La via più breve per conquistare il consumatore, si sa, è fare leva sulle emozioni. Perché in un mondo in cui in cui la soglia media d’attenzione di un individuo è di 8 secondi – quella di un pesce rosso, per capirci, è di 9 – ogni input può fare la differenza tra un marketing efficace e uno pressoché inutile. Del resto – ce l’ha insegnato Freud – la nostra mente associa un colore a uno stato d’animo o un sapore a un ricordo, quindi attribuire un valore emotivo a un prodotto è stata da sempre la chiave per il successo di un brand. Non a caso, è quello su cui punta il neuromarketing, uno strumento ormai sempre più utilizzato, che permette di studiare la risposta del cervello agli stimoli esterni, per scoprire le emozioni che guidano gli acquisti. Fin qui tutto bene. Ma cosa ci riserva il futuro? E soprattutto, cosa accade se si prendono in esame i risvolti etici di questo modello?
Ne abbiamo parlato con Oscar di Montigny, chief innovation, sustainability and value strategy officer di Banca Mediolanum, scrittore e divulgatore, che ha da poco pubblicato il suo ultimo libro Gratitudine, la rivoluzione necessaria.
Oscar di Montigny, manager in Banca Mediolanum, tra i più noti divulgatori italiani di innovazione
Dottor di Montigny, qual è la sfida più importante a suo parere della nuova economia e di conseguenza del marketing del futuro?
Sicuramente generare un senso di gratitudine nell’altro. L’uomo di oggi è troppo distratto dall’inseguire chimere, quando la vita ci sta inviando un messaggio chiaro: noi siamo qui per perseguire un interesse collettivo e universale. Solo così renderemo eterni i nostri risultati. Come diceva la poetessa statunitense Maya Angelou: «La gente si dimentica ciò che hai detto o fatto, ma non si dimenticherà mai quello che le hai fatto provare». La gratitudine è il riscontro oggettivo più nobile che si possa avere dagli altri. Quindi dobbiamo ripartire da qui, perché la vera rivoluzione è questa. E poi, come sostengo da tempo, dobbiamo superare il concetto di economia circolare, che è una soluzione temporanea destinata a esaurirsi, per passare a quella “sferica”, ovvero un modello che aggiunga una terza dimensione: la centralità dell’uomo. È quello il futuro.
L’ economia circolare è destinata a esaurirsi. Si passerà a quella “sferica”, un modello che aggiunge una terza dimensione: la centralità dell’uomo
E a che punto siamo?
Il mondo del marketing – che considero una scienza e, per certi aspetti, anche un’arte – non ha ancora compreso nel profondo i quattro macro trend che trasformeranno l’assetto socio-economico del pianeta: la demografia, la tecnologia, l’ambiente e l’etica. Per demografia intendo la redistribuzione geografica dei popoli e la conseguente fusione di culture e abitudini, che introdurrà nuovi stili di vita, di consumi e di acquisti. Se il sistema imprenditoriale avesse davvero chiaro quello che, di fatto, sta già accadendo, avremmo campagne pubblicitarie in più lingue o una comunicazione destinata a target ben più variegati. Siamo ancora lontani dal concetto del “glocal”, ovvero pensare globale e agire locale. Entro il 2050, tanto per fare un esempio, molte delle mega city nel mondo saranno concentrate nel continente africano, e non vedo una strategia a lungo termine che ci prepari a questo importante cambiamento.
Allo stesso modo, non stiamo cavalcando l’evoluzione della tecnologia, che non è solo l’experience del consumatore, ma qualcosa che cambierà completamente il nostro modo di essere agendo profondamente sulle reti neurali. Poi c’è l’ambiente. Negli ultimi anni abbiamo visto un’impennata dell’attenzione al green, ma non basta. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu dovrebbero essere una stella polare anche nelle strategie di marketing, eppure non è così. E qui si arriva ai valori etici, perché in assenza di questi ci potrà essere solo scontro tra etnie, distruzione delle risorse naturali del pianeta e sfruttamento delle tecnologie più avanzate a beneficio di pochi e a svantaggio di molti. Sono ottimista per il futuro, ma al momento non vedo molta reattività nel prendere tutte queste conoscenze e traslarle nel business. Chi lo farà per primo vincerà.
