Oggetti comunicanti

Coniugare innovazione e sostenibilità, con il coraggio di sperimentare. Il Premio GammaDonna quest’anno è andato a Susanna Martucci, che alle giovani lancia un messaggio chiaro: crederci sempre e impegnarsi per riuscire.

Anche quest’anno la splendida cornice dell’”Italian Tech Week” ha ospitato la finale del Premio GammaDonna, il prestigioso riconoscimento promosso dall’Associazione GammaDonna – in partnership tra gli altri con il Gruppo Minerva di Federmanager e Manager Solutions – e rivolto alle figure capaci di innovare nell’ambito dell’imprenditoria femminile. Ad aggiudicarsi l’edizione 2023 è stata Susanna Martucci, amministratrice e founder di Alisea Srl società benefit, che il nostro magazine ha il piacere di intervistare.

Credits Ph. Alessandro Rocca

Susanna Martucci, amministratrice e founder di Alisea Srl società benefit

 

Dottoressa Martucci, cosa ha significato per lei vincere il Premio GammaDonna?

Una grande gioia. Questo premio rappresenta innanzitutto un riconoscimento all’enorme lavoro svolto, a partire dal 1994, insieme al team che ogni giorno mi accompagna. Abbiamo iniziato con la forza di un’idea: lavorare a un target alto di oggetti di design, assolutamente made in Italy, e realizzati partendo da scarti industriali. Quando ho ricevuto il premio, mi è passata un po’ tutta la vita lavorativa davanti: dai primi momenti in cui ho avviato l’attività, con una grande paura di fallire, alle tante occasioni in cui siamo riusciti a raggiungere step significativi, offrendo un esempio altamente positivo di imprenditoria femminile innovativa. Alcune delle persone che hanno iniziato con me circa trent’anni fa, sono ancora parte integrante dell’azienda. Ecco, questa grande gioia ho voluto condividerla proprio con loro.

Entrando nel dettaglio, di cosa si occupa esattamente la sua azienda?

Allora, partiamo da un punto: noi ispiriamo le aziende produttive a vedere i propri scarti come un valore e come un’opportunità di design. Proponiamo quindi di darci questi scarti e di permetterci di riprogettarli in oggetti di uso comune, capaci di “far nascere una nuova storia”. Le faccio un esempio concreto: prendiamo una classica bottiglietta di plastica da 500ml e la trasformiamo in una bella penna, oppure prendiamo uno pneumatico e lo facciamo diventare l’elegante cover di un’agenda. Già nel 1994 ci piaceva definire le nostre realizzazioni come “oggetti comunicanti”, perché in grado di comunicare il lavoro fatto e il tentativo più ampio di trasformare uno scarto in un’oggetto di design di alta qualità. In ultima analisi, si può arrivare a dire che noi vendiamo comunicazione tridimensionale perché raccontiamo la storia e i valori dell’azienda attraverso gli oggetti che produciamo.

Abbiamo iniziato con la forza di un’idea: lavorare a un target alto di oggetti di design, assolutamente made in Italy, e realizzati partendo da scarti industriali

Una sfida decisamente ambiziosa…

Certo, infatti, invece di uniformarci, abbiamo sempre preferito alzare l’asticella, obbligandoci a uscire dalla nostra zona comfort zone per provare a fare qualcosa che prima non esisteva. Comunichiamo la sostenibilità attraverso i fatti concreti e non con le semplici parole. A mio modo di vedere, un rifiuto si chiama rifiuto perché ancora nessuno è stato capace di trasformarlo in valore. Con coraggio, ingegno e voglia di innovare, è sempre più possibile riuscirci.

Da esperta di economia circolare applicata, se così possiamo dire, in che modo i nuovi trend della produzione industriale stanno impattando sugli obiettivi di rispetto dell’ambiente e lotta ai cambiamenti climatici?

Oggi le normative, nazionali ed europee, divengono via via più stringenti, vincolando la produzione al rispetto di parametri precisi. E chi non ci riesce è tagliato fuori dalla competizione. Se una filiera ha nuovi parametri da rispettare nei cicli produttivi, o ti adegui o rischi di uscire dalla filiera.

Ecco perché oggi è importante anticipare la normativa in tema di sostenibilità, interpretando le nuove tendenze che si rilevano. E quando parlo di sostenibilità, si badi bene, intendo anche quella sociale. Nel nostro caso, ad esempio, non penso mai solo al recupero del prodotto, ma anche prioritariamente al benessere di chi lo realizza e lo confeziona.  Bisogna sempre domandarsi quale possa essere l’impatto positivo del business su territori e comunità di riferimento. Consideriamo infatti la nostra azienda come un essere vivente che deve avere un impatto positivo – e comunque non negativo – nei confronti dell’ambiente e della comunità in cui opera. Sono fermamente convinta che oggi l’economia circolare debba valere anche per le idee.  Per questo ritengo fondamentale che le tante Pmi, che costituiscono l’ossatura del sistema imprenditoriale nazionale, facciano sistema tra di loro e con le più grandi aziende in un’alleanza condivisa su visioni e azioni concrete in favore di un’autentica sostenibilità.

Nel panorama italiano emergono segnali incoraggianti, ma è ancora tanta la strada da fare per una riduzione effettiva del gender gap. Da donna di successo, cosa suggerirebbe oggi a una giovane che voglia fare impresa o intenda diventare una grande manager?

Per prima cosa di crederci. Di credere nel suo sogno e nel progetto professionale che la appassiona. E poi di mettere moltissimo impegno per riuscire. Forse adesso c’è qualche ostacolo in meno rispetto agli anni ’80, quando ho iniziato io, ma serve comunque una straordinaria determinazione accompagnata da una solida disciplina. L’obiettivo primario non deve essere quello di diventare una figura “top” per il guadagno che ne consegue, ma piuttosto di riuscire a raggiungere quegli obiettivi che hanno richiesto impegno e sacrifici. Certo, l’aspetto economico è importante perché sono convinta che solo una donna che sia totalmente indipendente possa sentirsi anche davvero libera in tutte le sue scelte, professionali e personali. 

Consideriamo la nostra azienda come un essere vivente che deve avere un impatto positivo – e comunque non negativo – nei confronti dell’ambiente e della comunità in cui opera

Possono quindi davvero essere protagoniste di una società più inclusiva, a suo giudizio?

Sicuramente sì. Vedo un futuro positivo per le donne imprenditrici o manager. Un futuro in cui si riesca a raggiungere la parità di genere a cui abbiamo diritto. Caratteristica del genere femminile è, secondo me, avere una visione a lungo termine e saper lavorare molto bene su più fronti. Un tempo si pensava che una donna con figli e famiglia non fosse capace di svolgere un lavoro prestigioso che richiedesse grosse responsabilità. Per fortuna molte donne hanno dimostrato che non è così. Oggi ci sono moltissime donne giovani, e meno giovani, che sviluppano un patrimonio culturale e lavorativo in grado di fare la differenza per cambiare un sistema ormai vecchio e polveroso.

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