Impresa Giubilare

L’Anno santo come proposito di rinnovamento e di cammino verso un nuovo modello di leadership. L’intervento di Padre Stefano Del Bove della Pontificia Università Gregoriana

Per secoli, il pellegrinaggio a Roma era considerato l’impresa di una vita: il rischio di un viaggio senza ritorno, il raggiungere una meta lontana attraverso un percorso esigente: dare alla propria esistenza la possibilità di un’esperienza unica[1]. Con l’invenzione del Giubileo tutto questo è divenuto ancora più evidente e desiderabile, segnato da scadenze temporali formali, dotato di una grande valenza simbolica e rituale che sono quindi cresciute nel tempo[2].

Rischiare, mettere in conto obiettivi esigenti, dare originalità ed unicità al frutto del proprio impegno sono temi sono ben noti ai lettori di questo articolo che gestiscono, governano, danno indirizzo, controllano di istituzioni, aziende, società, associazioni che magari hanno addirittura contribuito a fondare o delle quali intendono garantire la transizione al futuro. In ambito socioeconomico, l’uso della parola impresa è ovviamente specifico e più limitato[3], ma può trarre ispirazione proprio da quell’altro utilizzo, più ampio e di natura spirituale, che definiamo impresa di vita, impresa giubilare.

Vorrei quindi svolgere una breve riflessione a partire da questa analogia ed offrire la possibilità di vivere il Giubileo come un anno di cambiamento o addirittura di svolta, di autentico rinnovamento interiore ed esteriore, di conversione individuale e comunitaria[4].

Per molti si tratta semplicemente (e purtroppo) solo di arricchire il calendario privato o aziendale di un evento d’eccezione nell’arco della vita di un individuo, da non perdere, ma che facilmente viene ridotto a puro folklore religioso, a partecipazione marginale a quel grande fenomeno socioculturale che va sotto il nome di turismo religioso.

A contrastare questa eventualità, vorrei dare alcune indicazioni utili a rinnovare la propria identità profonda e a migliorare una diffusa consapevolezza di come le diverse figure professionali (dai primi livelli di lavoro, ai quadri, alle figure apicali) si possano ispirare (o possano recuperare) a un livello di vita più elevato del semplice, immediato e illusorio commercio materiale e dalle strettoie della complicità[5] lavorativa, che tolgono il respiro, che restringono l’orizzonte di troppi anni di lavoro della propria carriera.

È necessario un attento e circostanziato esercizio dello spirito critico che prenda le giuste distanze dalla semplice attenzione mediatica sul Giubileo; così pure un distacco da tutto quello che nella società dei consumi tende a trasformare l’esperienza di fede in un rito religioso triste[6]. Per fare questo è opportuno prendere posizione verso il tratto secolare, calcolatore e tecnico che segna il nostro sguardo.

Propongo alcuni passaggi e tre filoni concreti di azione per vivere da imprenditori e manager questo Giubileo.

Consapevoli della genesi storica del Giubileo

Il Giubileo cristiano, nell’accezione propria e corrente del termine, ha una data di nascita: l’intuizione di Bonifacio VIII nell’ anno 1300[7] di dare forma ad una devozione antica presente nel passaggio di secolo con un clamore e un desiderio di ottenere il perdono dei peccati e la remissione della pena temporale per i peccati rimessi legata alle indulgenze.

Il Giubileo si richiama alla memoria del cosiddetto perdono dei cent’anni, recepito dal Pontefice nella scadenza data al Giubileo stesso, che fu progressivamente rivista con Clemente VI (1291-1352) e ridotta a ogni cinquanta anni; quindi, sotto Sisto IV (1414-1484) l’intervallo fu portato a venticinque anni. Da notare che il giubileo del 1875 fu celebrato senza particolare solennità per le correnti condizioni politiche conseguenti alla presa di Porta Pia (1870).

Passando agli ultimi Giubilei, probabilmente vivi nella memoria di molti lettori, è d’obbligo citare quello celebrato da Paolo VI (1975) nel quale ebbe per la prima volta un ruolo rilevante la diffusione delle immagini a mezzo della televisione; quelli celebrati da Giovanni Paolo II, ovvero il Giubileo straordinario del 1983 e quello del passaggio del millennio nell’anno 2000; infine, papa  Francesco ha celebrato il Giubileo straordinario della misericordia nell’anno 2015 portando novità anche in questo ambito della vita ecclesiale[8].

