Marcella Panucci: Legge di Bilancio, il bicchiere è mezzo pieno

Conversando con Marcella Panucci, dg di Confindustria, si capisce che il consenso degli industriali alla manovra 2017 è solido. È un sì convinto, che lavora affinché il passaggio parlamentare non faccia saltare il banco.

«Imprescindibile», per la direttrice di Viale dell’Astronomia, «che l’iter parlamentare, frutto della dialettica democratica, non alteri l’impianto del disegno di legge orientato alla crescita e al rilancio dell’economia».

Quindi, per favore, blindare il “pacchetto Industria 4.0”, il rifinanziamento della Legge Sabatini, il credito di imposta per la ricerca, gli ecobonus.  E soprattutto, «evitare di disperdere le risorse con interventi micro-settoriali o localistici».

Direttrice, l’Europa sta puntando il faro sulla nostra Legge di Bilancio. Quali sono gli argomenti più convincenti da far valere oggi a Bruxelles?

L’Europa talvolta pecca di rigidità. Fa riflettere che finora lo zelo sul rispetto delle regole non abbia toccato anche altri Paesi, come la Francia o la Spagna per quanto riguarda i conti, o la Bulgaria e l’Ungheria per quanto riguarda la gestione dell’emergenza immigrazione, o la Polonia e i Paesi Baltici per quanto riguarda le linee della politica estera.

Ricordo che l’Italia ha accettato le sanzioni alla Russia, che hanno un impatto importante sul nostro export, in nome della solidarietà europea. Il nostro Paese, contributore netto al Bilancio europeo (tutti gli anni versiamo 20 miliardi di euro all’Europa e ne otteniamo indietro 12), di fatto finanzia la crescita dei Paesi dell’Est; quegli stessi Paesi che sono bravi a prendere ma che poi alzano muri e minacciano veti.

Terremoto e immigrazione saranno sufficienti a farci ottenere il via libera europeo?

Il nostro Paese sta affrontando con grande responsabilità l’emergenza immigrazione. Proprio qualche settimana fa ne abbiamo discusso con i colleghi della Confindustria tedesca a Bolzano. Accanto a questo, i terremoti che hanno colpito il centro Italia richiedono interventi urgenti, capillari e duraturi, che hanno di fatto cambiato le previsioni di bilancio. Quello che fa male agli Stati membri, e che viene di conseguenza criticato, è l’incapacità dell’Europa di essere solidale. O, se lo è, di esserlo a geografie variabili.

Facciamo bene, dunque, ad alzare la voce per richiamare l’attenzione su un’urgenza reale. Al di là della minaccia di veto sul Bilancio europeo, occorre aprire un tavolo in Europa affinché passi il principio che ciascuno è chiamato a fare la propria parte. Noi lo stiamo facendo e vorremmo che questo fosse riconosciuto e che venissero richiamati quanti non lo stanno ancora facendo.

Determinante per Confindustria è il piano di investimenti per Industria 4.0 che parte con questa Legge di Bilancio. Cosa serve per attuarlo in tempi rapidi?

Industria 4.0 può essere definito un “progetto paese”, che coinvolge trasversalmente tutti i comparti industriali e la società nel suo complesso con l’obiettivo di innalzare il potenziale innovativo di tutto il sistema produttivo.

E’ importante per l’Italia agganciare questo nuovo driver di crescita per spostare tutto il sistema verso frontiere tecnologiche più avanzate e innovative. Imprenditori e manager hanno un ruolo fondamentale: è da loro che può e deve partire la spinta a innovare.

L’invito che rivolgo a imprenditori e manager è di non tirarsi indietro, di utilizzare gli strumenti previsti nel Piano nazionale e gli incentivi messi in campo con la Legge di Bilancio 2017 e di confrontarsi con i centri di eccellenza già presenti sul nostro territorio per strutturare progetti, testare le tecnologie e mettere a fuoco la strategia per portare Industria 4.0 nell’impresa.

Per innovare servono le competenze consolidate ma anche le nuove leve. Lei è d’accordo con chi critica questa manovra per essere così poco rivolta alle giovani generazioni?

Voglio guardare il bicchiere mezzo pieno e leggere questa manovra come un provvedimento anche a favore dei giovani. L’Italia riuscirà ad assicurare loro un futuro, non con redistribuzioni di risorse, ma riportando l’economia su un sentiero stabile e sufficiente di crescita del prodotto, del reddito e dell’occupazione.

Sull’altro fronte, quello delle pensioni, invece si spende tanto. Qual è il giudizio degli industriali sulla cosiddetta APE?

Lato impresa, l’anticipo pensionistico presenta criticità perché, non essendo richiesta la cessazione del rapporto di lavoro, non dà flessibilità in uscita. Invece la R.I.T.A., che è strettamente connessa all’anticipo, è un positivo elemento di flessibilizzazione della previdenza complementare.

Il limite è che in Italia la previdenza integrativa è ancora giovane e dei dipendenti delle imprese associate a Confindustria, appena un terzo circa è iscritto a un Fondo pensione integrativo, e di questi solo una minoranza ha già accumulato un montante significativo. Va anche ricordato che, rispetto alla complessiva gestione degli esuberi delle imprese, il raggio di azione di questi due strumenti è molto più ridotto della indennità di mobilità che cesserà – per effetto della riforma Fornero – il 31 dicembre prossimo.

La previdenza complementare, la sanità integrativa e la formazione manageriale sono pilastri su cui avete costruito un sistema contrattuale di tutele condiviso con Federmanager. Il vostro modello può essere d’esempio per politiche generali più stabili?

Il successo del nostro modello dipende dal fatto che le prestazioni, essendo concordate tra le parti direttamente interessate, rispecchiano al meglio i bisogni dei fruitori. Nel caso delle prestazioni di tipo previdenziale, i nostri fondi sono a contribuzione definita, cioè il livello delle erogazioni è strettamente dipendente dal rendimento dei contributi accumulati per ciascun iscritto, mentre per altri fondi, ad esempio molti di quelli sanitari, il meccanismo di erogazione è a ripartizione, collegato all’ammontare dei contributi versati anno per anno. Questo garantisce solidità finanziaria e sicurezza per entrambe le parti.

Come Parte sociale, sentite l’esigenza di reinterpretare il ruolo della contrattazione collettiva?

Confindustria da tempo è convinta che per rendere le imprese italiane più competitive e capaci di adattarsi al mutare del contesto economico sia opportuno innovare gli assetti della contrattazione collettiva, migliorare la gestione delle risorse umane, investire nel capitale umano.

Tutto questo richiede la costruzione di relazioni industriali cooperative, cioè rapporti tra soggetti consapevoli, che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale e che lavorano, nell’interesse di tutti, a superare il gap di produttività e di competitività. In questo quadro il contratto nazionale può continuare ad essere il riferimento per le tutele fondamentali del lavoro, mentre i contratti aziendali devono tendere a essere sempre più il luogo dello scambio virtuoso tra salario e produttività.

A proposito di tutele, da donna e da manager, ritiene utile che la manovra si occupi anche di “bonus bebè” e di congedi parentali?

Credo che siano misure di grande sostegno alle donne che vogliono mantenere un buon equilibrio tra vita privata e lavoro. La mia esperienza personale, ma anche quella di diverse colleghe, insegna che le donne possono avere il loro posto nelle Organizzazioni. In Italia, il numero di donne ai vertici delle aziende sta progressivamente crescendo.

Nel 2010 la loro presenza nei Consigli di Amministrazione era solo al 5%, contro il 12% di Francia, il 26% di Svezia. Nel 2016 siamo saliti al 30% di presenze. Oggi Confindustria ha un management rappresentato quasi al 50% da donne! Il mio è un messaggio di profonda fiducia e incentivo alla donne a fare e a voler fare sempre di più.

Dina Galano, giornalista, Vice direttore Progetto Manager