«Ho letto che i musicisti non vanno in pensione, smettono quando non hanno più musica dentro. Beh, io ho ancora musica in me e su questo non ho alcun dubbio». Robert De Niro pronuncia questa frase in “Uno stagista inaspettato”, film del 2015 dove veste i panni del settantenne Ben Whittaker che, stufo della pensione, decide di tornare al lavoro, rispondendo ad un annuncio per stagisti in una casa di moda online. La pellicola di Nancy Mejers è la storia di un conflitto generazionale sul lavoro, risolto dalla passione e dalla voglia di mettersi in gioco del protagonista. Una vicenda certamente romanzata, ma che ben racconta il disagio di molti lavoratori over 55 che, secondo Eurostat, rappresentano il 58,7% della forza lavoro europea. Un numero in costante crescita, visto che nel 2004 ammontava al 38,4%.
«Oggi gestire le differenze di età sul lavoro è un aspetto fondamentale», sottolinea a Progetto Manager Maria Luisa Aversa, ricercatrice Inapp (Istituto nazionale analisi politiche pubbliche). «Fattori demografici, barriere all’ingresso per i giovani, interventi di modifica dei sistemi pensionistici hanno prodotto un innalzamento dell’età media nelle aziende. In Italia, secondo l’Istat, gli over 50 sono il doppio rispetto ai giovani tra i 15-24 anni (8 milioni contro 4 milioni). A ciò si aggiungono gli effetti della digitalizzazione in atto, che minaccia il capitale umano a rischio di una pericolosa obsolescenza delle competenze».
In Europa la rilevanza del fenomeno era già nota nel 2006, anno in cui la Commissione ha promosso il cosiddetto Rapporto Warwick, che invitava i paesi interessati da rilevanti cambiamenti demografici a varare politiche d’inclusione dei lavoratori senior. Il loro numero è infatti crescente, ma il loro grado di soddisfazione no.
Secondo uno studio condotto da Valore D e dall’università Cattolica di Milano, in Italia un lavoratore over 50 su due (il 45,7%) si dichiara “in difficoltà”, per il fatto di sentirsi emarginato sul posto di lavoro.
Secondo i dati Eurostat, gli over 55 rappresentano il 58,7% della forza lavoro europea. Un numero in costante crescita, visto che nel 2004 era pari al 38,4%
L’Unione europea, dalla Strategia di Lisbona del 2000, alla Strategia europea 2020, sino all’Agenda europea 2030 per lo sviluppo sostenibile, ha posto tra i suoi target proprio gli obiettivi di inclusione lavorativa della popolazione anziana, tanto da proclamare il 2012 come l’“Anno europeo per l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni”.
I programmi degli altri paesi europei
La crescente sensibilità europea ha convinto gli stati membri a promuovere politiche dedicate proprio all’Age management. Tra le nazioni modello c’è la Francia, che nel 2006 ha varato il Piano d’azione nazionale per l’occupazione dei senior, con l’obbligo per le grandi imprese di aumentare il numero dei lavoratori senior e il loro grado di soddisfazione. Parigi ha inoltre adottato nel 2013 il Contrat de génération, per contrastare le discriminazioni nel mercato del lavoro dovute all’età. Una norma del 2016 punta, poi, sulla formazione, riconoscendo 24 ore di training per ogni anno di lavoro.
La Germania ha lanciato da anni la cosiddetta Perspektive 50plus. L’obiettivo è quello di migliorare l’occupazione dei senza lavoro over 50. Diverse iniziative sono state promosse anche nel Regno Unito, per migliorare i servizi per la popolazione anziana (Ageing well), per incentivare le imprese ad assumere e mantenere lavoratori senior (Age positive) e per promuovere l’uso delle tecnologie digitali presso la popolazione anziana (Get involved).
Grafico 1. Lavoratori senior (% della popolazione tra i 55 e i 64 anni)
Fonte: Eurostat
Particolarmente efficienti nel campo dell’inclusione attiva dei lavoratori senior sono i paesi scandinavi. In Finlandia è stato varato il Job life cycle model, per migliorare il lavoro e l’ambiente di lavoro, incentivando la produttività e il benessere di tutti i lavoratori di ogni età. La Svezia, grazie ai suoi programmi di inclusione sociale, è in testa ai principali indici del campo: l’Active ageing index (Aai) dell’Unece (la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni unite) che misura l’attività e l’indipendenza delle persone anziane e l’indice Work ability index (Wai), ideato dal sociologo finlandese Juhani Ilmarinen, che stima la capacità di un lavoratore di “svolgere i propri compiti rispetto alle richieste della propria mansione e alle proprie risorse mentali e fisiche”.
Invece, in Italia
In entrambi gli indici sopracitati l’Italia non raggiunge la media Ue. Secondo un Rapporto del nostro ministero del Lavoro del 2017, infatti, il tema dell’invecchiamento attivo in Italia è stato affrontato principalmente a livello locale. «Si segnalano – si legge nel report – il Friuli Venezia Giulia e l’Umbria come promotrici di interventi coordinati negli ambiti di protezione e promozione sociale (…) anche grazie alla collaborazione con le forze del Terzo settore».
Nel 2015 un report dell’Inapp ha fatto luce sulla diffusione delle politiche di Age management nelle aziende italiane. Ne è emerso che le esperienze più consolidate e innovative sono state sviluppate da organizzazioni del nord, operanti nel settore dei servizi, di media – grande dimensione, ispirate a criteri di responsabilità sociale, con livelli di internazionalizzazione elevati.
Secondo i dati del censimento Istat del 2011, tuttavia, i lavoratori ultracinquantenni si concentrano maggiormente nelle imprese sotto i 10 dipendenti (53,9%) e il loro numero cala al crescere della dimensione aziendale. «Nelle Pmi – sottolinea Maria Luisa Aversa – si organizzano programmi spot che mancano spesso di organicità e framework coerenti. Eppure sono diversi i provvedimenti che le Pmi potrebbero adottare a costi contenuti: piani di elasticità degli orari e dei tempi di lavoro, formazione di gruppi di lavoro misti giovani – anziani, oppure di rotazione delle mansioni». Per l’Italia la strada dunque è lunga, ma ricca di prospettive. Nelle nostre imprese c’è un vero e proprio tesoro troppo spesso nascosto: quello dei lavoratori non più giovani da valorizzare. Tanti di loro, come diceva il settantenne Ben interpretato da De Niro, hanno ancora troppa musica dentro e tanto ancora da offrire.