L’anno giubilare come anno di grazia nella tradizione biblica

Il Giubileo, in termini di fondazione biblica, trova nel Nuovo Testamento alcuni temi forti che declinano questo tempo di grazia, già ampiamente attestato dall’Antica Alleanza: sono sottolineati il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio, la speranza.

Il retroterra originario e fondativo dell’Anno santo e dell’anno giubilare può essere utilmente esplorato nella tradizione biblica veterotestamentaria e mette con forza in rilievo i temi del riposo della terra, della liberazione degli schiavi e della remissione dei debiti[9].

Tutto questo si scontra oggi con nuove forme di schiavitù e restrizioni della libertà ampiamente accettate, lo sfruttamento smisurato delle risorse del pianeta, il debito eccessivo di molti Paesi e sul versante dei temi sollevati dalla logica evangelica il rischio di vivere una percezione dell’esistenza deformata dallo smarrimento del senso del peccato, dalla secolarizzazione della virtù teologale della speranza e dall’incomprensione del tema complesso e storicamente connotato delle indulgenze.

La bolla di indizione

Il Giubileo che siamo invitati a celebrare è indetto dalla bolla Spes non confundit (2024) lettura rincuorante e quasi d’obbligo: di grande diffusione[10], firmata il 9 maggio del 2024 (festa dell’Ascensione), annunciata senza la solennità paraliturgica con cui la sua pubblicazione avveniva in passato[11],  articolata in soli venticinque paragrafi ed incentrata sulla manifestazione della misericordia. Ne riporto un passaggio del suo inizio, proprio dal primo paragrafo, che possa dare ispirazione e avvio al percorso giubilare di ciascuno: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio ed attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé”.

E la speranza per il domani è legata alla misericordia, come sottolinea un autore contemporaneo: “Celebrare l’anno giubilare è dunque accogliere un tempo forte, oserei dire un tempo di esercizio spirituale, nel senso che ci impegniamo con più intensità e tutti insieme ecclesialmente ad accogliere la misericordia del Signore”[12].

 

 

TRE IMPEGNI CONCRETI E DI IMMEDIATA REALIZZAZIONE

Rinnovare i ritmi e i rapporti e obiettivi di lavoro: uno sguardo nuovo sull’impresa

Il Giubileo è occasione per recuperare un esercizio autentico della leadership[13] al quale è comune si abdichi quando nella vita, attraverso cariche e responsabilità sempre maggiori, aumenta il livello di negoziazione con il potere (anche nel suo lato oscuro), il compromesso, la dissimulazione.

Proprio il potere che perde misura[14] e che così che finisce di impossessarsi di chi lo detiene, si trasforma in bisogno, a volte ossessivo, di lasciare la propria traccia nella realtà, di incidere, di contare, fino ad assumere la forma dell’esigenza di controllare gli altri, di manipolarli, di renderli soggetti a sé; ne conseguono comportamenti istituzionali aggressivi, una prassi distruttiva della competizione, complicità con chi vive un’analoga sete di affermazione.

In ambito socioeconomico, l’uso della parola impresa può trarre ispirazione dall’utilizzo, più ampio e spirituale, di impresa di vita, impresa giubilare

 

Il Giubileo è il tempo opportuno per liberarsi da queste strettoie, per liberare il talento dei nostri collaboratori, per recuperare una contrattazione lavorativa libera da ideologia e violenza.

La riflessione portata avanti alla Pontifica Università Gregoriana può offrire un triplice aiuto, che agisca come una sorta di efficace antidoto a questa “malattia” dell’istituzione e di chi si trova (o in termini cristiani “è chiamato”) a dirigerla:

  1. interpretare una leadership che faccia emergere e liberi il potenziale dei nostri collaboratori, mettendo sul loro sviluppo la maggior attenzione e impegno del nostro lavoro; si tratta di vivere il potere di indirizzo istituzionale (di guidare e quindi in parte di gestire) lasciandosi consumare;
  2. integrare il modello di leadership gesuita articolata da Chris Lowney[15] su quattro pilastri (consapevolezza di sé, creatività, amore ed eroismo) con elementi della pratica della leadership sostenibile, di servizio, ed esperta;
  3. dare tempo alla cultura ed alla liberazione che essa rende possibile: una fonte di ispirazione qui riportato sono i modelli di gesuiti che la collana del “Il Sole 24 ore” e il laboratorio organizzato lo scorso anno (2024) alla Gregoriana abbiamo affrontato;
  4. invito ad una rinnovata e migliorata prassi di tutela complessa e democratica del lavoro.

