Nei prossimi anni la tecnologia continuerà a costituire la spinta prevalente nella promozione dello sviluppo globale. Possiamo immaginare una realtà in cui la sfera fisica, quella digitale e quella biologica della nostra esistenza siano sempre più interconnesse tra loro dagli strumenti tecnologici. È di questa opinione anche Klaus Schwab del World Economic Forum, da cui ogni anno arriva il report sui rischi globali. Non a caso la XII edizione, appena pubblicata, ha voluto inserire la Quarta rivoluzione industriale tra le risposte alle grandi questioni da affrontare nel 2017, tra cui diseguaglianza economica, polarizzazione sociale e intensificazione dei rischi ambientali.
A questo punto dobbiamo tentare lo sforzo di proiettarci in una dimensione che in termini temporali non è molto lontana da quella attuale, ma è assai più distante in termini concettuali. Ed è in questa dimensione che possiamo aspettarci effetti dirompenti non solo sul sistema di produzione di beni e servizi, ma anche sul sistema politico, democratico, economico. La quarta rivoluzione industriale è perciò innanzitutto una sfida culturale che riguarda l’intero ordine sociale.
Il mix di crisi dei sistemi di protezione sociale ed evoluzione tecnologica sta aprendo scenari di instabilità che, per esempio, stanno alla base della diffusione della “gig-economy”, anche detta “economia dei lavoretti”. In ballo c’è il cambio di un paradigma che non si esaurisce certamente nell’adeguamento alle scoperte scientifiche e tecnologiche. Vanno evitate le distorsioni. Siamo solo all’inizio e l’Italia deve stare al passo.
L’industria, in particolare, è il primo campo in cui si sperimenta. Automazione, robotica, intelligenza artificiale promettono di farci balzare rapidamente in avanti verso quello che molti di noi eticherebbe come fantascienza. Cambiano i processi produttivi, cambia il mercato e cambiano le professioni. Ma si inaugurano anche nuove economie di scala con piattaforme collaborative dove le imprese che appartengono a settori e filiere fino a ieri incomunicabili iniziano a scambiare know how e a condividere progettualità.
È una sfida per le PMI italiane che, in un’ottica di condivisione, possono uscire dall’isolazionismo di un modello a proprietà familistica e decentrata. È una sfida per gli imprenditori italiani più giovani e per i cosiddetti “startupper” che possono entrare in contatto con una realtà globalizzata dal digitale.
Valutiamo positivamente il Piano del Mise per l’Industria 4.0 poiché incentiva gli investimenti e la voglia di fare. Avvertiamo, allo stesso tempo, dei rischi che riguardano la governance del piano, la costruzione dei cosiddetti “competence center”, un avanzamento a “macchia di leopardo” che lascia indietro zone del Paese, il dialogo a singhiozzo tra infrastrutture pubbliche e reti private e, quindi, tra PA e nuove forme d’impresa.
Al top delle nostre raccomandazioni, però, mettiamo senza dubbio la questione del capitale umano. Servono uomini e donne capaci di governare il processo industriale in questa nuova dimensione dove l’innovazione è continua e le macchine si fanno più intelligenti. Le implicazioni sono tali da spingere Parlamento europeo a ragionare dell’adozione di un sistema normativo che regoli i rapporti tra umani e robot, ai quali potrebbe essere conferito lo status legale di “persona elettronica”.
Tutto ciò si riflette anche sull’interpretazione che Federmanager intende fare del proprio ruolo. Ci proponiamo un 2017 di rinnovamento anche dal punto di vista delle relazioni industriali. Lavoriamo alla costruzione di un modello aperto e collaborativo anche con Confindustria e Confapi per trovare soluzioni innovative che rispondono alle nuove esigenze del management. Anche con i vertici dei grandi gruppi aziendali stiamo dialogando per garantire competenze e conoscenze professionali adeguate nell’ambito di un sistema di maggiori tutele. In un’epoca di disintermediazione, non perdiamo di vista l’importanza di costruire relazioni salde e durevoli, basate su una pianificazione contrattuale e sindacale.
Nel 2017 ci auguriamo di raccogliere quanto seminato sul terreno delle relazioni istituzionali. In continuità con le azioni messe a punto, a partire dalla istituzioni delle nostre Commissioni di settore, continuiamo a contribuire alle attività politiche e di governo nella speranza che i nostri colleghi più dinamici possano direttamente intervenire nella stanza dei bottoni incidendo, con metodo e per merito, nelle scelte che riguardano il Paese. Per Federmanager, significa prendersi carico di questioni generali con il senso di responsabilità e di resilienza che è proprio della nostra categoria. Ci sentiamo protagonisti di questa rivoluzione e ci proponiamo come fattori – umani – di innovazione.
Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager