A un anno esatto dall’inizio della pandemia, mi sono accorto di aver sbagliato. Di aver passato gli scorsi mesi convinto che alla fine dell’emergenza sanitaria saremmo più o meno tornati alla vita di prima, e che là fuori avremmo trovato il mondo di prima. Un mondo ferito, stanco, ma familiare. Invece marzo 2021 sarà completamente diverso da marzo 2020.
In Italia abbiamo un nuovo Presidente del Consiglio, un uomo politico (sì, politico) di alto profilo internazionale che ha l’esperienza e l’autorevolezza per riportare il Paese al centro dell’Unione europea e dei rapporti transatlantici. Mario Draghi ha un filo diretto con capi di Stato, banchieri centrali, ministri del Tesoro, grandi economisti. Ha scelto una squadra ristretta di tecnici di altissimo livello (Cingolani, Colao, Garofoli) ed è la carta più forte che il presidente Mattarella potesse giocare.
In Europa si sono ribaltate alcune convinzioni: pensavamo che il sistema di Bruxelles fosse irriformabile ed egoista, invece grazie alla spinta di Angela Merkel e nonostante le proteste dei sedicenti “frugali”, è stato creato il primo sistema di condivisione del debito in 70 anni di trattati. Il Next generation Eu è una rivoluzione, e non è un caso se il Conte-bis sia caduto (anche) perché la vecchia maggioranza non ha trovato un compromesso su come gestirlo. Un’altra convinzione – o, per alcuni, un’altra gufata – riguarda il Regno Unito. Boris Johnson ha portato a casa un Brexit deal più favorevole del previsto, e l’aver negoziato le forniture in modo indipendente gli ha permesso di vaccinare un numero clamorosamente più alto di persone. Londra ha patito duramente gli effetti del virus, ma ne uscirà molto prima di noi, guadagnando mesi preziosissimi. Inutile negarlo, ci sarà una gara internazionale a chi riparte prima, per conquistare terreno in termini di industria, finanza, turismo. “BoJo” ha di nuovo sorpreso tutti.
Inutile negarlo, ci sarà una gara a chi riparte prima, per conquistare terreno in termini di industria, finanza, turismo
Alla Casa Bianca c’è un nuovo inquilino. Prima del Covid-19, Donald Trump era favorito per la riconferma, Joe Biden faticava a galvanizzare il suo elettorato. Eppure ce l’ha fatta, e per noi è una buona notizia: dei quasi 30 candidati alle primarie democratiche, era quello con la più significativa esperienza internazionale e la più grande fiducia nel multilateralismo. Che aveva acquisito non solo come vicepresidente di Obama, ma come capo della commissione Esteri del Senato. Anzi, Obama aveva concentrato la sua attenzione sull’Asia, e alla fine del suo mandato chiamò gli europei “scrocconi” per aver sfruttato la potenza militare americana in Libia senza impegnarsi per garantirne la stabilità. Al contrario, Biden considera l’Europa un alleato di primo piano. Come Trump, ha già annunciato alcune misure “ostili” nei confronti della Cina con l’idea di spezzare le supply chain troppo dipendenti dal rivale asiatico, aprendo ulteriori spazi alle aziende italiane.
A proposito. A dicembre, e a dispetto di Washington, von der Leyen, Merkel e Macron hanno firmato un accordo sugli investimenti che dovrebbe garantire l’accesso al mercato cinese agli europei. È un ritornello che abbiamo già sentito, senza grandi risultati. Ma stavolta è diverso. Il mondo è diverso, e dobbiamo essere pronti a capirlo.