Per avere un duraturo successo, serve integrare le capacità del leader con quelle del manager: un simile obiettivo si ottiene nel tempo (ed in una interrogazione sulla qualità di questo tempo giubilare), sviluppando con autenticità, coraggio e tenacia un’attitudine al servizio, ovvero un’attitudine relazionale al riconoscimento dell’alterità e all’inclusione di coloro che pensano di essere semplicemente ai margini.

Per ottenere un successo duraturo, serve integrare le capacità del leader con quelle del manager: un simile obiettivo si ottiene sviluppando con autenticità, coraggio e tenacia un’attitudine al servizio

 

È necessario ed utile darsi (dare) una nuova possibilità, facilitare una sorta di nuovo inizio: sono necessari dei mezzi ausiliari che aiutino questa impresa tutt’altro che scontata.

Abbiamo bisogno di modelli e compagni di viaggio: vorrei proporre qui (fra i tanti possibili) quelli offerti dalla storia, tradizione, eredità spirituale e culturale dei gesuiti che possono confortarci e sostenere i nostri passi e le nostre scelte: essi offrono variazioni di un metodo pedagogico che ha sempre valorizzato adattamento e innovazione; di un fondamento filosofico/teologico che ha dato spessore a tutti gli ambiti del sapere; di uno stile di prassi adattiva e concludente in cui l’elemento comando si inserisce in una dialettica fra teoria del potere e la prassi del servizio concreto e personale.

Partiamo dall’attualità per risalire al Fondatore, Ignazio di Loyola. Il papa di questo Giubileo è un gesuita e fin dall’apertura del suo pontificato, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) offre quattro principi per la vita sociale che possono ben ispirare il rapporto fra mondo e impresa [222-237]. Molti gesuiti hanno dato forma alla contemporaneità pensiamo al contributo esegetico, pastorale e spirituale di Carlo Maria Martini, all’intreccio fra scienza e mistica di Pierre Teilhard de Chardin, alla riflessione sulle forme di rivelazione e di istituzione che anima l’opera di Avery Dulles[16].

Nel Novecento sono i gesuiti che affrontano la sfida di unire fedeltà alla tradizione e alla novità, in un esercizio sapiente collegato alla gestione del potere istituzionale, della lotta a un immaginario denigratorio, nella continua dissimulazione della presenza ed influsso sulla società.

La Compagnia era stata estesa di nuovo dal papa Pio VII alla città di Roma ed al mondo (1814), dopo la soppressione del 1773 applicata in tanti Paesi: il paradigma della rifondazione, la maturazione quando si è collocati al margine e socialmente ridimensionati, la fioritura di un nuovo desiderio di missione e della presenza alle frontiere del mondo. Sono temi che segnano tutta la storia ottocentesca dell’Ordine.

Impossibile dare misura precisa della portata di civilizzazione espressa dai gesuiti in termine di cultura e missione nella stagione originaria della loro storia.

Juan Andrés y Morell (1740-1817): il lavoro di ricerca che porta all’organizzazione di una letteratura universale e comparata, è risposta all’esperienza di esilio e risposta organica all’enciclopedismo illuminista.

Rispondere con competenza alle sfide dei nuovi orizzonti culturali: fa così il gesuita Joseph-François Lafitau (1681-1746) che vive pratica e riflessione di antropologia culturale nella durissima missione nordamericana; così pure Ippolito Desideri (1684-1733): la scoperta del Tibet e la sua missione chiaroveggente nel serrato confronto con la cosmologia, con le tradizioni contemplative buddiste, con un concetto di religione privo del concetto di persona; non possono essere non citati Matteo Ricci (1552-1610) e i compagni impegnati nella missione cinese.

Così la strategia missionaria di Alessandro Valignano con la sua eccezionale compilazione di protocollo e cerimoniale per entrare e vivere alla corte imperiale giapponese; e che dire dell’enciclopedismo di Athanasius Kircher e della sua mappatura dell’universo, della decifrazione dei geroglifici, dell’invenzione della camera obscura antenato della fotografia e della tecnica cinematografica…

Un capitolo a parte e una costruzione politica unica, che affrancava dalla schiavitù e applicava una eccezionale modalità cooperativa alla produzione è quella delle Riduzioni del Paraguay che ha fra i suoi protagonisti Antonio Ruiz de Montoya (1585-1652) e fra le sue migliori descrizioni nel cristianesimo felice (1752) di Ludovico Antonio Muratori. Una cura ed attenzione nell’incontro con le popolazioni delle Americhe che ha in José de Acosta (1539-1600) e nel suo De procuranda indorum salute (1576) un documento esemplare delle cautele necessarie al servizio alla verità in tempi politicamente oscuri del colonialismo spagnolo, una interessante articolazione del dissenso e una declinazione del concetto di utopia nel governo dell’istituzione politica.

