Una lunga carriera in grandi aziende che si è conclusa con l’incarico di Vice Presidente Europa di IBM, che ha guidato per oltre 10 anni. Isabella Chiodi ha iniziato il suo percorso con la laurea in fisica nucleare, per poi dedicarsi all’ambito tecnico dell’Information Technology, passando per quello commerciale, fino ad approdare ai vertici IBM.
Dott.ssa Chiodi, in un mondo del lavoro in continua evoluzione, quanto è importante essere flessibili e pronti ad adattarsi alle esigenze del mercato?
Il cambiamento o lo cavalchi o ti schiaccia. Le competenze hanno un ciclo di vita che si è ridotto drasticamente, imponendo di investire continuamente in conoscenza per stare alla pari e riuscire a generare valore. Il “continuous learning” è un imperativo per qualunque mestiere, mentre il prezzo più alto di questo cambiamento lo pagheranno le classi sociali meno istruite e preparate.
Personalmente, sono una persona facile alla noia, che “consuma” in fretta le esperienze, e trovo incredibilmente eccitante, anche se impegnativo, il periodo che stiamo vivendo sia per l’intensità del cambiamento che per il respiro dello stesso: sfide tecniche, etiche, legislative.
Oggi nelle aziende si parla molto di valorizzazione della diversità di genere. Come top manager del colosso IBM, qual è secondo lei il valore aggiunto che caratterizza la leadership femminile?
Credo che le soft-skills siano un indispensabile mezzo per veicolare efficacemente i vari background professionali: dalla capacità di lavoro di squadra al dialogo con figure professionali diverse, all’insegnamento e al trasferimento di competenze; aggiungo la creatività, che aiuta a guardare con occhi nuovi i fenomeni di tutti i giorni.
Un esempio del valore aggiunto delle donne in azienda, con cui mi sono confrontata diverse volte, riguarda il pragmatismo della donna manager nel distribuire incarichi: non si limita a dare indicazioni su quello che i collaboratori devono fare, si preoccupa di verificare da subito se hanno compreso correttamente, per evitare ricicli. Può sembrare banale, ma questo comportamento elimina moltissime inefficienze.
Nell’ambito della ricerca che Federmanager ha promosso, è emerso tra l’altro che le donne manager italiane dedicano al lavoro molte più ore delle pari grado tedesche o statunitensi, sottraendole agli impegni familiari. Lei quante ore al giorno dedicava al lavoro? È d’accordo nel sostenere che l’organizzazione del tempo lavorativo sia il vero nodo da sciogliere?
Le donne si fanno coinvolgere moltissimo, mediamente molto più dei colleghi maschi, e questo rappresenta sia un merito che un demerito. Molti periodi di lavoro nella mia esperienza sono stati totalizzanti, molte vacanze sono state invase da e-mail, telefonate e conference calls, con significativo disappunto di chi mi stava vicino. In questo c’è da imparare dai colleghi maschi.
Altra cosa invece è l’attenzione dell’azienda a facilitare la conciliazione tra esigenze lavorative e famigliari: pur se supportate dalla tecnologia che consente di essere “always on” per il lavoro remoto, purtroppo sono ancora poche le aziende in grado di gestire “by objective”, continuando a confidare nella presenza in ufficio per garantire i risultati. Infine, sconfinando nell’ovvio, continuano ad essere inadeguati in Italia, sia per copertura che per qualità, i servizi alla famiglia.
Paesi come la Francia o la Germania hanno investito significativamente da anni in questo settore, consentendo ai genitori di lasciare i figli ben accuditi in scuole ed asili che hanno gli orari allineati ai tempi del lavoro. Di certo, una donna senza l’ansia di dover gestire quotidianamente lavoro e famiglia guarda con molta più serenità alla sua crescita professionale ed alla sua affermazione sul lavoro anche se questo, pur essendo il principale nodo da sciogliere, non è l’unico. L’autostima continua ad avere bisogno di iniezioni di fiducia in se stesse.
Lei è anche Presidente dell’Associazione Aidda Veneto e Trentino Alto Adige, che riunisce oltre mille donne dirigenti sul territorio nazionale. Quali sono i vostri obiettivi? Esiste (o dovrebbe esistere) un coordinamento tra tantissime associazioni che si occupano di gender gap?
AIDDA è l’affiliata italiana di FCEM, associazione mondiale di donne imprenditrici e managers, che ha come obiettivo principale quello di intraprendere azioni e progetti atti a facilitare l’emancipazione della donna che lavora, sia in ambito economico che istituzionale.
Conoscersi, condividere le buone pratiche aziendali ma anche gli errori, incontrare socie di altri paesi rappresentano esperienze molto utili a questo proposito. La rete delle socie infine è naturalmente anche un buon terreno per il B2B. Il coordinamento tra associazioni rende molto più efficaci le azioni che si portano avanti, grazie alla massa critica delle sostenitrici.
Tuttavia in tale contesto abbiamo luci ed ombre. Siamo consapevoli di essere nell’era delle “communities”, che si creano spontaneamente e dinamicamente in rete tra persone che condividono gli stessi interessi sparse per il globo. Le formule associative che abbiamo ereditato dal passato non hanno alternative al ripensarsi e adeguarsi ad un mondo in cambiamento frenetico, se vorranno continuare a dare valore agli associati.
* giornalista