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Per oggi e per domani

Per risolvere il rebus pensioni serve un impegno complessivo: dalle istituzioni ai privati, tutti sono chiamati a fare la propria parte. Più equità e adeguate tutele per chi, come i manager, lavora e contribuisce alla crescita del Paese.

Nel panorama di incertezze che caratterizza il presente, un posto particolare è occupato dal cosiddetto “rebus pensioni”.

Assistiamo infatti a un affastellamento di interventi legislativi che promettono mirabolanti riforme, ma tendenzialmente si risolvono in misure di corto respiro e normalmente peggiorative. Soprattutto per categorie, come quella manageriale, che contribuiscono alla crescita del Paese, ma continuano a essere penalizzate e fiscalmente tartassate.

Siccome i numeri contano in questo Paese più del merito, purtroppo, abbiamo pensato di allargare il perimetro delle nostre azioni di tutela oltre la nostra categoria, includendo tutti coloro che hanno un reddito superiore a 35mila euro annui lordi: il cosiddetto ceto medio, continuamente escluso da norme agevolative o incentivanti e sempre più impoverito.

Eppure, parliamo di donne e uomini che sono il motore dell’economia del Paese. Per questi motivi, attraverso Cida abbiamo lanciato una petizione a difesa del ceto medio che è ormai prossima al raggiungimento dell’obiettivo delle 50mila firme. Auspichiamo che tante altre persone esprimano la loro adesione all’iniziativa.

Certo, riformare il quadro pensionistico in Italia non è facile: la popolazione invecchia, l’età di ingresso al lavoro cresce, il debito pubblico è elevatissimo, i salari sono bassi e l’evasione mantiene livelli intollerabili.

In tale cornice, particolarmente complessa, il legislatore si deve muovere, ma al di là delle enunciazioni, l’attesa riforma sembra ormai essere stata rimandata nel tempo come obiettivo da conseguire entro la legislatura per la carenza di risorse disponibili, sempre che la maggioranza esca indenne dai prossimi appuntamenti elettorali.

Quello che serve davvero è una riforma strutturale e duratura che dia affidamento in particolare alle giovani generazioni.

Per quanto riguarda poi la mancata piena indicizzazione delle pensioni del ceto medio al costo della vita, aggravato in questi anni dall’inflazione, siamo di fronte a una mortificazione di chi ha lavorato e ha assunto responsabilità rilevanti.

Serve un’inversione di rotta. Occorre incrementare la base occupazionale e il livello dei salari, separare la previdenza dall’assistenza, far pagare i contributi a chi non paga e liberare maggiori risorse per il secondo pilastro della previdenza complementare.

Quest’ultima è infatti un pilastro della riforma Dini del 1995 che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo, ma non ha avuto nel tempo la giusta valorizzazione nonostante sia indispensabile per il futuro dei lavoratori e costituisca uno strumento finanziario per sostenere l’economia con investimenti, in particolare nell’economia reale.

Stiamo tenendo incontri sul territorio che registrano grande interesse, perché la previdenza è un argomento che interessa i senior di oggi, ma anche quelli di domani e richiede attenzione e consapevolezza.

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