La riflessione sulle istituzioni e forme di potere ecclesiastico e civile furono anche parte di due gesuiti pensatori di altissima qualità: Roberto Bellarmino (1542-1621), santo e dottore della Chiesa, formidabile nell’articolare il rapporto fra scienza e autorità; Juan de Mariana (1536-1624) che affronta nei suoi trattati le grandi sfide della politica e dell’economia del suo tempo lasciandoci il De Rege et regis institutiones libri tres (1599) con la sua coraggiosa e chiaroveggente giustificazione morale del tirannicidio.

Ed infine l’opera dei padri fondatori, guidati e motivati da Ignazio di Loyola (1491-1556): un esempio di collaborazione ispirata e di costruzione di una rete mondiale di opere al servizio del popolo di Dio.

 

 

Essere protagonisti della remissione del debito

Veniamo ora a un tema capitale, ma fonte di grande tensione politica, legato al Giubileo. La remissione del debito ai Paesi poveri va innanzitutto affrontata con competenza, studio approfondito, e con le migliori intenzioni.

Esiste un livello di impegno personale e quindi di azione sociopolitica da mettere in atto: nella coscienza e proiezione sociale d’impresa è un tema che non dovrebbe occupare un posto marginale (a volte neppure c’è). È necessaria una trattazione specifica e accurata che sia specifica per il contributo che è possibile dare ai vari livelli di responsabilità e nelle varie aree professionali.

 

Il pellegrinaggio ed il passaggio della Porta santa

Il terzo impegno, in un certo senso è il più ovvio, il pellegrinaggio a Roma e il passaggio della Porta santa, anche detta dei pellegrini, e quella della Basilica vaticana detta anche Porta del paradiso e Porta d’oro; dal XVI secolo, fu decisa l’apertura delle porte in tutte le quattro basiliche papali e una sistemazione del cerimoniale che prevedeva solenni riti di apertura e chiusura.

Le Porte sante sono aperte anche nelle diverse diocesi, mi fermo qui sulla realtà centrale romana e ne sottolineo alcuni tratti per facilitare la comprensione di questo rito che manifesta un atteggiamento profondo ed intimo di apertura all’opera della grazia, alla forza del perdono di Dio, alla conversione del cuore.

Interessante come al pellegrino, entrando nello spazio sacro della Basilica e varcando la soglia della Porta Santa, venga suggerito di meditare interiormente il Salmo 121 “Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!” e il versetto in cui Cristo dice “Io sono la porta” (Gv 10,9); l’invito è ad attraversare con gratitudine e senso di adorazione della presenza di Dio che rinnova le nostre vite, e le diverse appartenenze associative, e rafforza per un lavoro che sia servizio ed esercizio di pregresso nel bene comune e nella misericordia.

L’invito è ad attraversare la Porta santa con gratitudine e senso di adorazione della presenza di Dio che rinnova le nostre vite e le diverse appartenenze associative e rafforza un lavoro che sia servizio ed esercizio di progresso

 

Importante è la recita della professione di fede: quest’anno il Credo nella formula nicena compie 1700 anni!

Viene richiesta la recita del Padre nostro (che abbiamo ricevuto nel Battesimo) e di una invocazione mariana: nell’eventuale pellegrinaggio alla Basilica di Santa Maria Maggiore, suggerisco attenzione all’antichissima icona della Salus Populi Romani, così cara alla devozione del Pontefice, della reliquia della Santa Culla, del presepe di Arnolfo di Cambio, del luogo dove Sant’Ignazio celebrò la sua prima messa.

Per ottenimento dell’indulgenza vanno poi seguite delle regole specifiche e su questo importante e caratteristico punto rimando al “manuale” che è stato nuovamente pubblicato e ad una colta conversazione con un ecclesiastico o accompagnatore spirituale.

 

In sintesi, e per concludere: tempo fa in una conversazione accademica era sorta una definizione che ho trovato sempre felice e che riprendo nel formulare i migliori auspici per questo giubileo: che possiate essere sempre di più e meglio “leader per vocazione e manager per scelta”, termini molto cari alla tradizione, studio e ricerca portati avanti alla Gregoriana, in progressivo dialogo con la Federmanager.

