La parola chiave è multi-modalità. E pazienza se suona come un brutto ircocervo da convegno: nella fase post Covid-19, il trasporto multimodale è la formula su cui città e territori devono investire per consentire la circolazione, mantenere sui mezzi pubblici il giusto distanziamento e non ingolfare le arterie principali di auto private. La multi-modalità, trasferita dal settore della logistica (che ha coniato il termine) a quello della pianificazione urbanistica, prevede che per andare dal punto A al punto B, l’utente adoperi due o più mezzi diversi: il bike sharing e il treno, per esempio, o il monopattino più l’autobus.
La flessibilità delle combinazioni è strategica per affrontare un futuro in cui, per decidere come raggiungere l’ufficio o tornare a casa, dovremo tenere conto non solo di aspetti come il tempo di percorrenza, gli eventuali ritardi o la prossimità della fermata, ma anche dell’affollamento dei mezzi e del contingentamento dei passeggeri. In questo scenario, app, startup della mobilità sostenibile e piattaforme digitali giocano un ruolo da protagonista, cambiando il modo in cui ci rapportiamo con i trasporti.
Partiamo proprio dalla pianificazione del viaggio. La regina in questo settore a livello mondiale è un’app israeliana, Moovit. Nata nel 2012, conta oggi 800 milioni di utenti, 3.200 città e 103 paesi in cui opera. In Italia copre 200 comuni e in 60 offre aggiornamenti in tempo reale. Significa che quando apri l’app, per esempio, a Milano, la disponibilità di scooter o bike sharing è in real time. Un fattore discriminante in un futuro in cui dovremo essere più reattivi a cambiare mezzi per compiere lo stesso tragitto.
Moovit conta oggi 800 milioni di utenti in 103 paesi. In Italia copre 200 comuni e in 60 fornisce aggiornamenti in tempo reale
Non è un caso che agli inizi di maggio Intel abbia acquisito Moovit per 900 milioni di dollari: con 6 miliardi di data point anonimi sparsi nel mondo, la startup è un collettore di dati preziosi per comprendere come si spostano le persone e come autorità e aziende possono, di conseguenza, pianificare i trasporti. Proprio in vista della fase 2, Moovit ha proposto il suo sistema per prenotare una corsa sui mezzi pubblici con l’obiettivo di aiutare a contingentare gli accessi da un lato, e dall’altro consentendo alle persone di conoscere se possono o meno usare quel mezzo. E permette già di segnalare l’affollamento a bordo di un autobus o alla fermata.
Il modello delle startup fa breccia anche nelle aziende del trasporto pubblico locale. Qualcosa di simile a Moovit ha sviluppato anche Trenord, l’azienda che gestisce il servizio ferroviario in Lombardia. Le regole di distanziamento fisico hanno imposto una riduzione dei posti a sedere e in piedi, per quanto compensate da un aumento dei vagoni, e hanno riflessi sullo spostamento dei pendolari. Pertanto, anche Trenord ha investito sul digitale: l’app del gruppo fornisce un sistema a semaforo (verde, giallo e rosso) per individuare i convogli con ampia disponibilità di posti, quelli in cui è limitata e quelli già pieni. Il calcolo, basato su contatori automatici sul 30% della flotta e sull’elaborazione dei dati dei giorni precedenti sul resto, avviene in tempo reale. L’azienda ha sviluppato anche una funzione per segnalare la presenza di passeggeri in stazione e calcolare se le banchine sono troppo affollate.
Il digitale e le app sono strategiche in questa fase di ripartenza, la cui velocità ed efficacia è dettata anche dalla riorganizzazione delle infrastrutture di mobilità. Emerge da uno studio di Ernst & Young sulle città italiane: le più resilienti sono quelle che, tra le altre cose, hanno una “maggiore flessibilità di trasporto pubblico e una moltiplicazione della mobilità alternativa”.
