Il grande disorientamento

Sono tante le sfide aperte per chi, come i manager, è chiamato a gestire risorse umane nell’attuale scenario del lavoro, pieno di complessità. Tra post pandemia, grandi dimissioni e quiet work, tutto sta cambiando.

L’insorgenza della pandemia da Covid-19 ha esposto brutalmente l’umanità all’incertezza della nostra esistenza, realtà questa sempre presente nella vita, ma oggi più che mai visibile. Ci siamo dovuti confrontare con i nostri limiti, con il fatto di non poter tenere tutto sotto controllo, con il crollo della nostra onnipotenza. Tuttavia, per molti, è stata l’occasione per riscoprire cosa davvero conta nella vita: il valore delle relazioni, l’importanza del momento presente, la necessità di prendersi cura del proprio corpo e del benessere psichico. Questa situazione ha riguardato tutti quanti: genitori e figli, responsabili e collaboratori, psicologi/medici e pazienti, eccetera e ha messo in crisi precedenti modelli di lavoro fondati su ambizioni di carriera, su stili di leadership basati su comando e controllo. Questa realtà coinvolge sia le persone che offrono le proprie prestazioni sia chi le coordina. Per quanto riguarda le prime, si è aperta la possibilità di seguire di più le proprie vocazioni avendo verificato che sono importanti altre cose nella vita rispetto alla carriera; in questi casi, dunque si lascia il lavoro per essere più vicini al proprio equilibrio personale. Questa tendenza è confermata dai dati: l’Inps ha dichiarato che nel 2022 le dimissioni dal lavoro sono state 2,2 milioni. Tuttavia non è sempre possibile perseguire tale strada: in questi casi si riduce la propria intensità lavorativa (quiet work) dando il minimo possibile, una protesta silenziosa. In assenza delle due precedenti vie, ce n’è una terza che implica un adattamento impossibile alla situazione presente per cui c’è un totale burn out con conseguenze imprevedibili (la protesta almeno sul piano personale mobilita risorse). Si possono sperimentare allora un senso di stanchezza estrema, attacchi d’ansia, stati depressivi, somatizzazioni che possono cronicizzarsi. Questa situazione può compromettere la vita personale e laddove non ci sono altre risorse per compensare il proprio disagio lavorativo – come una buona relazione di coppia o una rete sociale di supporto o un aiuto psicologico – le difficoltà possono peggiorare la salute mentale.

Il grande disorientamento nel mondo del lavoro dopo la pandemia ha avuto un impatto ancora maggiore per chi ricopre ruoli di responsabilità, come i manager, poiché i leader sono abituati al controllo, a dare istruzioni: da loro ci si aspettano risposte, soluzioni, certezze. Può essere stato frustrante scoprirsi vulnerabili e timorosi di perdere il proprio ruolo, di non riuscire a gestire i problemi, le persone – caratteristiche queste – nelle quali non ci si riconosce, ma che tuttavia ci appartengono in quanto esseri umani. Ciò vale ancora di più per quelle persone particolarmente capaci, che hanno superato e gestito situazioni aziendali complicate, con successo, che sono abituate ad avere feedback positivi e a riconoscersi molto o quasi esclusivamente nel ruolo ricoperto, per quelle persone che vivono quasi esclusivamente di lavoro. In questo scenario diventa complesso gestire le risorse umane, perché il vecchio modello di una leadership basata sulla gerarchia sembra non essere più efficace, i tempi sembrano maturi per una leadership orizzontale, per passare dal terreno dell’autorità a quello dell’autorevolezza dove al centro ci sono le relazioni umane, i talenti delle persone, che non hanno gerarchia. Il raggiungimento dei risultati deve poter essere interconnesso al benessere e alla motivazione in modo da creare un circolo virtuoso.

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