[1] Erasmo da Rotterdam dedica alcune pagine di straordinaria chiaroveggenza a questo tema su due versanti: il pellegrinaggio a Roma, Gerusalemme e Santiago metteva a repentaglio la vita di chi ne faceva voto; d’altro canto, esponeva i pellegrini stessi a rischi di mendicità come riportato in Peregrinatio religionis ergo (1526) colloquio preso attentamente in esame da Cecilia Asso nell’articolo “Nihil regno similius quam mendicitas. Mendicità, povertà e controllo sociale in Erasmo” in Bruniana & Campanelliana, Vol. 19, No. 2 (2013), pp. 331-343.

 

[2] Per una panoramica generale vedi Andrea Sarto, Il Giubileo. Un progetto di civiltà per donne e uomini di oggi. Il Pellegrino, Roma 2024.

 

[3] La dottrina sociale della Chiesa da diversi anni ha segnalato la valenza dell’impegno di impresa nel documento la The vocation of the business leader la cui quinta edizione è del 2018, ma pubblicato per la prima volta diversi anni prima e commentato nell’articolo di Stefano Del Bove – Fernando de la Iglesia Viguiristi, “Annotazioni a margine del decennale della pubblicazione del documento: La vocazione del leader d’impresa” in Gregorianum 103/4, 2022; gli autori, in tempi più recenti, hanno rivolto la loro attenzione ad uno dei momenti più significativi della dottrina sociale delle Chiesa, riprendendo la nozione di impresa così come la presentano i documenti del pontificato di Giovanni Paolo II.

 

[4] Con il termine comunità vorrei quindi favorire una riflessione sulle comunità di lavoro nelle loro diverse componenti, tema fondamentale della dottrina sociale della Chiesa (DSC) nei suoi quattro pilastri: a) dignità della persona umana; b) costruzione del bene comune; c) sussidiarietà; d) solidarietà; per un’ampia loro trattazione vedi il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2004) accessibile anche online; per una riflessione sul tema della comunità fra sociologia e spiritualità segnalo almeno Henri Nouwen, Comunità. Scritti e discorsi inediti, Queriniana, Brescia 2023.

 

[5] Concetto che si sostituisce sovente alla collaborazione, compromettendo i risultati del lavoro comune.

 

[6] Manuel Belli, L’epoca dei riti tristi, Queriniana, Brescia 2021.

 

[7] Una sintesi di particolare efficacia in Francesco Gligora, Il giubileo Segni Simboli Riti, Armando Editore, Roma 2024.

 

[8] Una informazione generale in https://it.wikipedia.org/wiki/Giubileo_universale_della_Chiesa_cattolica consultato il 28 gennaio 2024; di carattere divulgativo e facile accesso.

 

[9] Ampia trattazione di questo aspetto nella nuova edizione del saggio di Gianfranco Ravasi, Il significato del Giubileo. Dalla Bibbia ai nostri giorni, EDB, Bologna 2015.

 

[10] Papa Francesco, Spes non confundit: Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, San Paolo Milano 2024 con introduzione a cura di Rino Fisichella e appendici a cura di Renato Vigini.

 

[11] Una testimonianza per tutte è quello della copia milanese del perduto affresco giottesco che illustra la pubblicazione della Bolla da parte di papa Caetani e del quale rimane il solo frammento custodito all’entrata della basilica lateranense e che rappresenta il romano pontefice che indice questo grande evento per la Cristianità tutta.

 

[12] Enzo Bianchi, Lessico del Giubileo, EDB Bologna 2024, pp. 5-6.

 

[13] È bene ricordare che da ormai da quasi un secolo, i termini concettuali ed una metodologia in grado di guidare il cammino del manager e quell’aspetto del suo potere di indirizzo che richiede un attento esercizio della leadership sono oggetto di ricerca e riflessione: tuttavia, rimane sempre più difficile, per chi si trova al vertice di un’organizzazione, e di chi a vario livello è chiamato a gestirla,  mantenere leadership autentica e chiaroveggente rispetto alle sfide che davvero aprono al futuro.

 

[14] Testo esemplare in questo senso, pubblicato negli anni ’40 e nuovamente reso disponibile al pubblico italiano, è quello di Gerard Ritter, Il volto demoniaco del potere, Pgreco editore, Milano 2022.

 

[15] Chris Lowney, Heroic Leadership, Loyola Press Chicago 2005 tradotta qualche anno dopo con il titolo Leader per vocazione dalle edizioni de Il Sole 24 ore ed oggi esaurita.

 

[16] Per questi gesuiti rimando al lavoro fatto insieme alla Federmanager nei seminari e laboratori di formazione dello scorso anno.

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