Attivo sul fronte istituzionale, preso dall’esecuzione dei protocolli che stanno consentendo alle fabbriche di riaprire i battenti, Maurizio Casasco, presidente di Confapi, ha un’agenda di appuntamenti senza tregua. La posta in gioco per le Pmi italiane è alta. L’allineamento salute-lavoro, afferma, è indispensabile.
Maurizio Casasco, presidente Confapi
Presidente, come valuta il grado di coinvolgimento delle parti sociali da parte del Governo nell’impostazione della cosiddetta “fase 2”?
Siamo stati coinvolti soprattutto nelle elaborazioni dei protocolli di sicurezza: lunghe maratone notturne e diuturne per trovare sintesi. Non sempre quello che volevamo, ma nel caso della “fase 2”, noi di Confapi avevamo l’obiettivo primario di tornare a lavorare, di rimettere in moto energie produttive garantendo sicurezza per tutti. L’allineamento salute-lavoro è alla base della ripresa anche della fiducia, indispensabile per far ripartire il Paese. In questo senso va dato atto al premier Conte, ai ministri Catalfo e Patuanelli, alle organizzazioni sindacali di aver lavorato insieme per obiettivi comuni. Se ci riferiamo agli altri provvedimenti di sostegno alle imprese, ecco in quel caso abbiamo evidenziato le molte ombre…
Coinvolgere, però, è diverso da assumere decisioni. Si sente adeguatamente ascoltato?
L’accordo sulla sicurezza sui luoghi di lavoro è un buon compromesso, così come alcune cose fatte dal Governo in questa fase. Come rappresentanti di quella piccola e media industria privata che è il cuore del nostro sistema industriale, però non possiamo dire di aver ottenuto quello che chiedevamo, anzi. Rimane un grossissimo problema di liquidità, troppa burocrazia e il rischio di perdere competitività e quote di mercato, soprattutto all’estero. Aspettiamo di vedere se alcune nostre sagge proposte che abbiamo presentato in tutte le interlocuzioni istituzionali potranno essere accolte nei prossimi passi normativi.
Che ruolo hanno, o dovrebbero avere, gli organismi di rappresentanza per gestire la “fase 2”?
Possiamo aiutare i decisori a semplificare, a compiere scelte chiare in modo più veloce. È necessario dare risposte urgenti. La crisi dopo l’emergenza sanitaria rischia di fare più vittime del virus. Il dialogo con il Governo fino a questo momento si può dire che ha funzionato, abbiamo tenuto i canali sempre aperti anche nei giorni più difficili, elaborando temi e proposte in un interesse non solo di parte. Ora le nostre industrie, i nostri imprenditori ci chiedono di raccogliere i frutti di questo dialogo.
La crisi dopo l’emergenza sanitaria rischia di fare più vittime del virus
Non molto tempo fa abitavamo un contesto in cui i cosiddetti “corpi intermedi” erano delegittimati, privati del loro ruolo di traduzione e sintesi delle istanze della base. L’attuale emergenza ha fatto ricredere i detrattori?
Beh, la realtà ha dimostrato che dei corpi intermedi non si può certo far a meno! Ora hanno un compito ancora più alto: lavorare per liberarci dalla logica politica della mera sussistenza, per adottare quella dell’aumento della competenza e dell’efficienza, anche in termini di classi dirigenti, superando lacci e superfetazioni burocratiche. Io spero che questa emergenza ci aiuti a compiere una volta per tutte un salto culturale. Lo sforzo dei corpi intermedi deve essere quello di stilare una vera e propria agenda di riferimento del tessuto produttivo. Questa terribile crisi deve diventare l’occasione per proporre le nostre ricette per far ripartire l’Italia, individuare e implementare nuovi modelli di riferimento in ogni settore, favorire crescita e lavoro in una nuova prospettiva.
Le piace il “metodo” task force?
Penso che il Paese non abbia bisogno di tante commissioni o comitati. In questa fase servono decisioni rapide e immediate e una catena corta di comando, senza nulla togliere al supporto di scienziati esperti e tecnici.
Lei è tra coloro che spingono per la riapertura il prima possibile. Ha anche affermato che le imprese pagherebbero volentieri i test ai propri dipendenti. Le Pmi sono nella condizione di ripartire già oggi in sicurezza?
Sulla base dei protocolli, alla cui stesura abbiamo attivamente partecipato, spesso implementati a livello territoriale e di categoria, direi proprio di sì. A maggior ragione se verranno adottati test rapidi, i cosiddetti “pungi-dito”. Tutti i nostri imprenditori, per l’origine e la natura stessa delle loro industrie, hanno un rapporto stretto con le loro collaboratrici e collaboratori e non possono non avere a cuore la loro salute e sicurezza. E poi non dimentichiamo che essi stessi, ogni giorno, lavorano all’interno della loro impresa. La disponibilità dei sistemi di protezione personale, l’adozione di turni, la messa a punto dei sistemi di trasporto sono condizioni essenziali, per le quali ovviamente occorrerà sostegno e partecipazione delle istituzioni, anche di quelle locali. Il luogo di lavoro deve diventare il luogo più sicuro, questo è il fermo proposito di Confapi.
Siamo alle porte del Primo Maggio e le stime sull’occupazione sono fosche. Cosa garantirebbe davvero la tenuta occupazionale?
Per semplificare dico finanziamenti a fondo perduto. In realtà questi sarebbero investimenti sulle imprese, pronti a ritornare a breve nelle casse dello Stato sotto forma di tasse. Prima si fa questo investimento, minore sarà la sua entità. Più si aspetta, più soldi servono. In Germania e negli Usa lo stanno facendo. E poi bisogna assolutamente eliminare un po’ di burocrazia, ce n’è troppa anche in questa fase di emergenza in cui la velocità di risposta è decisiva.
Guardando al futuro meno prossimo, ritiene che ci sarà un ritorno alla contrattazione collettiva?
Da più di settanta anni abbiamo un dialogo costante con le organizzazioni sindacali, rafforzato e sempre molto franco e diretto in questi ultimi anni. Ora più che mai bisogna lavorare per il sistema della contrattazione collettiva e adeguarlo alle nuove realtà economiche e sociali. Dobbiamo lavorare per varare politiche per la salvaguardia e lo sviluppo del lavoro, che è la leva essenziale per la rinascita anche culturale del nostro Paese.
Lavoriamo per adeguare il sistema della contrattazione collettiva alle nuove realtà economiche e sociali