Cosa ci sta insegnando, in questo senso, l’emergenza del nuovo coronavirus?
La pandemia da Covid-19 ci ha colto impreparati, mettendo in evidenza le nostre carenze su più fronti: nell’estrapolare e correlare dati allo scopo di dedurre delle strategie di intervento, nell’efficienza dei sistemi di smart working, nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, nella robotizzazione dei processi e nella riconversione delle professionalità. Siamo tutti re nudi in questo momento. Però, come sempre, c’è un risvolto della medaglia, perché il coronavirus – che senza ombra di dubbio ci sta mettendo a dura prova – ci sta facendo un grande dono: l’accelerazione di tutti questi processi. Da noi la meccatronica, l’ingegneria e il manifatturiero sono industrie molto avanzate, però non siamo un Paese leader nell’innovazione, quindi dobbiamo cogliere questa opportunità per esserlo domani. Inoltre, ho grande stima e gratitudine per chi è in prima linea e per le istituzioni che devono prendere decisioni difficili, ma spesso è mancata un’informazione univoca. I dati vanno conosciuti, estratti, correlati e infine comunicati con chiarezza e razionalità. Anche in questo si poteva fare di più.
Covid-19 ci ha colto impreparati. Ma c’è un risvolto della medaglia: l’accelerazione di tutti i processi tecnologici
Veniamo al neuromarketing: per il guru del settore Martin Lindstrom il futuro del brand deriva esclusivamente dalla capacità di capire il consumatore. Quali rischi vede in questa disciplina?
In primis quello di confondere lo scopo con il mezzo. Per risponderle le faccio un esempio: il nostro medico ci conosce alla perfezione, ma agisce per il nostro bene e esclusivamente nel nostro interesse, senza approfittarsi di ciò che sa di noi. Chi utilizza gli avanzatissimi strumenti del neuromarketing ha chiaro qual è il confine tra capire il consumatore per creare valore condiviso e entrare nella sua mente per influenzarlo in modo inconscio? E’ questa la domanda. Perché se quel confine non c’è diventa pericoloso.
Un neuromarketing che sia win-win è possibile secondo lei?
Solo con un sistema etico di riferimento che tuteli anche le persone e non solamente le vendite di un’azienda, il successo di un prodotto o la supremazia di un’idea. La domanda che devo pormi è: «Agendo così genererò gratitudine nel consumatore?». In altre parole, i brand devono decidere se vogliono essere una bancarella in un mercato o parte dell’educazione civica di un paese. Non basta più avere qualcuno in azienda che si occupi di corporate social responsibility, le organizzazioni devono essere pervase di responsabilità sociale e devono puntare sulla sostenibilità, che non riguarda solo la tutela dell’ambiente, ma anche il rispetto dei diritti umani, la distribuzione della ricchezza, l’accesso all’acqua, all’energia, all’educazione, alla salute. Le aziende, oggi, sono chiamate a decidere se vogliono avere un ruolo attivo nella creazione di un mondo migliore.
Un marketing “sferico” insomma, per fare riferimento alla sua teoria economica…
Sì, un marketing con la terza dimensione, che metta al centro l’interesse collettivo. Come una persona deve chiedersi se lavora per lo stipendio o per un’aspirazione, le aziende devono decidere se vogliono solo vendere prodotti o avere una vocazione. È un cambio di paradigma, un salto quantico necessario.
Che consiglio vuole dare ai decision maker?
Ai manager dico che dovrebbero chiedersi sempre che impatto producono le loro decisioni non solo sul profitto, ma anche sugli individui e sull’umanità, sulle relazioni che abbiamo con gli altri, con i luoghi e con gli oggetti, sull’ambiente e sul mantenimento di uno scenario di pace globale. In altre parole, si deve passare dal produrre ricchezza al creare prosperità, intesa come benessere sostenibile e duraturo per l’intera umanità e per il pianeta.
Ai manager dico che dovrebbero chiedersi sempre che impatto producono le loro decisioni. E non solo sul profitto
E al consumatore cosa vuole dire?
Il consumatore, dal canto suo, deve sapere che ogni volta che compie un acquisto esprime un voto. Il suo ruolo nella storia è quello di avere diritti, certamente, ma anche doveri: in primis, il dovere della consapevolezza e della responsabilità.