali per la loro carriera.
È necessario intervenire con strumenti formativi incisivi sulla costruzione identitaria e sulla rappresentazione della propria persona all’interno del mondo professionale, ma non solo
Si pongono pertanto degli obiettivi “al ribasso”, in un contesto sociale e culturale che già agevola maggiormente la progressione professionale degli uomini. L’approccio delle donne alla carriera deve essere coraggioso, anche rispetto alle prospettive dirigenziali. È importante partire da questa consapevolezza per contribuire a ridurre il gap che attualmente si registra e la sensibilità che sta crescendo su questi argomenti deve essere accompagnata in maniera propositiva. Del resto, è dimostrato che i contesti “mono-strutturati”, solo maschili o solo femminili, non producono benessere, risultando nei fatti non competitivi. Le organizzazioni che invece si fondano sull’integrazione delle diversità hanno evidenti prospettive di crescita.
Ed è cresciuta notevolmente anche la sensibilità istituzionale sulle pari opportunità, come dimostrano alcuni recenti interventi normativi…
Certamente, e pure in tal senso il Pnrr rappresenta un’opportunità molto interessante avendo assunto la visione trasversale del principio delle pari opportunità. Non più solo quote, anche se occorre fare di più in termini di risorse da destinare a questo ambito. Ciò nel quadro di un’impostazione del Piano che guarda con attenzione all’obiettivo di realizzare una maggiore sostenibilità, anche sotto il profilo sociale, e che rifacendosi all’Agenda 2030 Onu spinge il sistema produttivo, pubblico e privato, verso i tre fattori Esg: environmental, social and governance. Per far questo è necessario però creare una nuova cultura d’impresa, per la quale sono state strutturate misure che necessitano di diffusione e sistematizzazione.
Pensiamo, ad esempio, al “Fondo impresa femminile” costituito presso il Mise che consente, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati, la nascita, il consolidamento e lo sviluppo delle imprese guidate dalle donne. Il Fondo è rivolto a quattro tipologie di imprese femminili: cooperative o società di persone con almeno il 60% di donne socie, società di capitali nelle quali le donne rappresentino almeno i due terzi delle quote e dei componenti degli organi di amministrazione, imprese individuali aventi come titolare una donna e lavoratrici autonome con partita Iva. L’inserimento di quest’ultima tipologia è una importante novità, perché sappiamo bene quante donne, tra pandemia e smart working, abbiano deciso di lavorare a partita Iva.
Il “Fondo impresa femminile” presso il Mise consente, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati, la nascita, il consolidamento e lo sviluppo delle imprese guidate dalle donne
C’è inoltre la novità riguardante il sistema per la certificazione della parità di genere. Che ne pensa?
È un avanzamento significativo, perché in relazione alla certificazione, obbligatoria per le aziende con più di 50 dipendenti, vengono previste agevolazioni in favore delle imprese, dal punto di vista fiscale e per l’accesso ai finanziamenti pubblici e agli appalti. Le aziende dovranno redigere e trasmettere un rapporto biennale in cui si dimostra di aver rispettato i parametri fissati per ottenere la certificazione; è quindi importante, a mio avviso, che, tra coloro che saranno preposti al rilascio della certificazione, vi siano professionalità con competenze specifiche in tema di pari opportunità.
Oltre a queste misure già in vigore, quali altri interventi dovrebbero essere secondo lei adottati per sostenere la crescita del management e dell’imprenditoria femminile?
Spero che le istituzioni intervengano, in maniera incisiva, per costituire meccanismi di premialità che aiutino le aziende impegnate nel rispetto dei principi dell’eguaglianza di genere. Penso a notevoli agevolazioni fiscali per chi assume donne, rispettando la parità retributiva e favorendo l’affermazione di una leadership aziendale al femminile, e per le aziende attente alle esigenze delle madri lavoratrici, che non devono avere effetti negativi sulla carriera in seguito alla nascita dei figli.
Auspico altresì che il percorso previsto per il sistema di certificazione sia progressivamente semplificato, così da non rappresentare un’incombenza che disincentivi le imprese. Purtroppo, nel nostro Paese, il rischio di un’eccessiva complessità burocratica è sempre dietro l’angolo, ma se intendiamo costruire una cultura nuova, che non classifichi il sistema di certificazione come un peso per le aziende, occorre semplificare. Se c’è la volontà di incentivare le aziende a investire sulle donne, i costi non devono essere più alti dei benefici; non si può scaricare sul tessuto imprenditoriale il peso di un obiettivo pubblico come la parità di genere. È altresì opportuno che siano agevolate le aziende dotate di un welfare aziendale capace di supportare il ruolo delle donne rispetto al loro “carico di cura” del nucleo familiare, soprattutto in relazione al tema della maternità.
Si discute tanto del crollo delle nascite in Italia, ma non si fa ancora abbastanza per sostenere le madri lavoratrici, che devono essere messe davvero nelle condizioni di concorrere al raggiungimento anche di ruoli dirigenziali di vertice. Infine, in un Paese come il nostro che registra un progressivo allungamento della speranza di vita, è indispensabile che le azioni di welfare contemplino anche la cura dei genitori anziani e dei familiari in oggettive condizioni di fragilità.