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Export, viaggiamo informati

Chi ha scelto una meta lontana per le vacanze si sarà procurato certamente una guida del posto. Si sarà organizzato con agenzie di viaggio, operatori turistici, referenti locali. Prima di partire, tutti noi cerchiamo di raccogliere più informazioni possibili.

Al di là della metafora estiva, questi principi valgono anche per chi fa business oltreconfine. È sempre valida la regola di affidarsi a chi ha davvero competenza e conoscenza dei Paesi stranieri.

L’export è stato per l’Italia l’unico driver di crescita effettiva negli ultimi anni ed è verosimile che continuerà a rivestire questa funzione di traino per la nostra economia ancora a lungo.

Noi più di altri ci spingiamo ben oltre l’Europa. In questo siamo avanti a Francia e Germania, che vantano una presenza consolidata in aree già presidiate, mentre noi abbiamo dalla nostra una buona capacità di penetrazione in mercati lontani, più esposti al rischio volatilità ma anche più interessanti in termini di nuove opportunità.

In questo scenario se ci aspettiamo che l’export italiano faccia meglio di altri, in barba al protezionismo e alla contrazione del commercio internazionale che sono fenomeni confermati da molti osservatori, riteniamo decisiva l’azione dei nostri manager specializzati nell’interscambio e nei nuovi mercati.

Abbiamo bisogno di ricorrere ai migliori export manager perché se cresce la quota di export, vediamo che sono sempre le stesse grandi aziende e alcuni determinati segmenti a imporsi da protagonisti. Sono appena 4.000 le imprese che presentano fatturati oltre i 15 milioni, che realizzano oltre il 70% delle vendite complessive all’estero. Il resto sono realtà piccole, spesso incapaci di strutturarsi per posizionarsi in mercati stranieri o per realizzare scambi di importi consistenti. Ritagliarsi un mercato di nicchia non aumenta in sé le probabilità di successo. Il brand Made in Italy non si costruisce su poche privilegiate relazioni commerciali.

Rischiamo di far fallire le politiche pubbliche di sostegno che si stanno mettendo in campo se parallelamente non investiamo in competenze altamente qualificate. Assieme al meritevole cambio di approccio che sta caratterizzando le istituzioni italiane, da Sace, a Ice, Simest e Ministero dello sviluppo economico, crediamo che anche gli imprenditori debbano mutare visione.

Ci fa anche piacere, ad esempio, che Ice e Invitalia abbiano deciso di mettere insieme le forze e istituire una regia unica che non solo sostenga l’estero, ma apra anche dei canali facilitati per chi voglia investire in Italia.

Questi soggetti istituzionali stanno dimostrando un dinamismo che non dobbiamo lasciar cadere nel vuoto. Federmanager sta collaborando intensamente, a livello di dialogo istituzionale e di singoli progetti che abbiamo messo in campo.

Il nostro impegno mira a sostenere il Mise nel riproporre lo strumento del voucher per l’inserimento dei Temporary Export Manager nelle Pmi. Dato il largo successo che questa misura ha ottenuto nel corso degli anni passati, è nelle intenzioni del Ministero spingere affinché, subito dopo l’estate, si torni a prevedere l’agevolazione a favore dell’inserimento temporaneo di queste figure specializzate nei processi di internazionalizzazione, con uno stanziamento ancor più consistente di quanto destinato in precedenza.

Anche su questa prospettiva di sostegno alla managerialità, abbiamo espresso la più ampia disponibilità a collaborare.

La maggior parte degli studi, a partire dall’Ocse, confermano infatti che le imprese che conseguono processi di crescita sui mercati internazionali evidenziano livelli di produttività più alti rispetto alle imprese domestiche e il differenziale cresce ulteriormente per le imprese con investimenti diretti all’estero e per quelle che ricevono partecipazioni da parte di imprese o gruppi esteri. I risultati si registrano in termini di ricavi, occupazione e immobilizzazioni materiali più alti rispetto alla media.

Per internazionalizzarsi servono manager che sappiano guidare l’impresa in contesti con un framework normativo incerto, policy governative soggette a cambi di direzione, processi di procurement non sempre trasparenti, sistemi di finanziamento molto diversi da quelli che applichiamo nei Paesi più industrializzati.

A ciò si aggiunga che in molti Paesi fa la differenza la capacità di costruire un network relazionale solido, basato su fiducia e affidabilità che molti dei nostri manager possono garantire.

Insistiamo su questi aspetti perché sappiamo che internazionalizzarsi deve significare ottenere un vantaggio competitivo per il sistema Paese, e non possiamo improvvisare.