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Nozze europee

Abbiamo l’obbligo morale di lavorare a una prospettiva europea di successo. Mettiamo a fattor comune le tante competenze nazionali per dare all’Italia più forza sui tavoli negoziali aperti nell’Ue.

Appena pochi giorni fa, il 9 maggio, abbiamo celebrato la festa dell’Europa con la presidente von der Leyen in visita a Kiev, al fianco del premier ucraino. A oltre un anno di distanza dall’aggressione russa, l’Europa dimostra così di voler continuare a sostenere un Paese che non è tra i 27, ma non per questo è considerato meno europeo.

L’Unione è nata storicamente per ristabilire la pace e per assicurare prosperità. Ma, come in tutte le nozze, stare insieme non è facile, specie se la promessa fatta si propone di durare per tutta la vita.

Pertanto, chi sta peggio preme per aderire e ammicca. Sorprendentemente, invece, altri premono per uscire, nonostante i benefici offerti dalla casa comunitaria che, in taluni casi, hanno persino contribuito a fondare.

Quanto a noi, mi hanno sempre stupito, o meglio infastidito, i momenti euroscettici e i sotterfugi politici dei pochi che sognavano un’Italia fuoriuscita. L’unico messaggio utile, in questo momento, è quello di chi lavora per aumentare il nostro peso tra gli altri, facendolo valere nell’unico consesso che esercita il potere di incidere. In questo momento, infatti, è in ballo la negoziazione di regole economiche e finanziarie capaci di produrre effetti importanti sulle politiche nazionali e che meritano di essere affrontante nell’ambito della dimensione europea e in quella soltanto.

Si tratta un po’ su tutto, è vero: dallo stop ai motori endotermici, passando per le case “green” e finendo alle farine di insetti. Si tratta anche sul Mes e sul nuovo patto di stabilità. Fa parte del confronto politico, ma la ripresa e le promesse di crescita che ai giovani sono state rivolte (ricordiamo come abbiamo chiamato il piano di ripresa post pandemia), non possono essere disattese. Noi abbiamo l’obbligo morale di lavorare a una prospettiva di successo.

Il rischio, altrimenti, è di avere un’Europa in fuorigioco, stretta tra la competizione esplicita con i giganti asiatici e il dialogo competitivo che ci lega alle sponde opposte dell’Atlantico.

Va abbandonata l’idea che ci siamo raccontati a lungo di un’Europa matrigna che, sull’asse Bruxelles-Strasburgo, maltrattava l’Italia come una Cenerentola schiacciata dal debito pubblico e quindi impossibilitata a negoziare davvero.

Negli ultimi anni il nostro Paese, rinfrancato da consapevolezze nuove, ha superato ataviche timidezze, mettendo in campo le tante competenze nazionali e i successi del Made in Italy nel mondo, oltre che straordinarie espressioni di solidarietà.  E di questa Italia i nostri manager sono la migliore espressione possibile, come dimostrano ogni giorno, lavorando per l’industria e per il Paese.

L’Europa ha bisogno dell’Italia, ma, si badi bene, anche l’Italia ha fortemente bisogno dell’Europa.

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