Secondo uno studio di EY, sono più resilienti le città che hanno una maggiore flessibilità di trasporto pubblico e una moltiplicazione della mobilità alternativa
Uno dei tasselli di questa offerta è il bike sharing, il cui destino sembrava messo in discussione nei mesi scorsi da vandalismi sulle due ruote free-float (ossia quelle che si possono parcheggiare dove è più comodo) e dalla crisi di alcuni giganti del settore, come la cinese Ofo, che qualche anno fa aveva invaso con il suo colore giallo le città italiane e poi ha battuto in ritirata. Flessibilità d’uso, assenza di dispositivi di sicurezza da condividere (come nel caso degli scooter) e mezzi elettrici sono i vantaggi che rendono oggi queste piattaforme nella partita della multi-modalità.
In Italia l’offerta non manca. Da un lato c’è il settore del bike sharing municipale, che in cento comuni è gestito da Bicincittà, azienda poco nota al grande pubblico perché in ogni località il servizio ha un nome su misura. Dall’altro gli operatori internazionali. Come Mobike, che ora in Europa ha alle spalle un’azienda italiana, Idri Bk, ed è presente in 18 città. Nel 2019 è arrivata anche Jump, galassia Uber: a Roma ha introdotto le sue e-bike, 2.500 alla fine dello scorso anno, ma in altre città d’Europa abbina anche i monopattini. Stessa offerta di Helbiz, che ha nel bouquet bici elettriche e monopattini. A Milano la società, sede a New York ma cuore italiano, è tornata a febbraio, con 750 monopattini e 300 bici a pedalata assistita.
I monopattini sono l’altro pezzo del puzzle. E anche in questo caso l’offerta non manca: oltre alle già citate Helbiz e Uber, nelle varie città italiane sono già sbarcate (o in procinto di arrivare, a seconda dei piani di espansione) app come Lime (peraltro finita nel mirino degli investimenti proprio di Uber), Circ (appena approdata a Torino) e Bird. Risolti gli aspetti normativi relativi alla circolazione, che l’anno scorso hanno provocato una partenza a singhiozzo di questi servizi, i monopattini in sharing si aggiungono all’offerta di micro-mobilità urbana, per coprire brevi tragitti.
Il terzo elemento è costituito dagli scooter elettrici in condivisione. Anche in questo caso gli utenti hanno a disposizione varie app in Italia: eCooltra, GoVolt, Niu, Zig Zag. Roma e Milano sono le piazze di partenza per un’espansione verso altre città, che si stanno adeguando, anche con interventi urbanistici (per esempio a Torino), per favorire tutte le forme di mobilità alternativa. In parallelo, le stesse app si stanno organizzando tra di loro per integrare servizi in collaborazione. Freenow, per esempio, nata per la prenotazione di taxi (nel 2019 in Italia ha offerto 3 milioni di corse, +41% sul 2018, e aggrega 5 mila taxisti), consente anche di opzionare i monopattini nell’ottica di favorire spostamenti multimodali.
L’ultima frontiera a cui lavorano startup e piattaforme, spinte proprio dall’emergenza Covid-19, è una reinterpretazione dell’uso dei propri mezzi in ottica business. Helbiz, che opera anche a Roma, Torino e Verona, ha messo a disposizione i suoi monopattini per le consegne a domicilio. Mentre Wetaxi, startup di Torino che ha sviluppato una piattaforma per prenotare le corse, conoscere in partenza il costo e attivare anche percorsi condivisi (a Roma e Milano lavora, rispettivamente, con le cooperative Samarcanda e Taxiblu), ha lanciato a metà marzo un servizio di consegne via taxi. Un sistema alternativo per negozi, ristoranti ma anche per semplici cittadini, per muovere merci, acquisti, pasti e regali durante il lockdown, ma anche una forma di sostegno all’attività dei taxisti. Ed è forse questa la lezione che il digitale regala al mondo dei trasporti: imparare a trasformarsi, diventare più flessibili, sviluppare la resilienza.