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Obbligati a crescere, ma come?

Servono nuove politiche per la crescita, in particolare nell’Eurozona. Su questo è difficile trovare opinioni contrarie. Ma da qui a fine novembre, quando il parlamento dovrà licenziare la Legge di Bilancio, la vera discussione è sul come intervenire. Dal nostro osservatorio indichiamo due leve: consumi interni e investimenti.

Le ragioni sembrano evidenti anche al governo, ma le riflessioni sulle misure che servono per centrare l’obiettivo del sostegno della domanda sono ancora acerbe.

L’esperienza italiana degli ultimi tre anni dice abbastanza chiaramente che le risorse destinate a sostenere i consumi delle famiglie non hanno prodotto risultati rilevanti. Possono anche essere desiderabili, ma non possono essere efficaci senza una previa definizione a livello Eurozona.

Gli incontri tra Federmanager e gli uffici tecnici della Presidenza del Consiglio si stanno facendo più frequenti: fornendo le nostre stime e valutazioni su molti capitoli della manovra economico-finanziaria speriamo di sollecitare un supplemento di analisi, soprattutto perché il quadro generale non permette di fare errori.

La produttività totale, risultante dalla somma di capitale e lavoro, è in forte rallentamento in tutta l’Ue. In Italia più che altrove. Gli equilibri tra dollaro ed euro, con Fed e Francoforte sempre più lontane nelle scelte di politica monetaria, saranno più difficili da gestire già a partire dal prossimo anno. Il commercio internazionale, che finora ha letteralmente salvato la nostra produzione industriale dallo stallo, è destinato a subire uno stop. 

Ci preoccupa in modo particolare che il WTO già per quest’anno abbia tagliato le stime sul commercio mondiale dal 2,8% all’1,7. Se non abbiamo la spinta dell’export, dobbiamo compensare immediatamente con politiche di investimento mirate per molti settori industriali, a partire da quelli del Made in Italy, in modo da intercettare la domanda che ancora è consistente oltreconfine.

Le nostre imprese patiscono un deficit di dinamismo che è destinato ad accentuarsi. Serve una politica economica con una governance forte, che garantisca flessibilità e sostenga l’iniziativa d’impresa delle giovani generazioni. Una delle cause di questa poca vivacità va infatti individuata nel nostro rallentamento demografico. Siamo obbligati a crescere, come è stato ben messo in luce dal recente convegno che è stato organizzato a Roma proprio con questo titolo da Il Messaggero con la collaborazione dell’Abi, e che ha riunito tutti i più importanti rappresentanti del mondo economico italiano ed europeo.

Federmanager è stata invitata a partecipare a quella ristretta platea e, anche in quella occasione, abbiamo detto che gli investimenti vanno fatti in ricerca e sviluppo e in capitale umano. Che se non si portano le piccole e medie imprese a dotarsi di professionalità manageriali, esterne alla proprietà, se non le si rafforza con competenze robuste, non solo non si cresce, ma si implode all’interno dei propri confini. E si chiude. Per questo, voglio citare l’intervento che Claudio Costamagna di Cassa Depositi e Prestiti ha tenuto a quel convegno, perché a mio parere ha centrato il punto: le aziende italiane per crescere devono aggregarsi, capitalizzarsi e, soprattutto, managerializzarsi.

Questo è un punto chiave che la politica sembra non capire. Senza manager non si cresce. L’1% di crescita del Pil, il cosiddetto “tasso di crescita potenziale”, non ha effetti sulla economia reale se poi la produzione industriale non riparte.

Gli investimenti finora hanno avuto carattere congiunturale, e dall’Europa – che comunque cresce in media di mezzo punto l’anno più di noi – è mancato un intervento organico. Siamo soddisfatti che il governo, con il ministro Calenda capofila, abbia messo sul piatto agevolazioni fiscali consistenti per Industria 4.0, varando un piano di iper e super ammortamenti. Ma anche qui, e lo stiamo ripetendo anche nei nostri incontri istituzionali, chi si immagina possa attuare la trasformazione che chiamiamo Industry 4.0?

Il tema della crescita deve essere affrontato fuori retorica, anche perché siamo in una fase storica senza precedenti. Dobbiamo costruire solidi ponti tra chi ha la governance della politica economica e il mondo delle imprese e del management.

Ai consumi farebbe bene una programmazione strutturata di sostegno al welfare. La speranza è che nel testo economico-finanziario il governo riesca a rispondere adeguatamente su questo tema, ampliando la platea dei soggetti beneficiari e sostenendo l’iniziativa contrattuale.

Secondo i dati recentemente diffusi dal ministero del Lavoro, nel 2016 sono stati firmati appena 4.000 accordi di produttività. Di contro, ben il 65% di essi ha previsto una qualche misura di welfare ed è una percentuale significativa se paragonata al 2015. Di fronte a questi numeri, capiamo che quello che è stato deciso nella scorsa Stabilità non è stato sufficiente, che ci vuole maggiore coraggio per portare il welfare aziendale a una dimensione di sistema. Ma capiamo anche che esiste una domanda e che la cultura d’impresa sta evolvendo nella direzione giusta.

Auspichiamo che il governo non solo sistematizzi l’ambito di applicazione delle agevolazioni fiscali nella prossima Legge di Bilancio in modo da ridurre l’incertezza, che è uno dei fattori che spinge le famiglie a risparmiare, ma torni a instillare fiducia anche nel valore della contrattazione, in primis quella nazionale.

Come Federmanager siamo convinti che il welfare integrativo rappresenti uno strumento per far ritornare i cittadini a spendere in prestazioni di cui hanno bisogno e alle quali stanno rinunciando. Far ripartire i consumi interni con questo approccio significa essenzialmente mirare al benessere della collettività. Un piano di welfare a lungo termine è una soluzione vantaggiosa tanto per il lavoratore quanto per l’impresa. Su larga scala, significa investire su un “moltiplicatore” di competitività del sistema Paese.

Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager