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L’Italia riparte dal lavoro

Estratto dalla relazione del Presidente alla Assemblea nazionale Federmanager – Roma, 25 maggio 2018

Politici, sindacalisti, imprenditori e noi manager sosteniamo, con sicurezza, che questo è il tempo del fare, anzi dovremmo dire del “fare presto”.

Per questo motivo, nella mia relazione dell’Assemblea annuale 2018, ho voluto porre in primo piano il tema del lavoro, di fronte alle numerose sfide che dobbiamo affrontare, anche in termini di rappresentanza.

Prima considerazione: l’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone. Se vogliamo fare i conti demografici, dobbiamo innanzitutto rilanciare la natalità, iniziando a sostenere il lavoro delle donne e riorganizzare il modello economico, tenendo conto anche dell’espansione della silver economy. Se vogliamo essere parte attiva nella competizione globale, dobbiamo occuparci dell’inserimento, nel mondo produttivo, di lavoratori con cronicità e riuscire ad attrarre immigrazione qualificata.

Inoltre, le nostre imprese devono saper rispondere velocemente alle sfide di Industry 4.0, promuovendo anche un piano di alfabetizzazione digitale su larga scala, che abbia un effetto diretto sulla componente più anziana dei lavoratori.

I temi del lavoro oggi sono strettamente connessi anche con i processi di innovazione: stiamo vivendo la quarta rivoluzione industriale e il digitale, che ha investito produzioni e prodotti, costituisce il vettore di accelerazione del cambiamento, anche in termini di aumento di posti di lavoro. La struttura della produzione che così si configura è molto più selettiva, interconnessa, virtuale. La vecchia immagine del distretto industriale è sostituita dall’intreccio di reti che ha fulcro nei territori.

Il recupero della dimensione territoriale, quindi, può rappresentare una grande occasione per il nostro Paese. Lo sta dimostrando la catena di valore che il Made in Italy sta producendo e che traina l’export. In questo contesto, il management svolge un ruolo di collante per agevolare la messa a sistema dell’innovazione e il nostro impegno consiste nel promuovere questa best practice, che ha un impatto positivo anche in termini di occupabilità.

L’incremento dell’occupazione che stiamo registrando deriva essenzialmente dalla partecipazione femminile al mercato del lavoro e dalla permanenza dei lavoratori over 50. Non certo dal coinvolgimento dei giovani però, che sono i più penalizzati e tagliati fuori dal mercato.

Manca un piano di Lavoro 4.0 su cui siamo pesantemente in ritardo.

Il mismatch tra domanda e offerta di competenze si sta aggravando con il paradosso che le imprese che stanno tentando il salto di innovazione, non trovano le figure adatte ad accompagnarlo. Infatti, siamo sotto la media Ue per diffusione di competenze digitali e il 35% dei lavoratori è impiegato in un settore non correlato con i propri studi.

Nel frattempo, noi continuiamo a lavorare. Per sostenere l’occupabilità della categoria e la competitività delle imprese italiane Federmanager, grazie al supporto dei propri fondi e delle risorse della bilateralità, in due anni è pronta a immettere sul mercato 300 manager certificati nelle competenze fondamentali per le aziende che intendono agganciare la ripresa: manager dell’innovazione, manager specializzati nell’export, manager di rete e figure esperte in temporary management.

Dopo aver parlato di innovazione e competenze, le considerazioni ci spingono sulla questione dell’industria italiana. Siamo il 2° Paese in Europa e il 4° nel mondo per valore aggiunto prodotto dall’industria manifatturiera e, per 8 settori su 14, l’Italia è prima in competitività. Nonostante questo dato, il trend occupazionale mostra che il differenziale positivo nell’incremento di posti di lavoro, che abbiamo registrato negli ultimi dieci anni, è concentrato per lo più nei servizi. Il che significa che abbiamo perso 900 mila lavoratori nell’industria e un milione circa di operai e artigiani.

I nostri dati dimostrano che il numero di imprese industriali diminuisce e che a chiudere sono le imprese che non hanno managerialità. L’innovazione ha bisogno di coordinamento, interconnessione e competenze manageriali nuove.

In merito alla formazione, bisogna investire nell’istruzione, nella formazione continua e nell’aggiornamento professionale. Dobbiamo riprogettare il sistema della formazione superiore, sanando il gap che penalizza ITS e i corsi di studi in materie STEM e incoraggiare gli studenti universitari a iscriversi a facoltà che garantiscano loro un futuro.

Va incentivato l’imprenditore a considerare la formazione interna come uno dei pilastri della competitività d’impresa, a seguire programmi di aggiornamento professionale e a farsi promotore di una cultura dell’innovazione nei riguardi della collettività degli altri lavoratori.

La nostra bilateralità sta già lavorando per intercettare le attese dei prossimi anni, partendo dall’analisi dei fabbisogni industriali e promuovendo i fondi interprofessionali e le politiche attive preventive, in grado di intervenire in anticipo rispetto all’eventuale interruzione di un rapporto di lavoro. Il governo ha inserito, nel proprio programma, sistemi come il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza per abbattere le disuguaglianze, ma questo modello può essere vincente solo se viene introdotto all’interno di politiche volte a creare lavoro.

E’ piuttosto evidente che la dimensione del lavoro oggi è cambiata: è sicuramente più complessa, discontinua, globalizzata. Ma una cosa è certa: stiamo disegnando una nuova mappa geopolitica, in cui viene ridefinita la geografia produttiva e in cui conterà molto tenere vivo il sogno europeo.

La competizione globale oggi non si gioca più tra singole imprese o tra singoli stati, ma tra territori interconnessi. La nuova Via della Seta è uno dei progetti che risponde meglio a questa esigenza ed è fondamentale che il nostro Paese l’agganci, per guadagnarsi la posizione di centralità dei traffici che merita.

Dobbiamo quindi realizzare le infrastrutture, conditio sine qua non per collegare le periferie ai centri e il nostro Paese con il resto del mondo. Anche lo sviluppo dell’economia circolare e delle smart cities inciderà positivamente sul mercato del lavoro, sulla qualità di vita e sull’economia.

Riprendendo la tesi demografica con cui ho avviato il discorso, dobbiamo condividere l’esigenza di continuare a promuovere gli strumenti di welfare nelle aziende, in perfetta sinergia con quelli pubblici, e diffonderli in maniera capillare attraverso forme di incentivazione economica e normativa.

Alle Parti Sociali è affidata la responsabilità di divulgare un nuovo modello di contrattazione nazionale e aziendale. Guardando ai risultati, possiamo sicuramente dirci soddisfatti, in tema di welfare, per quanto è già stato fatto: in Italia infatti è cresciuto il numero di imprese che hanno adottato piani di sanità integrativa e di assistenza socio-sanitaria per i dipendenti.

Inoltre, i nostri Fondi pensione stanno orientando parte dell’investimento in economia reale, dimostrando di voler intraprendere, senza rischi per gli iscritti, una strada di interventi a vantaggio del sistema Paese.

Nella prospettiva di una dimensione nuova di fare industria, che abbiamo condiviso in seno all’Assemblea, dobbiamo immaginare che la rappresentanza abbia un ruolo sempre più attivo nella creazione di network di innovazione, nel favorire l’incontro tra domanda e offerta di competenze qualificate e nel sostenere l’occupazione.

Relazione del Presidente federale, Stefano Cuzzilla