Il lavoro al tempo dell’innovazione

Progetto Manager incontra l’Onorevole Chiara Tenerini, componente della Commissione “Lavoro pubblico e privato” della Camera dei Deputati

Chiara Tenerini, componente della Commissione “Lavoro pubblico e privato” della Camera dei Deputati

 

L’AI Act è entrato in vigore nel 2025. Quali saranno, secondo lei, le ricadute concrete di questa normativa sul mercato del lavoro, in Italia e in Europa?

L’entrata in vigore dell’AI Act rappresenta un passaggio epocale, che segna una svolta verso una regolazione armonizzata e responsabile dell’intelligenza artificiale nell’Unione europea. Si tratta della prima normativa al mondo a stabilire un quadro giuridico completo su un tema tanto complesso e in continua evoluzione. Il suo impatto sul mercato del lavoro sarà duplice.

Da una parte, potremo assistere a un rafforzamento delle tutele dei lavoratori: l’AI Act impone obblighi di trasparenza, sicurezza e supervisione umana nei sistemi di IA ad alto rischio, come quelli utilizzati per il reclutamento, la valutazione delle performance o la gestione automatizzata dei turni. Questo significa che l’intelligenza artificiale non potrà essere adottata in modo opaco o lesivo dei diritti fondamentali.

Dall’altra parte, sarà inevitabile una riconfigurazione dei profili professionali. L’introduzione di sistemi intelligenti in ambito produttivo e organizzativo richiederà nuove competenze, nuove modalità di lavoro e una diversa distribuzione delle responsabilità. L’Italia, come il resto d’Europa, deve farsi trovare pronta. Non dobbiamo subire il cambiamento, ma guidarlo, affinché l’innovazione non diventi una causa di esclusione sociale, ma una leva di crescita e modernizzazione.

I modelli linguistici generativi sono già operativi in molti settori. Come si può promuovere un uso responsabile ed equo di queste tecnologie nei contesti lavorativi?

L’affermarsi dei modelli linguistici generativi, come i chatbot avanzati e le soluzioni di automazione dei contenuti, sta cambiando rapidamente il panorama di numerosi settori, dalla comunicazione al customer care, dalla consulenza legale al giornalismo, fino alla sanità. Se da un lato questi strumenti aumentano l’efficienza, dall’altro pongono interrogativi etici e sociali molto rilevanti.

Promuovere un uso responsabile significa, innanzitutto, definire standard di trasparenza e controllo umano nei contesti in cui queste tecnologie possono incidere su decisioni sensibili. È essenziale che i lavoratori sappiano quando stanno interagendo con un sistema automatizzato, e che abbiano sempre la possibilità di rivolgersi a un operatore umano.

Dal punto di vista normativo, è necessario rafforzare i meccanismi di valutazione del rischio e di audit interno alle imprese, per monitorare l’impatto dell’IA non solo in termini tecnici, ma anche etici e organizzativi.

Credo inoltre che l’adozione dell’IA debba essere accompagnata da una cultura aziendale inclusiva, che valorizzi le competenze umane, la creatività e il pensiero critico. L’IA deve essere uno strumento di supporto, non un sostituto indiscriminato del lavoro umano.

L’AI Act introduce obblighi di trasparenza e tracciabilità, ma anche la sfida dell’adeguamento delle competenze. Quali azioni devono essere intraprese per accompagnare lavoratori e imprese in questa transizione?

La vera sfida dei prossimi anni sarà quella delle competenze, perché la tecnologia corre a una velocità molto superiore rispetto a quella del nostro sistema formativo. L’AI Act impone regole precise, ma per rispettarle servono conoscenze specifiche che, oggi, mancano a larga parte del nostro tessuto produttivo, soprattutto nelle Pmi.

Occorre, dunque, un piano nazionale integrato per l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori, finanziato anche attraverso i fondi europei del Pnrr e del Fse+. Serve una strategia multilivello che coinvolga scuola, università, Its, centri per l’impiego e mondo delle imprese.

Una visione multidisciplinare e sistemica della questione potrebbe prevedere interventi quali:

  • voucher formativi individuali per adulti occupati e disoccupati;
  • incentivi alle imprese che investono in formazione continua e tecnologia;
  • piattaforme pubbliche di autoapprendimento digitale, accessibili e gratuite;
  • cabine di regia territoriali per mappare i fabbisogni professionali legati all’IA e coordinare le offerte formative.

L’obiettivo è non solo conformarsi alla normativa, ma fare dell’adeguamento tecnologico una leva per rafforzare la produttività e l’occupabilità in un mercato del lavoro sempre più dinamico.

Le PMI italiane rischiano di non tenere il passo dell’innovazione. Quali strumenti ritiene prioritari per evitare un divario tecnologico crescente?

È vero: molte Pmi italiane si trovano in difficoltà ad affrontare la transizione digitale, non solo per ragioni economiche, ma anche per la carenza di competenze interne e per l’eccessiva complessità del quadro normativo e burocratico.

Per questo è necessario un intervento pubblico mirato, che preveda:

  • un rafforzamento strutturale dei crediti d’imposta per innovazione e digitalizzazione, resi più accessibili e meno onerosi da gestire;
  • sportelli territoriali per l’innovazione, in grado di accompagnare le imprese nell’adozione dell’IA con consulenza gratuita, anche in collaborazione con università, incubatori e centri di trasferimento tecnologico;
  • bandi ad hoc per progetti pilota sull’utilizzo responsabile dell’IA nelle filiere produttive locali;
  • semplificazione normativa: il rispetto dell’AI Act non deve diventare un ostacolo, ma un’opportunità per migliorare la competitività aziendale.

Dobbiamo evitare che si crei un nuovo digital divide tra imprese strutturate e microimprese. L’IA deve essere uno strumento anche per le piccole realtà, non un privilegio di pochi.

Siamo di fronte a un cambiamento strutturale del concetto di lavoro. Su quali temi si sta concentrando il Parlamento e la vostra Commissione?

Il cambiamento in atto è profondo, e non riguarda solo la tecnologia. Cambia il modo di lavorare, cambiano le aspettative dei cittadini, cambiano i modelli organizzativi. Il Parlamento è chiamato a dare risposte legislative nuove, capaci di tenere insieme innovazione e diritti, flessibilità e sicurezza, produttività e inclusione.

Il cambiamento in atto è profondo, e non riguarda solo la tecnologia. Cambia il modo di lavorare, cambiano le aspettative dei cittadini, cambiano i modelli organizzativi

In Commissione Lavoro ci stiamo concentrando su diversi dossier chiave:

  • la revisione delle politiche attive del lavoro, per renderle più efficaci nell’incontro tra domanda e offerta di competenze digitali;
  • l’estensione del lavoro agile e il riconoscimento delle nuove forme di lavoro ibride;
  • la regolamentazione dell’uso dell’IA nei processi lavorativi, per garantire che siano rispettati i principi di non discriminazione, trasparenza e controllo umano;
  • un focus specifico sull’occupazione giovanile, puntando su settori strategici come il digitale, la transizione verde e la sanità.

Siamo convinti che una soluzione efficace possa essere quella di prevedere forme di incentivo, come sgravi fiscali, volti all’assunzione di soggetti con adeguate competenze nel settore dal momento che la sfida dell’IA può essere una straordinaria occasione per modernizzare il nostro Paese ma sta a noi coglierla nel modo giusto.

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