La digitalizzazione non è mai solo una questione tecnologica ma strategica. C’è sempre più la consapevolezza che a nulla serviranno le tecnologie se non ci riappropriamo del pensiero che sono le persone a far accadere le cose. Sono le persone che fanno la differenza, sempre e comunque, ottimizzando le innovazioni e riconoscendo il ruolo che hanno, di supporto e di miglioramento della qualità della vita. Questo significa un modo radicalmente diverso di affrontare la rivoluzione digitale perché rassicura la persona sulla sua importanza e insostituibilità. La persona resta il centro del palcoscenico dando un valore aggiunto incredibile all’azienda quando riesce a definire le aree di miglioramento in cui la digitalizzazione può intervenire, creando un ambiente di lavoro meno faticoso e più sicuro.
Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp e partner Ic Consulting
Sono tre secoli che il rapporto uomo-macchina è complicato perché basato sulla paura. Paura che le macchine, in questo caso i robot, sostituiranno le persone mentre si è poi sempre verificato (un orizzonte temporale un po’ più ampio nell’analisi aiuta anche in questo) che è solo migliorata la qualità della vita e che si sono venute a creare nuove professionalità.
Il vero nocciolo duro sarà quello delle competenze necessarie per rimanere allineati alle nuove tecnologie. Saranno richiesti un aggiornamento e una formazione continua per rimanere sul mercato del lavoro con potere contrattuale, ma le aziende lo sanno e hanno interesse a occuparsi anche di questo.
C’è la consapevolezza che entro il 2030 il 60% delle occupazioni dovrebbe essere automatizzata, per cui ci saranno sì nuovi posti di lavoro, ma diversi, con preparazione e competenze diverse. Occorreranno altri modelli organizzativi perché l’avvento di robot o cobot prevede che non si possa applicare la stessa rigidità organizzativa conosciuta. All’evidenza di nuovi ruoli e di nuove skill occorre affiancare una diversa capacità organizzativa. Così si aumenterà efficienza, qualità, fatturato e produttività.
Occorreranno modelli organizzativi diversi perché l’avvento di robot o cobot spazzerà via la rigidità organizzativa finora conosciuta
In una società che cambia in continuazione e per la cui interpretazione serve una struttura personale forte, occorre avere attenzione anche alla crescita delle competenze soft insieme a quelle hard. Essere veloci, avere attitudine al sociale, senso di responsabilità, adattarsi al cambiamento: non saranno competenze marginali, anzi, faranno la differenza nel declinare il nuovo che avanza e che deve essere capito.
L’onda del nuovo non si cavalca ma si genera e occorre molta energia per farlo, soprattutto psichica. Solo così i robot saranno utilizzati e diventeranno supporto per i lavoratori, e non loro sostituti. Il convegno nazionale Aidp, che si è tenuto nel 2019 ad Assisi, aveva volutamente un titolo molto evocativo: “Intelligenza artificiale, intelligenze umane, quando il plurale fa la differenza”. Al di là delle parole, serve pensare che possiamo avere non competitors, ma strumenti che permetteranno alle persone di concentrarsi su quello che è più importante e strategico, avendo un supporto utile su lavori a minor valore aggiunto.
L’Aidp, in collaborazione con LabLaw ha elaborato per il secondo anno consecutivo il Rapporto su robot, intelligenza artificiale e lavoro in Italia a cura di Doxa. Abbiamo cercato di capire quanto di vero c’è nella realtà delle aziende italiane circa l’innovazione tecnologica e la robotizzazione, ma soprattutto quanto di vero c’è nelle paure di chi lavora e di chi il lavoro lo deve organizzare e prevedere per il successo delle imprese. I numeri e i risultati della nostra ricerca ci dicono che la consapevolezza c’è ed è un’opportunità da non perdere.
Il focus della ricerca 2019 è sul settore dei servizi, che abbiamo definito “Servizi 4.0” in una logica speculare rispetto al più noto Industria 4.0, e sulla percezione del processo di robotizzazione in atto da parte dei lavoratori anche in quanto cittadini.
Dalla nostra ricerca sui “Servizi 4.0” si scopre che i sentimenti positivi verso le nuove tecnologie prevalgono sulle preoccupazioni
Abbiamo approfondito il punto di vista sugli impatti delle nuove tecnologie, quindi, non solo sui processi aziendali e lavorativi, ma anche sulla vita di tutti i giorni. Dalle rivelazioni di entrambi gli ambiti, prevalgono i sentimenti positivi verso le nuove tecnologie mentre le preoccupazioni rispetto a ricadute negative sugli impatti in generale sono minoritarie.
Il sentimento positivo, inoltre, si conferma tra quelli che hanno maggiore confidenza e hanno già utilizzato sistemi di intelligenza artificiale e robot, oltre a una preparazione sulla materia, rispetto a chi invece ha meno frequentazione con le nuove tecnologie. Questo riscontro evidenzia la prevalenza di una generale visione positiva sull’evoluzione tecnologica in atto. Chi la conosce non ha pregiudizi o percezioni distorte e questo, in qualche modo, fa da antidoto alle varie letture apocalittiche che periodicamente vediamo sui media.
In altre parole, il processo di diffusione dell’intelligenza artificiale e della robotizzazione in atto nel nostro Paese prosegue inesorabile anche se a macchia di leopardo: abbiamo settori più coinvolti rispetto ad altri, ma allo stesso tempo possiamo affermare che quasi tutti gli ambiti delle organizzazioni aziendali, del lavoro e della società sono coinvolti. Un progresso però, inutile negarlo, che porta con sé opportunità ma anche rischi. Sarebbe da incoscienti, non considerare la complessità del processo e le diverse e molteplici ricadute.
Per cogliere le opportunità e governare le criticità della rivoluzione tecnologica in atto dovremmo puntare perlomeno, ma non solo, su due capisaldi su cui far leva: l’etica e le competenze.
Innanzitutto l’etica, perché va riaffermata una visione del progresso fondata sulla valorizzazione della centralità della persona umana e della sua correttezza. L’evoluzione materiale inarrestabile della storia dell’uomo deve necessariamente coincidere con la crescita immateriale e umana. Questa convinzione non deve mai venire meno, altrimenti il rischio di perdersi è sempre presente. Se il progresso comporta benefici e passi in avanti per l’umanità allora è vero progresso.
Il tema è puntare sullo sviluppo di programmi di occupabilità per le generazioni attuali fondati sulle nuove competenze tecnologiche dell’era digitale e su un nuovo modo di interpretare il lavoro.