Paola Bonomo: la tecnologia premia le donne

L’Italia è al quarto posto nel mondo, secondo una ricerca condotta nel settembre scorso da Credit Suisse Research Institute, per presenza di donne nei CDA con il 30,8%: un risultato lusinghiero o una fotografia poco soddisfacente?

La legge 120/2011 sulla parità di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate e controllate dalle pubbliche amministrazioni, è servita da stimolo a intervenire su una situazione che stava cambiando a una velocità glaciale. A livello internazionale, la legge italiana è considerata una best practice, avendo previsto una certa gradualità nell’applicazione ed essendo una misura temporanea (valida per tre mandati, o nove anni). Quanto agli effetti, quello su cui concordano gli esperti di corporate governance è che l’applicazione della legge ha alzato l’asticella per tutti i consiglieri. I consigli di amministrazione che abbiamo oggi non solo presentano un migliore equilibrio di genere, ma sono mediamente più istruiti e in media di qualche anno più giovani di quelli che avevamo prima.

Le nuove tecnologie offrono maggiore spazio alle donne. In Italia, oltre a Lei, penso a Roberta Cocco, manager Microsoft e oggi assessore al comune di Milano. Le ICT sono più “democratiche”?

Secondo la Commissione Europea, ci saranno circa 800mila posizioni nell’industria dell’ICT in Europa nel 2020: con questa fame di competenze non potranno che esserci opportunità per le donne tanto quanto per gli uomini. Le tecnologie digitali permettono di costruire aziende più trasparenti, in cui non interessano tanto le metriche di input (quante ore hai passato in ufficio?) ma quelle di output (qual è stato il ROI della tua campagna?): a mio parere questo non potrà che premiare le donne per i risultati che sanno ottenere.

Lei è stata nominata per due volte “One of the most inspiring women in European Tech”: qual è il suo approccio alle nuove tecnologie?

Le tecnologie digitali fanno parte delle nostre vite, non vanno idolatrate né demonizzate. Vanno comprese e studiate: i nostri figli devono essere abituati al pensiero computazionale. Come noi abbiamo visto rivoluzionati dal digitale la musica e i media, loro vedranno rivoluzionati la finanza e la sanità. Devono quindi avere gli strumenti cognitivi per essere protagonisti di questo passaggio. 

La questione del “gender gap” deve necessariamente accompagnarsi a un discorso sul merito. Oggi le donne hanno un accesso diverso al mondo all’istruzione universitaria e post-universitaria?

Secondo l’ultimo Gender Gap Report pubblicato dal World Economic Forum, l’Italia è molto vicina alla parità di genere nell’ambito dell’istruzione e in quello della salute.

Rimane, certo, molto da fare anche nel campo dell’istruzione: citerei in particolare la necessità di indirizzare anche le bambine (e non solo i bambini) alle discipline STEM, e la necessità di far ambire le giovani laureate alle migliori scuole di alta formazione internazionali, dove le donne italiane sono purtroppo ancora sottorappresentate.

L’indagine Istat più recente sul mondo del lavoro certifica che la differenza tra uomini e donne occupati è di quasi 20 punti percentuali (65,5% uomini, 47,2% donne). Come mai?

In Italia non abbiamo mai veramente avuto politiche inclusive efficaci per aumentare l’occupazione femminile: a un certo mondo cattolico andava bene che le donne stessero a casa, ad altri andava bene che uscissero per fare shopping. Ma il modello dei nostri genitori, in cui una persona che lavorava fuori casa poteva mantenerne altre tre o quattro, ha ormai smesso da tempo di essere sostenibile, e il nostro welfare non si è mai davvero adeguato a questa realtà.

Non stupisce che il gap occupazionale sia così importante, né che dove il tessuto economico si è più modernizzato le donne siano molto più avanti che nel resto d’Italia: a Milano lavorano il 65% delle donne. 

Su questo gap occupazionale profondo quanto incide il fatto che la maternità sia posta come una questione esclusivamente (o quasi) femminile?

I governi – con pochissime eccezioni, come quello svedese – non sembrano capaci né desiderosi di considerare i figli come un affare di ambo i genitori. La politica di casa nostra potrebbe avere più coraggio e decidere – ad esempio, per cominciare – che il congedo facoltativo (dopo l’astensione obbligatoria dal lavoro) non sia di sei mesi tutti per la madre, ma di tre mesi per un genitore e tre mesi per l’altro, non cedibili.

Le imprese possono dare il buon esempio e sensibilizzare la politica?

Alcune imprese private hanno preso la leadership su questi temi: per chi lavora in Facebook, ad esempio, il congedo genitoriale minimo messo a disposizione dall’azienda è di 4 mesi in tutto il mondo, che si sia padri o madri; in Spotify è di 6 mesi. Poi ci sono alcune campagne di sensibilizzazione che sono utili.

Ad esempio?

#BeBoldForChange è sponsorizzata e sostenuta da diverse aziende, i cui leader hanno dichiarato il loro impegno nei confronti della parità di genere, spesso dandosi dei target misurabili. Adam Warby, CEO di Avanade, ha dichiarato che l’obiettivo per la sua azienda è di avere entro il settembre 2018 il 30% della leadership composta da donne.

Lo scorso 8 marzo ho accolto l’invito di un’azienda milanese, Jobrapido, a raccontare la mia esperienza e insieme all’imprenditrice Federica Storace, co-fondatrice e CEO di Drexcode, abbiamo parlato di cambiamento, di obiettivi, e soprattutto di coraggio.

Nel Regno Unito la campagna #askhertostand chiede un Parlamento composto al 50% da donne mentre l’Italia è all’undicesimo posto per presenza femminile e Roma ha avuto il suo primo sindaco donna a giugno del 2016. Questo fa di noi un Paese politicamente arretrato?

La campagna inglese #askhertostand è un’ottima idea e come tante buone idee credo che incontrerà difficoltà e resistenze. In Italia, osservo che negli ultimi 25 anni quasi tutti i giovani leader di talento hanno scelto di non occuparsi di politica; ne deriva una scarsa qualità media della classe dei nostri rappresentanti e una sensazione di distanza, se non di scollamento, dalle istituzioni.

Ma è tramite la partecipazione alla politica che – per esempio – le donne svedesi hanno ottenuto che i padri partecipassero ai congedi parentali. Mi piacerebbe molto che le nostre leader politiche creassero una campagna ispirata a quella inglese, perché una nuova generazione di donne possa trovare anche in questo campo una sfida in cui vale la pena di impegnarsi.

Da 8 anni Lei è anche “Angel”: nelle start-up la presenza femminile è più elevata che nelle aziende tradizionali?

Le start-up in Italia – ma non solo – sono ancora una faccenda prevalentemente maschile, soprattutto in campo tecnologico. C’è ancora molto da fare, per esempio nell’orientamento alla scelta degli studi universitari, ma anche molto prima, con i messaggi che diamo alle bambine nella scuola dell’obbligo, dove gli stereotipi sono ancora diffusi e pesanti, persino nei libri di testo. 

Chiudiamo con una domanda di scenario: il 2017 sarà l’anno decisivo per la realizzazione del Digital Single Market?

Da europeista, credo che gli obiettivi che la Commissione Europea si è data con il mercato unico digitale siano in gran parte corretti: ma come cittadini dobbiamo vigilare perché non si cada, come per esempio in materia di privacy, in eccessi di regolamentazione che appesantiscono i processi delle imprese senza recare alcun beneficio reale ai consumatori.

* Giornalista