La recente crisi sanitaria che ha colpito il Paese e il mondo intero, ha avuto ripercussioni anche sul mercato immobiliare. Il momento è stato difficile, ma ci sono margini per essere ottimisti.
Ne parliamo con Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare, l’associazione nazionale dell’industria immobiliare, aderente a Confindustria, che rappresenta gli operatori dei diversi settori del real estate in Italia.
Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare
Presidente Rovere, il mercato immobiliare quanto ha risentito della crisi sanitaria degli ultimi 20 mesi?
Il mercato immobiliare italiano ha mostrato sicuramente un buon livello di resilienza. L’impatto più significativo si è avuto sulla diversificazione degli investimenti rispetto alle asset class, con alcune di queste – in particolare la logistica – uscite addirittura meglio da questa situazione.
Dopo i mesi più difficili, si sta inoltre consolidando un cambiamento delle preferenze del mercato: gli italiani chiedono immobili più funzionali e moderni, più grandi, più performanti dal punto di vista dell’efficienza energetica, spesso all’interno di quartieri in grado di offrire l’intera gamma dei servizi essenziali. Si tratta di cambiamenti di lungo periodo e sarà compito degli operatori del settore – e delle Istituzioni – facilitare questa transizione che porterà a una rigenerazione sostanziale del parco immobiliare italiano.
Qual è la percezione degli investitori esteri sul mercato real estate del nostro Paese?
La sensazione è che l’Italia stia attraversando un momento favorevole che raccoglie l’attenzione degli investitori stranieri.
Questo riguarda non solo soggetti europei. Penso agli Stati Uniti che sono il secondo Paese, tra gli investitori non italiani, ad acquistare sul mercato residenziale, circa il 18% del totale delle transazioni, e sono tra i primi investitori anche per quanto riguarda altre asset class: 12% degli investimenti nel settore office, secondo Paese dopo la Germania, 15% del settore logistico e 9% del settore hospitality. E non parlo di investimenti solo su Milano o Roma, ma anche per altre città c’è una crescente considerazione. Dobbiamo sentire la responsabilità di valorizzare questa grande opportunità.
Nel mercato residenziale italiano gli Usa sono il secondo Paese straniero tra gli investitori non italiani, con circa il 18% del totale delle transazioni
Presidente, sappiamo che da parte degli investitori istituzionali c’è un rinnovato interesse per il settore residenziale. Che previsioni è possibile fare rispetto al mercato delle compravendite immobiliari nel nostro Paese?
Le previsioni sono coerenti con il clima di miglioramento e di fiducia in atto. Le compravendite nel 2021 torneranno intorno alle 600 mila, con la previsione di raggiungere le 651 mila nel 2023, recuperando i livelli previsionali raggiunti nel 2019. Anche il livello di erogazione dei mutui sta tornando ai livelli più alti dal 2008. I prezzi, invece, rimangono purtroppo inferiori al 2013, anno di introduzione dell’Imu. Siamo infatti l’unico grande Paese europeo a non aver ancora recuperato i valori immobiliari precedenti la crisi del 2008.
Insomma, gli italiani restano affezionati all’acquisto invece che alla locazione?
Sì, la casa è un elemento centrale nell’economia, rappresenta nel portafoglio delle famiglie italiane oltre il 60% della ricchezza.
La domanda di locazione è comunque in crescita. Stanno aumentando, ad esempio, le richieste di alloggi per studenti, per anziani e per diverse fasce di lavoratori sempre più mobili. Sul mercato residenziale destinato agli affitti pesa però una fiscalità che danneggia gli operatori professionali; penso all’impossibilità di detrarre l’Iva o all’imposta di registro al 9%, che inibisce una grande quantità di investimenti che potrebbero essere destinati a questo segmento.
Quanto vale il settore immobiliare in termini economici e in numero di addetti?
Il settore immobiliare e le sue filiere generano circa un quinto del Pil dei principali Paesi europei: Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna. Il fatturato dei servizi immobiliari in questi Paesi è superiore ai 400 miliardi di euro. Molto significativo anche il dato delle società e degli addetti operanti nel settore in questi cinque Paesi dove operano oltre 945 mila imprese, per un totale di 1,76 milioni di addetti diretti, a cui dobbiamo aggiungere quelli impiegati nelle 730 mila imprese dell’indotto.
Il settore immobiliare e le sue filiere generano circa un quinto del Pil di Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna. Il fatturato dei servizi immobiliari in questi Paesi è superiore ai 400 miliardi
Quali sono le previsioni future per i settori corporate?
Per il settore uffici sta crescendo l’interesse per soluzioni flessibili, che possano adattarsi rapidamente sia nell’offerta di nuovi e moderni servizi ai tenant sia nella destinazione dell’utilizzo degli spazi.
Per il settore retail, il calo nella domanda è stato accentuato dalla pandemia e dal crescente peso dell’e-commerce. È possibile immaginare una tendenza alla diminuzione del volume degli spazi utilizzati, ma è probabile che insieme al comparto alberghiero questo segmento segnerà un solido rimbalzo al termine dell’emergenza sanitaria.
Per quanto riguarda la logistica, con l’aumento del segmento online, stanno modificandosi le caratteristiche degli immobili e sta rafforzandosi la logistica di prossimità, che consente di consegnare in 24 ore in quasi tutte le città. Questa logistica last mile è innovativa sia nelle caratteristiche tecnologiche degli immobili sia nelle location, perché è molto vicina o addirittura dentro alle città stesse.
Le nuove politiche del lavoro, penso ad esempio allo smart working, incideranno sugli investimenti nel settore immobiliare?
Le modalità di lavoro ibride saranno probabilmente confermate in futuro e questo implica la necessità di ripensare gli edifici – sia case, per quanto possibile, che uffici – per andare incontro alle nuove esigenze. La tendenza che continuerà a rafforzarsi è quella di un ufficio sostenibile, efficiente dal punto di vista energetico, concepito per massimizzare anche il confort dei dipendenti, con tecnologie moderne e servizi che consentano momenti di socialità. Il ragionamento, quindi, non verterà più solo su quanti metri quadri occorrono alle aziende, ma su quale sia il giusto mix di servizi e tecnologie da mettere a disposizione.